Molto raccontano, di una chiesa romanica, le foto in bianco e nero, e molto rivelano. A volte spiazzano, in prima battuta; poi, a saperle leggere, finiscono per rivelare moltissimo. Dimostrato questo assunto per la chiesetta di San Pere de Ponts, un edificio poco noto nelle piane della Catalogna, riproponiamo l’esperimento mettendo sotto la lente, stavolta, un “pezzo da novanta” del romanico italiano.

La facciata in una foto della fine dell’Ottocento
Direste – ma siate onesti – che la foto qui sopra mostra la facciata di una chiesa a voi nota? No, credo proprio di no. Eppure state guardando l’abbazia di Nonantola, così com’era… qualche restauro fa. La fotografia, presa a fine Ottocento, è impressionante. E certifica come l’intero edificio aveva assunto a quel tempo un volto diverso da quello che conosciamo, stravolto, venduto ad un’epoca e ad uno stile (neoclassico?) lontano anni luce dal linguaggio romanico. E dentro a questa maschera, anche cercando con attenzione tratti conosciuti, si fatica a riconoscere lo stesso protiro scolpito, che in effetti è l’unico elemento stravolto solo in parte dalla revisione apportata nei secoli.
Un respiro profondo, per deglutire la sorpresa, e si riparte da qui, dalla consapevolezza che a fine Ottocento dell’abbazia romanica restava ben poco, almeno per la parte che dà sul sagrato. Il passo successivo è inevitabile: si confronta la facciata di quegli anni con quella di oggi – la quale quindi è anch’essa ben poco medievale – per ricostruirci un’idea, per comprendere i passaggi, gli stravolgimenti. E il confronto provoca una nuova sorpresa: non solo, infatti, la facciata ottocentesca era tutt’altro che romanica… ma dietro di essa, a fine Ottocento, non c’era affatto l’alta navata centrale che oggi è un vanto dell’abbazia modenese. E allora è evidente quanto radicale sia stata la “ricostruzione” dell’abbazia romanica, che nella grande campagna di restauro (1913-17) è stata reinventata nelle forme della facciata, ma anche, e pesantemente, quanto alla struttura nel suo complesso.
Due altre foto in bianco e nero – quanti segreti possono rivelare! – confermano quest’ultima considerazione: la prima certifica com’era l’interno della chiesa in quegli stessi decenni, e mostra la navata coperta da volte a crociera non certo romaniche, e basse al punto che, come abbiamo visto, la navata centrale non si ergeva sulle laterali se non di pochissimo; la seconda, mostrandoci lo stato della zona absidale a fine Ottocento, riconferma questo radicale abbassamento della parte centrale dell’edificio.
Insomma: sono come pugni nello stomaco, a volte, le foto in bianco e nero delle nostre chiese medievali più belle. Smascherano i restauri compiuti, evidenziano i momenti di degrado, complicano la storia di un monumento, restituendocela ben più ardua e stratificata di quanto sapevamo. Scoraggiano, e a volte rendo faticosissimo dipanarne il racconto. Ma dicono la verità. Che alla fine è sempre più affascinante del racconto agiografico e semplicistico che ci eravamo costruiti.

L’abbazia vista di lato a fine Ottocento
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La navata. Sopra gli archi, le tracce dell’imposta delle volte a crociera ora rimosse
L’abbazia di Nonantola vanta un’antichissima fondazione: la chiesa e il monastero furono il frutto dell’espansione longobarda nella piana padana, nell’VIII secolo. Cresciuto in importanza nei secoli successivi, il monastero ebbe una nuova grande basilica subito dopo il Mille; quest’edificio romanico, con la sua immensa cripta, abbisognò di restauri già dopo il grande terremoto del 1117; poi visse splendori e decadenze… e nei secoli scorsi si ritrovava rovinoso e stravolto, come testimoniano le foto di questa pagina.
Una importante campagna di restauro lo riportò da quello stato all’attuale, negli anni precedenti al primo conflitto mondiale; è a quella “ricostruzione” che si deve la Nonantola che conosciamo e che possiamo ammirare anche oggi. Una nuova campagna di restauro, questa volta solo conservativo, è stata necessaria dopo il terremoto del 2012; dal 2018 la grande abbazia è restituita al pubblico nel suo splendore “medievale”.
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L’abbazia di Nonantola è solo una delle grandi chiese costruite nel tempo romanico nella vasta piana padana. In questa regione, altre dodici grandi “chiese di città” ancora oggi competono in magnificenza, autorità e splendore. Before Chartres le osserva e ne descrive il cuore, in un nuovo delizioso volumetto: LE GRANDI “chiese di città” DELLA PADANIA ROMANICA.
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La Lombardia “alta” è una delle culle, se non la vera culla, dell’architettura romanica. Da qui i “maestri comacini” portarono i segreti della loro laboriosa abilità costruttiva un po’ dovunque in Europa. Questo itinerario in dieci tappe racconta le loro realizzazioni più preziose – da Gravedona ad Almenno San Bartolomeo, da Agliate ad Arsago Seprio a Civate – e lo spirito, i colori, i materiali, i modi e i vezzi che i hanno lasciato nelle chiese delle loro terre d’origine: DIECI PERLE romaniche TRA MILANO E I LAGHI.
Luca Borgia (da Fb):
L’interno tutto sommato non era stato stravolto, molto meglio lì che altrove (per dire, la ticinese S. Vittore di Muralto era messa peggio). Un po’ pesante il campanile barocco posto sopra l’abside (non credo al posto di una preesistente torre nolare, che in casi simili si sviluppava dall’incrocio di navate e transetto), ma ora è forse peggio, visto che c’è una miserabile vela, a fianco, con campane installate alla carlona. La facciata attuale imaginavo fosse un po’ di restauro, ma non così tanto: e invece è anch’essa un esempio della mano pesantissima adottata in tante chiese medievali emiliane (un po’ per le guerre, un po’ per gusto) a livello di restauro, purtroppo.
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Sì, in effetti la navata era ricca di fascino anche quando le volte erano “aggiunte”. Però la navata, più su, era sparita, e insomma… quella parte alta, l’hanno proprio rifatta.
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Luca Borgia (da Fb):
Si vede che non han trovato altro, sopra, o non c’era altra possibilità (ben diversa la fortuna delle due chiese di Aosta, con gli affreschi sopravvissuti sopra le volte del XV sec.). Comunque, rialzi di navate sono stati effettuati, in periodo di restuaro, anche in diverse chiesine minori (S. Tommaso di Briga Novarese o S Ferreolo di Grosso Canavese, XI sec. per entrambe. Almeno hanno mantenuto gli affreschi…)
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Io credo che tutto sommato la navata doveva essere alta com’è adesso: lo dico vedendo abside centrale, che mi pare tutto sommato originale nella sua struttura. Però certamente la parte alta della navata non è originale e chissà con quali riferimenti è stata “ridisegnata”.
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Luca Borgia (da Fb):
Anche il pavimento è a quota ben più bassa, ora: prima il presbiterio si alzava di qualceh gradino, ora molto di più.
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Lorenzo F. P. Mariani (da Fb):
Probabilmente il pavimento era rialzato nelle vecchie foto causa detriti e materiali di riporto (non dimentichiamo i terremoti frequenti o la scarsa qualità a volte di alcuni materiali che forse avevano fatto crollare i soffitti). Poi è stato portato forse ad una quota più normale. Si è preso d’esempio il Duomo di Modena per l’interno e la quasi coeva San Mercuriale a Forlì (la quale però aveva un matroneo). Non credo si siano inventati di sana pianta tutto, ma molto è stato ricreato in base alle chiese simili dell’epoca. San Mercuriale a Forlì aveva una facciata in stile neoclassico e nel 1920 gli venne aggiunto il rosone e abbassati i pavimenti di navata centrale e laterali per riportarla a livello originario. La stessa San Mercuriale aveva una cripta che rovinò nel 1500 e i frati non vollero ricostruire…
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Collegamento giusto, Lorenzo. San Mercuriale a Forlì è un’altra grande chiesa dell’area con una facciata rifatta nei secoli e poi riportata (almeno nelle intenzioni) ad una fisionomia romanica. Condivido meno il parallelo con l’interno di Modena, che ha pilastri “a colonna” … Piuttosto ci vedo una riproposizione “in grande” di Castell’Arquato o comunque una vicinanza con quella pieve.
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Andrea Palazzi (da Fb):
Uno dei miei obiettivi quando ho un’ora, da 30 anni, ci si arriva anche in bici.
Sì, quella attuale è un falso clamoroso, o uno pseudo-vero, sorry, non distinguo. Un’americanata, un piccolo Partenone integro.
All’interno si vedono perfettamente le linee orizzontali dove si era ridotta la navata centrale direi nel ‘600, quando l’abbazia era stata ridotta a commenda e i commendatari se ne fregavano, e il tetto a capanna andava benone al posto dell’alzata centrale pericolante o crollata. Un’aria secentesca d’altronde ce l’ha lo stemma-cartiglio in alto sul portale nella foto grande qui sopra.
Poi altri maneggiamenti..
Poi arrivò l’imperialismo neoromanico di cui ancora risente il TCI, per cui una cappella romanica o rinascimentale è sempre più ‘bella’ di una cattedrale o un’abbazia barocca, e, mi dicono, don Ferdinando Manzini si reinventò di sana pianta la lunetta del portale,e diede una buona botta alla cripta, che era stata interrata e di cui mancavano alcune colonne, sperse nelle fattorie dei dintorni. Nessun problema: fatte nuove e sostituite.
Alcune formelle del portale — il gregge, la natività, l’abbazia — mi restano comunque punti di riferimento assolutamente insostituibili.
Diciamo che dà da pensare a quanto di quello che si vede è vero, quanto è moda passeggero, e quanto proprio film assolutamente personale.
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Gabriella Di Ninni (da Fb)
Non sapevo, pur essendoci stata pochi mesi fa… Grazie!
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Caterina Sala (da Fb):
Che storia! Non ne sapevo nulla neppure io, Grazie Before Chartres! 😊 E si conferma che la storia dei restauri di architetture, sculture, pitture e qualsiasi altro manufatto artistico, è parte integrante del manufatto stesso, che ci piaccia o no.
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Ania Biondi (da Fb):
Interno bellissimo…l’esterno sembra irrimediabilmente compromesso, soprattutto la parte absidale. Grazie per aver condiviso
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E’ sempre una specie di pugnalata nel cuore per me scoprire le foto antecedenti ai restauri novecenteschi degli edifici medievali, in particolare romanici. Rimango perplesso di fronte a quello che ho sempre ammirato. E mi pongo la solita domanda: “Ma io cosa ho ammirato fino adesso?”. E, non per falsa modestia, quando mi chiedono di valutare un restauro, a me che ho studiato appositamente per occuparmi professionalmente oltre che appassionatamente dell’architettura in questo campo, inevitabilmente la mia risposta è: “Fatemi vedere le fotografie o i disegni antecedenti al restauro e potrò darvi le mie impressioni.
Impressioni, non certezze, che semmai, talvolta si raggiungono solo con un attento studio della fabbrica, uno studio storico-critico approfondito e tecnico-pratico dell’analisi delle strutture murarie. Per cui mi limito spesso ad esprime sensazioni, generalmente di disagio, di fronte a certi interventi, rifacimenti e/o ricostruzioni.
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