Sant’Antimo: il Risorto è… una bifora

Difficile stabilire se accade per scelta o per rinuncia; quel che è certo è che nell’abbazia di Sant’Antimo, splendido gioiello in terra di Siena, manca il catino dell’abside. E’ anche questa assenza – che magari non viene colta a prima vista – a rendere splendida e inconfondibile la grande basilica, per molti aspetti “francese”, ma poi, in sostanza, piena di un profumo e di un genio decisamente italiani.

Manca il catino dell’abside, a Sant’Antimo. Manca quella copertura a quarto di sfera che normalmente conclude in alto il semicilindro verticale dell’abside, rendendo l’abside stessa più bassa della navata; manca il catino dell’abside, quello spazio curvo che in mille altre chiese sovrasta il presbiterio, spesso affrescato, luogo deputato per la rappresentazione del Cristo in gloria. E mancando il catino a coprire l’abside, manca anche l'”arco trionfale”, cioè quella porzione di parete verticale e lineare che, a forma appunto di arco di trionfo, normalmente si pone tra la navata e lo spazio, appunto, dell’abside. Manca il catino dell’abside, a Sant’Antimo: guardando in alto, si vede bene come il tetto a capriate che copre tutta la navata prosegua senza ostacoli, e vada dritto dritto a concludersi, sopra il semicerchio dell’abside, con le stesse capriate disposte in un’originale raggiera.

Questa soluzione inedita, questa continuità inattesa della copertura tra navata e abside, è un colpo d’ala, un guizzo. Non è chiaro che cosa prevedesse il progetto originale, né se i restauri di fine Ottocento abbiano davvero restituito quella che era l’idea iniziale dei costruttori, anche riguardo alla stessa coperture di tutta l’abbazia. Nella navata, infatti, l’alternanza tra colonne e pilastri compositi potrebbe far pensare alla volontà originaria di coprire anche la navata della chiesa con una volta in pietra, secondo la lezione francese; questa però non fu mai realizzata. Restano quindi lungo le pareti i quattro pilastri che salgono, e si fermano poi all’altezza del tetto, strutturalmente non utili; e assente una volta in pietra sulla navata, l’influenza del romanico d’Oltralpe si concretizza a Sant’Antimo solamente nel deambulatorio a cappelle radiali – raro in Italia – e nelle navatelle laterali coperte, queste sì, con volte a crociera e sormontate dai matronei. Alla fine, insomma, la navata restò coperta da un italianissimo tetto in legno; che però, fin dal completamento della chiesa o a causa di un intervento successivo, prosegue, come dicevamo, in modo inusuale fin sopra l’abside, che è rimasta… “scoperta”, o, se vogliamo, viene coperta in modo nuovo dal tetto stesso della navata.

L’assenza del catino dell’abside, e dell’arco trionfale che separa quest’ultima dalla navata, si vede bene anche all’esterno, dove si nota che il cilindro dell’abside è alto e largo quanto la parte longitudinale della chiesa, e si pone, in altezza e in ampiezza, in piena continuità con essa.

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Sant’Antimo, l’esterno, con l’abside che sale fino all’altezza della navata

All’interno, l’effetto creato dalla nuova soluzione è letteralmente fatato: a Sant’Antimo infatti la terminazione cilindrica che avvolge il presbiterio, come dicevamo, può salire a tutta altezza fino al tetto, e non viene “abbassata”, come accade nelle altre chiese, dal catino absidale. E la conseguenza forse più importante di questa scelta è che sulla parete di fondo si ritaglia il proprio spazio, così, uno degli elementi che rendono inconfondibile Sant’Antimo, e cioè quella grande bifora che la inonda di luce. E’ lei, quella bifora, ad imporsi agli sguardi di chi entra nell’abbazia, come altrove si impone il catino absidale. E’ lei, quella bifora, il punto di arrivo, il faro per il fedele fin dal primo passo compiuto nella basilica. E’ lei, quella bifora, il Pantocrator di Sant’Antimo, il Cristo in Gloria, il Risorto, luce per tutta la navata.

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L’abside dell’abbazia con la grande bifora

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Santantimo2Quanto al suo esterno, la basilica di Sant’Antimo è una di quelle chiese che… danno sempre le spalle. Le foto e le cartoline raccontano che ha un’abside possente, un fianco nobile e regolare, e un campanile, imperfetto nella sommità, con un cipresso al fianco. E così, alla fine, della chiesa di Sant’Antimo pochi ricordano la facciata – che tutti abbiamo visto, peraltro, perché dalla facciata, e non da altri ingressi, si accede all’interno della basilica –. Facciata che è fatta così – la vedete nella foto qui a sinistra – e giustamente, per quant’è miserella, ogni volta che può si nega alla vista. Altre chiese meravigliose lo fanno, di dare le spalle a chi arriva al loro cospetto: delle splendide sorelle d’Alvernia, ad esempio, o della basilica immensa di Tolosa, o della Sacra di San Michele, come di Sant’Antimo, tutti ricordano le meravigliose terminazioni absidali, mentre la facciata, per pudore, si mostra poco, o è prestissimo dimenticata, o addirittura in certi casi… non c’è proprio.

 

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18 pensieri su “Sant’Antimo: il Risorto è… una bifora

  1. Gabriele

    L’assenza di un arco trionfale permette alle capriate di spingersi fino all’abside e seguirne l’andamento arrotondato. Mi pare una delle poche testimonianze in tal senso. Davvero spettacolare!

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  2. Flavius Stilicho (da Fb):
    Molto interessante. Mi piacerebbe approfondire il tema simbolico della bifora nelle chiese medievali. Non so però dove trovare riferimenti. Qualcuno ha qualche indicazione da fornire in proposito? Grazie sin da ora.

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  3. Demetra Ragusa (da Fb):
    …anche per questo motivo Sant’Antimo è Straordinaria…nessuna immagine per quanto perfetta artisticamente potrà mai rendere visibile la Gloria del Risorto…! Grazie per le pubblicazioni sempre di alto livello !

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  4. marco

    bisognerebbe ripulirle degli accessori che nulla hanno a che fare con l’epoca e che ripristinare il carattere originale. ci sono chiese con gli altari originali che sono magnifiche.

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  5. Anonimo

    Di viaggi in Italia e all’estero ne ho fatti tanti, ma l’emozione che mi ha dato Sant’Antimo resta indimenticabile e unica, grazie anche all’irrepetibile contesto paesaggistico nel quale è calata.

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  6. Lorenzo F. P. Mariani (da Fb):
    Un luogo stupendo… Peccato che i frati abbiano abbandonato l’Abbazia. 😓 La grande bifora (mi spiegò Padre Dominique, che faceva anche da guida) fu forse un’aggiunta molto successiva, poiché davvero molto grande. Nel XVI secolo in corrispondenza dell’abside, esternamente, vi era una merlatura e un camminamento, in corrispondenza proprio della finestra… Secondo alcuni rilievi la finestra era murata o più piccola…. Dopo i restauri divenne così grande e portata a “sbordare” rispetto la cornice in alto… I restauri, purtroppo, non sono stati fatti benissimo, a contrario di quanto si pensi…

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    1. Confermo, ovviamente. La grande bifora che vediamo è opera di “restituzione” ottocentesca… perché prima al suo posto ce n’era una di dimensioni più ridotte. Ma quello che interessa è proprio capire che cosa c’era in origine, e com’era in origine quest’abside oggi molto particolare.

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      1. Lorenzo F. P. Mariani (da Fb):
        Infatti è un abside meravigliosa, con deambulatorio… I frati ricordo che si lamentavano davvero molto dei restauri e posso confermare che la bifora fino al dopoguerra era più piccola (prima era assente o murata, non si sono purtroppo trovate tracce in merito). Curiosità: il tetto è stato rifatto di recente poiché negli anni 70 Zeffirelli girò qui alcune scene di Fratello Sole Sorella Luna. Essendo tutto inagibile o quasi decise di donare a questo splendido luogo una delle travi portanti per ricostruire il tetto, commettendo però un fatale errore: l’ancoraggio al muro venne fatto in ferro. Negli anni 2000, durante una notte di temporale, un fulmine colpì il ferro della trave, la quale prese fuoco e una parte rovinó a terra, provocando molti danni, per fortuna non colpendo i frati che di lì a poco avrebbero celebrato le lodi (sulle 5 del mattino)😊 Resta un luogo magico e splendido, con il capitello scolpito più bello che abbia mai visto… La presenza poi dei frati lo rendeva magico e oggi purtroppo è davvero triste vederlo senza di loro.

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        1. Lorenzo Fusini (da Fb):
          In una foto di inizio novecento la bifora è già presente, probabilmente è ottocentesca. Ho un libro della collana “Italia artistica” del 1911 dove in una foto dell’interno di S. Antimo si vede la bifora chiusa da una vistosa vetrata. Peccato che non ce l’ho a portata di mano perché non sono a casa.

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          1. Lorenzo F. P. Mariani (da Fb):
            Sì in quella che ho trovato c’è scritto foto d’epoca… Non c’è l’anno purtroppo 😓 comunque dovrebbe essere proprio di fine 800 poi – da quello che mi disse il frate – venne richiusa e poi riaperta in occasione dei restauri e ingrandita dallo sovrintendenza. I frati infatti si chiesero se era normale all’epoca una finestra così grande e fecero fare perizie e controperizie a spese loro. Altra piccola curiosità: all’esterno c’è anche una bella Madonna col bambino in marmo che si trova sul campanile. Restaurata dalla sovrintendenza (è del XII secolo) venne poi rovinata da una maldestra giovane restauratrice che ebbe la brillante idea di pulire la patina con l’idropulitrice e un sapone, rendendola così bucherellata come una groviera. Essendo in alto non si nota il danno e i frati avevano già commissionato una copia in pietra locale da usare come pulpito. Se poi si ha la fortuna di visitare tutto il matroneo vi sono moltissimi reperti marmorei molto belli e le cassette in plastica dove sono conservate le ossa trovate nell’antico chiostro (non si sa se incompiuto o semidistrutto). I frati già negli anni 80 avrebbero voluto seppellire gli antichi confratelli, ma un divieto dei Beni culturali glielo proibì.

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  7. Giovanna Bigalli (da Fb):
    La prima volta che ho visto sant’ Antimo dal vero e non in un libro di storia dell’arte (libri ormai vecchi e ingialliti con foto ancora in bianco e nero) non potevo sapere che cosa mi aspettava, e che mi sarei perdutamente innamorata. Il primo vero incontro con il romanico, il primo grande amore.
    Sono passati ben 47 anni, e allora era bella come ora, ma trascurata , quasi abbandonata, tra erbe alte, pietre sconnesse e campagne assai meno curate di adesso. Molto meno famosa di adesso sia l’abbazia che la zona…
    La chiesa era affidata solo ad un anziano custode dal nome antico e altisonante che l’amava come una figlia. Era Leonildo Monaci che apriva l’edificio ai visitatori dalla porta laterale e faceva gli onori di casa nella navata deserta allora priva persino delle panche, vuota come una conchiglia da pellegrino ma luminosa e radiosa come una sposa. Passava una lampada dietro le colonne per mettere in risalto il materiale ripetendo per l’ennesima volta “Vedano, signori , la trasparenza delle colonne…e osservino la solennità dei matronei…”
    Trovò in me e nel mio compagno di viaggio due ascoltatori appassionati quanto lui, ci prese in simpatia e ci mostrò ogni angolo, due quadri abbandonati al degrado irreparabile nell’ambiente accanto alla chiesa , e sacchi di ossa umane recuperate da un antico cimitero, che per lui appartenevano sicuramente ai soldati di Carlo Magno passati di lì e mai più ripartiti, forse per un’epidemia di peste.
    Le ore passavano, la luce d’estate trascolorava verso il tramonto, e noi saremmo voluti rimanere lì per sempre, come i fanti di Carlo Magno…
    Solo anni dopo la ritrovammo restaurata, di nuovo adibita al culto con la navata percorsa di canti antichi e fumi d’incenso. Splendida, famosa, fotografata in ogni angolo, visitata da drappelli di turisti e da fedeli. Giustamente vista per il gioiello che è.
    Leonildo non c’era più. Spero che da qualche parte abbia trovato un’abbazia altrettanto bella altrettanto luminosa di cui custodire gelosamente le chiavi. Forse ha incontrato qualche paladino dell’imperatore, chissà forse Orlando…

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    1. Marisa Foi (da Fb):
      Giovanna Bigalli, che commozione ritrovare in te la mia stessa appassionata esperienza di innamoramento di questo gioiello della fede, della Bellezza… e il ricordo commovente dell’, incontro con il suo custode, questo omino tenero, quasi curvo, ma così giovane nel cuore, così innamorato della sua S. Antimo che custodiva e amava come una bella dolce donna… La grazia nel spiegare a noi, gruppo di giovani amici in giro alla scoperta delle bellezze di queste terre… circa 40 anni fa… porto nel cuore il suo ricordo… e quando con la pila ci mostrava la trasparenza delle colonne in alabastro ne giova lui per primo… Conservo ancora una fotografia che abbiamo fatto con lui, con la grande chiave che aveva sempre con sé.
      Grazie per aver risvegliato nel mio cuore così dolci ricordi… questa Bellezza incontrata è stato il punto di svolta per tutto ciò che fino ad oggi sono andata e andiamo ancora a incontrare, in Italia, in Borgogna, in Provenza e in questi giorni in Bretagna.

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