Povera, ma con la stessa ansia di Dio

Esiste anche un’architettura romanica povera, e anzi l’Europa ne è piena. Ed esiste anche una pittura romanica popolare e semplice. L’oratorio di San Michele a Pozzoveggiani, una località a una decina di chilometri dalla nobile Padova, è un esempio di quest’architettura minore per dimensioni e per lustro, e di questa pittura fatta di colori meno sapienti e di linee ingenue.

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L’abside vista di scorcio

Ma la fede è la stessa, e il discorso sulla fede che viene dipinto nella curva e nel catino, ha le stesse parole dei capolavori. L’abside della chiesetta ripropone, con le misure e con il valore che si confanno ad un oratorio di campagna, lo schema comune e diffuso: proprio come nelle basiliche maggiori o nelle chiese dei monasteri reali, anche qui a Pozzoveggiani il catino è il trono del Cristo in gloria, che siede “in mandorla” col libro in mano, e trionfa e giudica, circondato dai simboli degli Evangelisti; sotto questa scena irrinunciabile della Seconda Venuta, anche qui come a Tahull o a Berzé-la-Ville, per citare le più magnificenti tra le absidi romaniche, si schierano in parata regolare, le figure degli apostoli e dei santi.

Non servivano, nel XII secolo che tanto amiamo, una comunità di monaci o un abate laureato in teologia per decidere il soggetto da rappresentare nel luogo più sacro della chiesa. E’ vero: le opere minori e popolari spesso si ispirano a quelle più note e ammirate; ed è vero anche che il frescante al lavoro nell’oratorio padovano non fu certo un precursore, e piuttosto vien da definirlo un epigono, e la sua opera suona un po’ di maniera. Ma d’altra parte, mentre stiamo con il naso all’insù nella chiesetta di Pozzoveggiani, vien da chiederci quanti altri affreschi, come questo minori, saranno stati realizzati nel medioevo, e poi coperti, rifatti, trascurati e persi, perché appunto considerati di poco valore. E quindi quante altre volte proprio quel soggetto, proprio quel Giorno, proprio quel volto sarà stato rappresentato così, mentre trionfa e giudica, se in ogni abside non fu dipinta che questa scena, e se moltissime, poiché povere, sono andate perdute.

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Il Cristo in mandorla

Si dice del medioevo che sia il tempo delle superstizioni, dei miracoli dei santi, delle reliquie idolatrate. Lo si descrive come l’epoca della religiosità confusa, dove anche la piuma dell’angelo di boccaccesca memoria può far la fortuna di un monaco furbo, tanto doveva essere disposto a credere, senza ordine alcuno, il popolo di quei secoli. Ebbene non fu così, nel tempo romanico: più avanti nel medioevo forse si cominciò ad inseguire molte e differenti credenze; ma nei secoli del romanico, sopra l’altare – come all’ingresso, sul portale – sta il Giorno atteso della salvezza portata dal Cristo che torna, sta la promessa mantenuta, sta la fine del tempo sofferente e l’inizio di quello nuovo. Questa ansia e questa speranza, dipinte con tinte indelebile nella mente dell’uomo come nelle absidi di ogni dove, sono le stesse ovunque, nel tempo romanico. E il Cristo che ritorna in trono ha la stessa parola, di vita nuova, nei cori riempiti di musica dei monasteri più celebri come qui, nel silenzioso tramonto di Pozzoveggiani.

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L’interno dell’oratorio dedicato a San Michele Arcangelo

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Il lato esterno dell’oratorio

L’oratorio di San Michele Arcangelo si dice di origine antichissima. La leggenda vuole che in questo sito intorno all’anno 300 d.C. avesse il suo fondo il Prefetto Vitaliano, padre di santa Giustina, e che qui dove oggi sorge l’oratorio la Santa fosse inizialmente sepolta, prima che le sue spoglie venissero traslate, in segno d’onore, a Padova presso il Prato della Valle.

Qui a Pozzoveggiani sorse nel VII o nell’VIII secolo un luogo di culto longobardo-carolingio, che fu poi molto più tardi ampliato; l’oratorio già in origine dedicato all’Arcangelo nel XII secolo prende la forma una basilica a tre navate: le laterali sono state abbattute nel Cinquecento, ma restano evidenti le tracce del momento di massimo splendore, e degli anni in cui la basilica fu decorata con affreschi lungo le navate e in particolare nell’abside.

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7 pensieri su “Povera, ma con la stessa ansia di Dio

  1. Fiorenza

    É la chiesetta romanica proprio vicina a casa mia. L’avevo proposta una volta al Gruppo ma mancando delle tue conoscenze e spiegazioni mi era stata tacciata da “cartolina” perciò non pubblicabile. Grazie che ci hai pensato tu con il tuo insuperabile intervento.

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  2. Paolo Salvi

    Eccellente, come sempre. Ci accompagni ancora in un piccolo splendido edificio a mostrarci il bello nascosto e spesso dimenticato.
    Sono stato di recente a Padova, per vedere la Cappella degli Scrovegni che ancora mi mancava. La prossima volta andrò a Pozzoveggiani. Grazie della segnalazione.

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  3. Fiorenza Favaretto (da Fb):
    Io ci abito vicino e il luogo è sempre suggestivo per la storia di cui è carico. Tu hai postato un magnifico servizio fotografico ed ancora di più sai raccontare le vicende di queste testimonianze del passato. Bravo e grazie.

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  4. Federica Belloni (da Fb):
    Bellissimo. Adoro i cicli minori, quelli sconosciuti o nascosti in luoghi remoti. Mi ha ricordato San Bassiano a Lodi Vecchio. Anche se più imponente, ha la stessa location in mezzo all’aperta campagna e l’affresco dell’abside è simile.

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