Cabestany: i leoni del Maestro ignoto

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Daniele e Abacuc nel capitello di Saint-Papoul

Sfuggente, come la fronte dei suoi personaggi. Al “maestro di Cabestany” i manuali di arte romanica attribuiscono diverse opere, ma gli studiosi non ne conoscono il nome, né sanno dove nacque e dove visse. Le sculture che ha prodotto hanno uno stile inconfondibile, che fa pensare ad un singolo originale artista… della cui reale esistenza però non abbiamo traccia né prova. Tanto che il “maestro di Cabestany” potrebbe addirittura essere una “scuola”, un atelier, un gruppo di scalpellini.

Mentre i critici cercano prove certe per dare un nome e una patria a questo artigiano di genio e di buona gamba – avrebbe operato almeno in Toscana, in Linguadoca ed in Catalogna -, gli appassionati del romanico si contentano di gustarne le opere, e si allenano a riconoscerne la “mano”, come in una grande caccia al tesoro.

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Il timpano di Cabestany

Lascia molte tracce, peraltro, il nostro maestro, chiamato anche più semplicemente “il Cabestany”. Tra le caratteristiche dei suoi capitelli e dei suoi rilievi, c’è innanzitutto uno stile di rappresentazione che guarda alla scultura tardoantica, soprattutto ai bassorilievi dei sarcofagi romani; questo artista poi si distingue per la capacità spiccata di produrre opere piene di pathos quasi barbarico: le figure si assiepano le une alle altre, si incurvano negli spazi, vivissime, senza tema di diventare grottesche… e l’horror vacui – il rifiuto del vuoto – diventa la regola, tanto che ogni parte della composizione, ad ogni costo, è riempita di figure e dettagli.

Le opere del maestro di Cabestany poi – ricordiamolo, cercandolo in giro per l’Europa – sono plastiche e drammatiche. I corpi cercano più la conquista dello spazio che la proporzione; le mani e le dita sono allungate a volte a dismisura; volti sono pieni, fortemente espressivi, le chiome addirittura arruffate… e le fronti sfuggenti, bassissime, sopra gli occhi grandi e spesso inclinati e quasi orientali.

E infine gli animali: il maestro di Cabestany disegna personaggi a volte goffi; ma nessuno come lui sa scolpire e intrecciare e far lottare gli animali, ed in particolare i leoni. Tanto che forse i suoi pezzi più “esemplari” – oltre ovviamente al capitello che rappresenta Daniele nella fossa dei leoni a Sant’Antimo – sono i capitelli “animaleschi” scolpiti per il chiostro del Duomo di Prato, che la tradizione gli attribuisce. Sono bellissimi, questi tre pezzi in pietra verde, dotati di forza e magia, in cui le fiere, e i mostri e gli uccelli si avvinghiano e si mordono a vicenda. Costituiscono una delle prede preferite dei cacciatori di foto romaniche… e però va detto che sono il risultato di una complessa operazione di ripristino e rifacimento. Il più piccolo dei tre, che rappresenta feroci teste ferine da cui fuoriescono due zampe, presenta frammenti originali inseriti nel rifacimento realizzato nel secolo scorso, e lo stesso si può dire di uno dei due capitelli maggiori, quello con aquile e grifoni; il secondo dei capitelli maggiori, con una splendida lotta tra leoni, è una copia, eseguita con brio e fantasia, dell’originaria scultura, assai frammentaria, esposta nell’antiquarium del Museo del Duomo.

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Qui e nella foto in basso, i capitelli di Prato da diverse angolature

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Il capitello di Sant’Antimo

Al nome del “maestro di Cabestany” gli studiosi di storia dell’arte associano alcune opere, collocate in diverse località in Italia, Francia e Spagna. L’artista prende il nome dal primo pezzo scolpito, il timpano della chiesa di Cabestany, cittadina della Linguadoca (in proposito, si veda per un quadro d’insieme la bella nota in “Il Palazzo di Sichelgaita”). Simili nello stile, si riconducono allo stesso artista – o allo stesso gruppo di scalpellini – una serie di altri rilievi nell’area che unisce Francia e Spagna, a cavallo dei Pirenei: a Sant Pere de Rodes si conservano capitelli con figurazioni di animali, ma anche rilievi istoriati, come quello che raffigura il Cristo che cammina sulle acque. Si incontra ancora l’opera del Maestro a Prato, come abbiamo visto, ma anche a Carcassonne, dove gli è attribuito un sarcofago; a Saint-Papoul, in Linguadoca, e nell’abbazia di Sant’Antimo, nel senese, il Cabestany lascia due capitelli con la rappresentazione di Daniele nella fossa dei leoni, entrambi pezzi pregiatissimi della scultura romanica. Che si tratti di un singolo artista, o che a scolpire questi pezzi sia stata una “scuola”, magari avviata da un effettivo maestro, tutte le opere che vanno sotto il nome del Cabestany sono comunque riconducibili alla seconda metà del XII secolo. 

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Non ci sono, questo pezzi notevolissimi, nel volumetto sui capitelli medievali che Before Chartres propone, finalmente “in carta”, ai suoi lettori più fedeli. E però ce ne sono altri dodici – anzi, per la verità ce ne sono altri quattordici – che hanno la pretesa di essere altrettanto belli. Vedere per credere. Qui: “DODICI splendidi CAPITELLI ROMANICI”

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Nella vasta piana padana – la “Lombardia” medievale – dodici delle grandi chiese costruite nel tempo romanico competono in magnificenza, autorità e splendore. Before Chartres le osserva e ne descrive il cuore, in un nuovo delizioso volumetto: LE GRANDI “chiese di città” DELLA PADANIA ROMANICA.

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La terra alta tra Milano e i Laghi è una delle culle, se non la vera culla, dell’architettura romanica. Da qui i “maestri comacini” portarono i segreti della loro laboriosa abilità costruttiva un po’ dovunque in Europa. Un itinerario in dieci tappe racconta le loro realizzazioni più preziose – da Almenno San Bartolomeo a Gravedona, da Agliate ad Arsago Seprio a Civate – e lo spirito, i colori, i materiali, i modi e i vezzi che hanno lasciato nelle loro terre d’origine: DIECI PERLE romaniche TRA MILANO E I LAGHI.

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10 pensieri su “Cabestany: i leoni del Maestro ignoto

  1. Margaret

    Molto interessante! Grazie! Ho visto le opere a Prato piu volte e le ho trovato pieni di vita e di mistero ma non avevo idea da dove venivono – ora guardero’ con ancora piu curiosita’

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  2. Paolo Salvi

    Sarebbero anche bellissimi se non fosse che sono in gran parte delle copie e gli originali sono conservati all’interno del Museo, alquanto deteriorati. Una perdita dolorosa, ma è comunque apprezzabile che si sia intervenuti sostituendo gli originali prima di perderli del tutto.

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