Verso il Natale, la carezza su Giuseppe

Giuseppe, almeno una volta. Prima che nel palcoscenico del Natale si accendano le luci sui protagonisti di sempre – il Bambino, Maria, i Magi, i pastori… – un’ora e un giorno vanno dedicati a Giuseppe, il silenzioso, mite – spaesato? – attore che sulla scena del presepe sarà, da qui, poco più che un comprimario.

Starà “a margine”, da domani in poi: lo vedremo in un angolo nella stalla della Nascita, pensieroso; sarà quasi assente anche quando i re venuti dall’Oriente consegneranno i loro doni; e molto spesso ancora l’arte romanica lo porrà sul limitare delle tante rappresentazioni della “fuga in Egitto”: al centro l’asinello che avanza e porta Maria e Gesù; davanti, ma in parte, Giuseppe col suo sguardo, perso verso il cammino e l’esilio.

Oggi però è il suo giorno, il suo tempo. Mentre il Dio incarnato cresce nel grembo di Maria, in queste stesse ore Giuseppe è tormentato dallo sconcerto per un concepimento che a lui, più che a chiunque altri, risulta inspiegabile: “Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe – racconta l’evangelista Matteo – prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto”.

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Il “sonno di Giuseppe” di San Juan de la Peña in una foto di H. Brunig

Ma poi viene una decisione diversa. E un capitello del monastero di San Juan de la Peña, nella provincia di Huesca, opera del maestro che da questo luogo prende il nome, rappresenta magistralmente il momento in cui, a modo suo, Giuseppe assume, per il tempo di un sogno, il ruolo di protagonista. Dorme, Giuseppe; e nella notte un angelo, che ancora è sospeso in volo, discende verso di lui e gli parla:

Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi”.

Protagonista, dicevamo, a modo suo: anche nel “suo” giorno, Giuseppe non proferisce parola. Ascolta, valuta, medita; anche il suo dormire è sempre pieno di interrogativi. La sua vicenda, qui e poi, è tutta un’intima ricerca del senso di ciò che sta accadendo intorno, e della risposta da dare, del comportamento da assumere, per fare la cosa giusta agli occhi del Signore.

Matteo racconta – lo sappiamo bene – che quando si destò dal sonno Giuseppe “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”. Benevolo e solidale con Giuseppe, e quasi più profondamente consapevole rispetto all’Evangelista stesso, il maestro di San Juan de la Peña però non ha scolpito un “ordine”: piuttosto ha dipinto una carezza, un messaggio. Sul capitello, elementare nel segno ma profondo nella simbologia, si narra infatti, attraverso il dolce gesto di una mano, un suggerimento a cui sereno il falegname di Betlemme aderisce non per imposizione, ma in un sonno consapevole. Quella carezza, che traduce in un tratto delicatissimo le parole “Non temere, Giuseppe”, è la più bella rappresentazione del sostegno che viene dall’alto ad ogni uomo che si interroga e cerca una via. La mano dolce dell’angelo è una promessa – il Natale ormai prossimo la renderà certezza -. Ed accarezza tutti noi che, camminano in questo mondo, fatichiamo a comprenderne le vie spesso contorte e assurde, eppure non ci stanchiamo di interrogarci sul nostro ruolo, su come recitare con appropriata presenza la parte che ci è riservata nel grande teatro della vita.

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Una veduta del chiostro

Il “sogno di Giuseppe”, nel particolarissimo complesso di  San Juan de la Peña, è uno dei diciannove capitelli scolpiti dal maestro omonimo nel chiostro, o meglio in ciò che resta del chiostro stesso. Costruito un un grande anfratto nella roccia, nei Pirenei aragonesi, il monastero ha origini antiche, e ha fama di luogo tra i più importanti nella riconquista al cristianesimo della Spagna in cui erano dilagati gli eserciti musulmani.

Dell’eremo, distribuito su due diversi livelli, restano le due chiese sovrapposte e alcuni altri ambienti. I capitelli delle tre ali rimaste del chiostro sono attribuiti a due diverse mani, o a due diverse scuole. La prima avrebbe realizzato tra XI e XII secolo i più antichi, a disegni floreali e zoomorfi; alla seconda mano, o alla seconda scuola, che opera nel XII secolo avanzato e che si indica con il nome di “maestro di San Juan de la Peña”, vengono invece assegnati i capitelli con scene bibliche ed evangeliche, tra cui appunto il “sogno di Giuseppe”.    

Un’esauriente raccolta di immagini del monastero e dei rilievi si trova nella pagina portalsaeule.de, da cui è tratta anche la foto del capitello qui riproposta.

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C’è anche questo pezzo notevolissimo nel volumetto sui capitelli romanici che Before Chartres propone, finalmente “in carta”, ai suoi lettori più fedeli. E ce ne sono altri undici – anzi, per la verità ce ne sono altri tredici – che hanno anche la pretesa di essere altrettanto belli. Vedere per credere. Qui: DODICI splendidi CAPITELLI ROMANICI.

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Le storie della Bibbia hanno ispirato e guidato gli artisti romanici. Before Chartres ne ha descritte molte nei suoi articoli, e oggi ha raccolto le più affascinanti in un volumetto pieno di fede, di sapienza e di stupore, che trovi qui: STORIE della Bibbia NELL’ARTE ROMANICA.

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Dai rilievi di Silos ai capitelli di Aguilar de Campoo e di Tudela, dagli affreschi di Mustair a quelli di Sant’Angelo in Formis: è specialissimo il nuovo volumetto di Before Chartres, che raccoglie sedici episodi del Vangelo trasformati in capolavori dagli artisti romanici: LE STORIE dei Vangeli NELL’ARTE ROMANICA.

12 pensieri su “Verso il Natale, la carezza su Giuseppe

  1. Giuseppe Berton (da Fb):
    Giuseppe non poteva non esserci, in questa storia di fede, di abbandono, di famiglia. Nella sua persona anche il culmine delle figure profetiche del Testamento Antico (e forse Osea, in velata trasparenza) ma soprattutto i tratti migliori di un uomo.
    Quanto leggiamo stasera ci colma di tenerezza struggente e forte: della forza virile e duttile di Giuseppe, non arrendevole suo malgrado ma consapevole e veramente colmo di fiducia e d’amore.
    Il tocco della mano destra dell’angelo sembra evocare le “viscere di misericordia” dell’Onnipotente, mentre la sinistra, appena accennata, sul cuscino, sembra completare il gesto di un abbraccio rassicurante, di un amico che condivide e crede.
    Allieta, pensare che quest’immagine provenga da un amatissimo ed emozionante luogo di preghiera, dove forse si è sperato davvero contro ogni speranza.
    Grazie.

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