Scultura che salva, in posizione chiave

I capitelli salvano. Il loro fine, come peraltro il fine dei portali e di tanta parte della scultura romanica, è rappresentare i fatti miracolosi e magici che mostrano all’uomo dov’è la sua salvezza. I capitelli e le loro storie salvano l’uomo, o comunque costituiscono una chance di salvezza, dentro un mondo che cammina a passi rapidi verso il grande evento della fine di tutto.

Così i capitelli, che nei secoli precedenti erano elementi di snodo, importanti sì, ma non da punto di vista del messaggio e del racconto, cominciano a trasformarsi all’alba del Medioevo e diventano, durante il periodo romanico, il luogo in cui si scolpisce tutto il mondo, dalle piante agli animali, dai mostri ai miti, dalle vicende bibliche a quelle escatologiche. Diventano via via veri e propri strumenti di narrazione e di figurazione, insostituibili ed eccezionali, fino a quando il tempo gotico li riporterà alla loro primitiva funzione.

Ad attribuire ai capitelli una nuova centralità è anche la loro posizione dentro la chiesa romanica. Essi infatti nella navata stanno nel punto di congiunzione tra la colonna e l’arco sovrastante, che è anche il luogo in cui la linea retta delle pareti si unisce alle linee curve degli archi e delle volte; così il capitello – o meglio, la linea dei capitelli – finisce per coincidere con il luogo di congiunzione tra la parte quadrata (e quindi terrena) della chiesa, quella in cui stanno gli uomini, e la parte circolare (e quindi sovrannaturale) dell’edificio, quella in cui stanno il mistero e la promessa della salvezza. Per dirla con le parole di De Champeaux, “all’interno dell’edificio, la linea orizzontale determinata dai capitelli dei pilastri segna un limite tra il mondo della navata e il sovra-mondo della volta. Il passaggio dall’uno all’altro rappresenta un’avventura immaginaria che, se lo vuole, compromette tutto l’uomo” (I simboli del Medioevo, p. 404).

Ecco una nuova ragione dell’importanza dei capitelli e della loro “infilata”: posti su una linea cruciale, assumono un’importanza cruciale. E ci si spiega in questo modo come mai gli artisti romanici abbiano scolpito capitelli meravigliosi anche là dove… dove nessuno li poteva e li può osservare come vorrebbe.

CapitelliCerchioConques
La navata di Conques

Nelle chiese più piccole, la linea di demarcazione tracciata dall’infilata dei capitelli è unica: sta alla fine delle colonne, là dove la linea verticale della colonna stessa si incurva e si biforca nell’arco tra una colonna e l’altra. Presto il romanico però si è dato una complessità strutturale maggiore: le linee di passaggio orizzontali, tra il pavimento e la volta, non sono più una sola, ma si sommano le une alle altre; accade quindi in molte chiese – nello splendido Duomo di Parma, ma anche nelle grandi chiese francesi, a Vézelay e ad Autun, ad esempio – che sia marcata da capitelli decorati un’altra linea, quella che regge l’attacco della volta alla parete e che dà così inizio ad un altro passaggio, ancora più decisivo, tra il piano e il tondo: nel Duomo di Parma questi capitelli “del livello alto” sono ben 18, in parte semplici, perché concludono una semicolonne, in parte complessi, perché danno compimento ad un pilastro tripartito. Osservarli è ben difficile. Ma a Parma come a Vézelay o a Conques, la ricchezza figurativa dei capitelli collocati in alto, anche posti fuori dalla vista dei fedeli, conferma e rafforza l’ipotesi che ad essi, posti al confine tra il terreno e il divino, sia attribuito un valore evocativo ancor prima che decorativo, e quasi magico.

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Vezelay, la navata

 

15 pensieri su “Scultura che salva, in posizione chiave

  1. Giuseppe

    Bellissimo articolo, forse un po’ troppo succinto, ma sufficiente a farci capire meglio i motivi dei capitelli con figure non religiose e noin riferibili alla Bibbia. Che non sono parole di circostanza lo dimostra la condivisione del link nella mia pagina Facebook. Grazie.

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  2. Losero Italo (da FB):
    Complimenti, molto interessante. Aggiungo una curiosa nota: l’immagine di Vezelay utilizzata se vista in altro modo può sembrare un capitello; la base centrale luminosa è la colonna, che si innalza e allarga in volute concentriche.

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  3. Paolo Salvi

    I tuoi articoli sono stati, come ben sai, fonte d’ispirazione del mio recente viaggio in Alvernia. Le chiese da te segnalate erano un punto fermo, un caposaldo del viaggio.
    Brioude una di queste.
    Come tanti, oserei dire tutti, gli articoli che qui hai scritto, anche questo è acuto e fortemente evocativo. I capitelli dell’arte romanica sono pietre che vibrano, che parlano e narrano la storia di un tempo che non è più; ci insegnano la cultura di allora e ci dànno la possibilità di comprenderla come pochi altri elementi sanno fare.
    La tua narrazione rende comprensibile ciò che ai più sfugge.
    Splendida Brioude. Splendidi capitelli. Splendida narrazione.

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  4. Enrico Bonino (da Fb):
    Complimenti anche per questo articolo. Ho iniziato a seguirti (con non poca invidia per i tuoi viaggi) e sono estremamente affascinato da quanto descrivi. Un piccolo suggerimento: quando citi libri o riferimenti bibliografici hai modo di mettere un link verso il libro in questione? Giusto per facilitarne l’accesso.
    Ancora grazie.

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    1. Grazie, Enrico, per i complimenti graditissimi. Cosa intendi per “un link verso il libro”? Un link alla copertina? Mi sembra ben poco utile. Un link al libro là dov’è in vendita on line? Non so… Se è questa seconda soluzione che chiedi, non credo di volermi/potermi addentrare in questioni che hanno un risvolto commerciale.

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      1. Enrico Bonino (fa Fb):
        Si, era per la seconda soluzione. Essendo “bibliofago”, ed interessandomi anche a queste tematiche, era per avere più facilmente accesso ai differenti volumi che citi nel corso delle tue descrizioni.
        Effettivamente però non avevo riflettuto sull’aspetto commerciale ed eventuali problemi legati alla pubblicazione di siti di vendita on-line; beninteso da parte mia una semplice ricerca sul net prende 5 minuti. Quindi considera questa mia idea una farfalla passeggera…
        Grazie ancora per il tempo consacrato a questa affascinante materia e la condivisione con tutti noi.

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  5. Luigi Ricciardi (da Fb):
    Collocati in una posizione inaccessibile allo sguardo dei fedeli, dei pellegrini e anche dei sacerdoti, i capitelli romanici non sono fatti per essere visti solo dagli uomini, ma soprattutto dagli angeli. La stessa cosa vale per le guglie e le vetrate gotiche, collocate ad una altezza irraggiungibile. Il mondo invisibile è pensato come realmente presente nella chiesa visibile – soprattutto durante le liturgie. Queste parti del tempio – proprio perché sono “fatte per l’invisibile” sono anche più accuratamente realizzate rispetto alle altre.
    La mentalità dell’uomo medievale è “simbolica” (“syn-ballein” – “mettere insieme”); tutto il contrario della mentalità dell’uomo moderno, che tende all’analisi e all’astrazione, separando dualisticamente la terra dal cielo, il visibile dall’invisibile, spezzando l’unità della creazione (di “tutte le cose, visibili e invisibili”), la complessità e l’armonia originale di tutto il reale.

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  6. Aldo Valentini (da Fb):
    I CAPITELLI SALVANO. Splendido Giulio Giuliani, salvano dall’aridità, dalla piattezza, dalla razionalità, quella che ripartendo col gotico ci porta al rinascimento ma ci toglie il fantastico, il magico… Come si può non amare il romanico, diceva ieri Luca Giordani… verissimo.

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