L’oblìo romanico verso il buon pastore

Scrivevamo, tempo fa, dello strano oblìo del tempo romanico per la figura di Gesù “buon pastore”, ed evidenziavamo come chi provasse a cercare nelle chiese romaniche le rappresentazioni del Cristo con l’agnello sulle spalle, peraltro diffusissima nell’età paleocristiana, resterebbe deluso: esse sono infatti rare, molto rare. E proprio l’Alvernia, con i suoi capitelli, sembra smentire questa tesi, che poi invece conferma.

Qual è il contesto ampio, cosa avviene nell’Europa romanica? Lo si anticipava: se si eccettua la tarda rappresentazione in San Frediano a Lucca, è difficile ricordare una raffigurazione del Buon Pastore nel tempo romanico. Eppure la Chiesa da sempre presenta il Cristo in una duplice veste, e da sempre afferma che il Figlio di Dio è insieme “Signore” e “pastore”. E’ proprio nell’ultima domenica dell’anno liturgico che si presentano ai fedeli, contemporaneamente e con uguale forza, questi due volti del “Cristo Re”: Egli è il padrone dell’Universo e del Tempo, ma contemporaneamente è il pastore buono; è il Signore che giudica, ma anche quello che custodisce il suo gregge: “Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo – recita la liturgia di quella Festa – e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte”.

L’arte cristiana delle origini era affezionata al tema delicato del pastore che porta sulle spalle la pecora ritrovata: lo si ritrova negli affreschi delle catacombe romane, nei mosaici di tante basiliche paleocristiane, e se in San Vitale a Ravenna Gesù siede circondato dalle pecore, nel pavimento della basilica di Aquileia torna la rappresentazione più classica, quella dell’agnello tenuto dal pastore intorno al collo e alla nuca. Senza alcun dubbio, però, il tempo romanico ha fatto una scelta; se non possiamo dire che ha ignorato, tra gli attributi del Cristo, l’amore del buon pastore verso il suo gregge, possiamo comunque vedere come abbia privilegiato, con sproporzione infinita, la rappresentazione del Cristo re e giudice. E così, mentre nell’arte romanica sono numerosissime le rappresentazioni del Cristo in Gloria che ritorna per riprendersi il mondo, è invece rara – improvvisamente rara – quella del buon Gesù che riconduce all’ovile, pieno di affetto, l’agnello che si era smarrito.

Poi si arriva in Alvernia, e un sobbalzo è inevitabile di fronte al primo incontro con gli uomini che qui, piuttosto frequentemente, portano pecore sulle spalle. Nella basilica di Issoire, il primo di questi personaggi può farci pensare, anche solo per un momento; ma porta un turbante, e il volto non è certo quello di Gesù. Poco più in là, su un capitello pieno di colori, a tenere agnelli sulle spalle sono addirittura in due. Il fatto che questi personaggi siano affiancati, e privi di barba, lascia pochi dubbi; e basterà proseguire il viaggio nelle chiese d’Alvernia per concludere che sarebbe un abbaglio vedere il Cristo “buon pastore” in questi capitelli particolari. Essi sono dedicati, in realtà, ad una figura simbolica, che gli studiosi chiamano “porteurs de mouton“, “portatori di capri”. La incontriamo a Issoire, come abbiamo visto, ma anche ad Orcival, in Saint-Nectaire, e ancora a Brioude, a Chanteuges, e insomma un po’ dovunque ci siano dei capitelli figurati. Non di rado i “portatori di capri” sono proposti in coppia, e nei tratti del volto sono sempre lontani dalla rappresentazione del Cristo. Stanno lì a simboleggiare, secondo alcuni studiosi, la natura umana, gravata dal peso della sua parte animale, mista quindi di corpo e anima; secondo altri sono invece la rappresentazione dell’uomo che vive in pace con la natura, e per questo i porteurs e i loro moutons sono spesso affiancati da fronde e girali ordinati di foglie; c’è anche chi ritiene che gli scalpellini romanici abbiano voluto rappresentare in questo modo particolare l’uomo buono e devoto, che porta in dono un suo animale come un’offerta; il “portatori di capri” si porrebbero allora, forse, in contrapposizione con l’altra figura tante volte ripetuta nei capitelli delle chiese d’Alvernia, quella dell’avaro gravato non dal peso di una pecora, ma dalla borsa piena di monete che, come una zavorra, gli costerà la vita eterna.

Comunque sia: se queste immagini così diffuse in Alvernia, anche queste, rappresentano… altro, che fine ha fatto nel tempo romanico la simbologia del Cristo “buon pastore”, tenero custode, affabile sostegno? E’ sparita, quasi del tutto, lo possiamo ammettere senza patemi. E questa amnesia, l’oblìo in cui cade in questi secoli il Cristo “buon pastore”, completamente messo in ombra dal Cristo “Signore e Giudice”, è fenomeno significativo, perché riconferma come predominante su tutto l’ansia escatologica che ha avvolto il tempo romanico: non serve infatti un pastore buono per un’epoca ormai tutta votata all’attesa spasmodica dell’Ultimo Giorno; non cercano un Dio che ami e accudisca questo tempo votato alla fine dei tempi, e questo popolo di fedeli tutto teso ad attendere la parola finale, che sarà pronunciata dal Salvatore in trono. E che sarà parola di giudice, tagliente, definitiva, non di pastore.

19 pensieri su “L’oblìo romanico verso il buon pastore

  1. Giulio Giuliani ha detto:

    Fra Adriano Girolamo Cavallo ( da Fb):
    Mi sembra un’interpretazione un po’ semplicistica… Ogni epoca ha sempre avuto maggior attenzione per un’iconografia piuttosto che per un’altra in virtù del clima socioculturale. Sicuramente nel medioevo c’è una tensione escatologica ma il processo di selezione dei temi è un processo quasi spontaneo piuttosto che un’operazione pianificata a tavolino.

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    • Giulio Giuliani ha detto:

      Ogni interpretazione si presta ad obiezioni, e così anche quella qui proposta. Altri più esperti di me potrebbero addirittura smentire il punto di partenza, e cioè che di rappresentazioni del “buon pastore” ce ne siano pochi nell’arte romanica… Però la riflessione qui proposta nasce proprio da una liturgia della Domenica di Cristo Re, durante la quale mi ha colpito notare come uno dei due temi – il buon pastore – non fosse molto presente nei miei ricordi romanici, mentre il Cristo Giudice c’era eccome. Si ripete quanto accade riguardo alla rappresentazione della crocifissione: anche questa iconografia non è diffusissima nel tempo romanico. E’ presente, senza dubbio, ma non quanto ci si potrebbe aspettare.

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      • Giulio Giuliani ha detto:

        Fra Adriano Girolamo Cavallo ( da Fb):
        La mia non voleva essere una critica ma solo una opinione sul fatto che il tema, assai complessi, non può essere trattato in poche righe. Nei primi secoli, nei quali il confronto/differenziazione tra cristiani e pagani era l’argomento dominante, la “figura” del buon pastore che si accompagnava al tema della separazione delle pecore e dei capri risultava tra le più eloquenti. Nel periodo medievale che si considerava come il compimento della “civitas cristiana” di fatto ci si trovava, secondo la loro visione, in prossimità dell’eschaton; ecco perché torna assai più forte il tema apocalittico del giudizio e della parusia…

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  2. Giulio Giuliani ha detto:

    Davide Alberici (da Fb):
    Attenzione con le statistiche perché il Romanico era lo “stile ufficiale” di ordini e movimenti che ci dicono addio dopo la peste nera. O muoiono o si evolvono. Gli architetti cistercensi e claunicensi è abbastanza noto che vanno a ristudiarsi com’erano fatti i pezzi romani quando non ne avevano abbastanza e così per un po’ tornano in voga le misure metriche romane e l’opus quadratus. MA c’è un ma: sappiamo dalle guide dei pellegrini delle varie epoche che chiese che adesso sono spoglie erano intonacate, dipinte, poi c’erano pulpiti, amboni, altari, scolpiti che ci hanno lasciato, c’è stata un’ondata di risistemazioni con la Riforma, Il Concilo di Trento. Può essere che quell’iconografia lì sia sparita allora ma anche più tardi.

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  3. Giulio Giuliani ha detto:

    Davide Alberici (da Fb):
    Comunque secondo me non è stato un cambio repentino come si evice dall’articolo ed è più probabile che avesse una genesi complessa. Prima che Papa Gregorio Magno prescrivesse che le immagini dovevano avere un valore didattico c’erano tre filoni di arte: uno realistico legato all’aristocrazia senatoria; uno astrattizzante legato ai ceti emergenti (provinciali e limitanei) e uno astratto proprio che era legato alle vecchie tradizioni aniconiche: cioé venivano ancora rappresentate colonne e ancore per rappresentare la perseveranza, strumenti di mescita per la temperanza. Il buon pastore e altre scene simboliche erano preferite a rappresentazioni dei testi sacri prima di Gregorio. Gregorio rivoluziona tutto. Fa a pezzi il concetto di idolo. Fa anche a pezzi il concetto d’immagine sacra: sono sussidi didattici, punto. Dovete proprio immaginarvi il clero che spiega le immagini scolpite o dipinte sui grossi tomi come il libro di Kells. La tradizione “ermetica” cioé mostrare scene molto astratte come sansone che muove la mola, o Mosé che uccide l’egiziano è presumibile che fossero sopravvissute in zone marginali che comunque erano legate più che ai gusti alla sete conoscenza dei frequentatori. Per dire… Sulle Alpi ci sono chiese affrescate proprio con scene dello pseudogiovanni. E ancora oggi non sappiamo cosa significasse di preciso il capitello palmato in acquitannia: ma è un simbolo di vittoria? O è un ammonimento contro la superbia? Perché Gesù fu salutato con palme prima della crocefissione? Ha a che fare coi catari, forse? Io credo che si tratti di fenomeni di durata terribilmente lunga perché un’opera vista in un modo dal suo creatore fatalmente sarà reinterpretata dalle generazioni successive perché chi di noi anela alla gloria vorrebbe essere compreso dai posteri ma è condannato ad essere capito, al massimo dai contemporanei. Detto ciò spero di non avervi tediato troppo. Ma per come la vedo io quando i re “pastori di popoli” si rafforzano è fatale che poco alla volta la rappresentazione del buon pastore vada in cavalleria, specie se il personale dell’edificio ha tendenze guelfe.

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  4. Giulio Giuliani ha detto:

    Paolo Rosati (da Fb):
    O magari una diffusione su larga scala della pastorizia e quindi l’inutilità di un simbolo bucolico la cui iconografia era troppo comune per passare come “unicum”. Il buon pastore magari funziona in una civiltà cittadina come quella paleocristiana e di meno in una agropastorale.

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  5. Elena Curnis ha detto:

    Buongiorno, molto interessanti i vostri interventi! Secondo me il tema iconografico del buon Pastore, ebbe grande diffusione in epoca paleocristiana per la sua affinità con i temi bucolico-pastorali: si trattava cioè di un’immagine familiare anche ai pagani e che i cristiani leggevano in chiave soteriologica. Non a caso, lo ritroviamo frequentemente nelle pitture delle catacombe, sui sepolcri e infine, nel mausoleo di Galla Placidia. L’ades pagano, immaginato come luogo di quiete eterna, viene assimilato all’immagine del Cristo Buon Pastore che salva la pecora perduta, ovvero l’anima del defunto, che in vita aveva ricevuto la grazia di convertirsi al cristianesimo. Nel medioevo questo tema diventa estremamente raro proprio perché i popoli europei erano già convertiti al cristianesimo e avvertivano di più la morte come giusto giudizio (con il Cristo giudice, le bilance ecc..) e non come traguardo della propria salvezza eterna, ottenuta grazie al Cristo. Penso che la selezione dei temi iconografici sia sempre legato sia al tipo di predicazione che alla familiarità con altri soggetti, che nel medioevo sono di stampo più cavalleresco, tipici del mondo feudale.

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    • Giulio Giuliani ha detto:

      E’ vero. Osservazione finissima. Il testo di Ezechiele prosegue così: “…A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri”. La figura del buon pastore, almeno in questo brano, non è del tutto separata da quella del giudice.

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  6. Giulio Giuliani ha detto:

    Alex Cifres (da Fb):
    Sulla questione della continuità/discontinuità della rappresentazione cristica fra antichità e medioevo (il Buon Pastore che scompare in favore del Pantocratore), dalla quale si pretenderebbe far derivate una diversa visione soteriologica ed escatologica fra i due periodi, credo sia utile consultare il libro di A. Dall’Asta, “La Croce e il Volto. Percorsi tra arte, cinema e teologia”. Ancora, Milán 2017.

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  7. Giulio Giuliani ha detto:

    Marco Gori (da Fb):
    Interessantissima l’informazione sul personaggio portatore di montoni. L’iconografia medievale è complessa, nonché legata alla cultura popolare locale, e la sua interpretazione e sempre esposta a facili strafalcioni.

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  8. Paolo Salvi ha detto:

    Non ho precisa conoscenza delle raffigurazioni nei capitelli in ogni regione del romanico, ma in Alvernia il tema del portatore di montoni è un tema ricorrente e non escludo che simbolizzi proprio il Buon Pastore del messaggio cristiano. Almeno così pare pensare Bernard Craplet, autore di Auvergne Romane, testo imprescindibile, così come quello corposissimo di Zygmunt Swiechowski, “Sculpture Romane d’Auvergne”.

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