Romanico: in cerca della luce perduta

Buio nella chiesa romanica, e luce nella chiesa gotica: difficile smentire questo schema, poiché sono le stesse chiese a confermare che la grande invasione di luce, al loro interno, avviene proprio nel XII secolo, con il diffondersi del modo “gotico” di costruire. Eppure sbaglia chi pensa che i costruttori romanici abbiano preferito l’oscurità; al contrario, cercavano anch’essi la luce, la inseguirono a lungo e con determinazione, e infine la trovarono, e furono proprio loro a portarla in dono agli architetti delle grandi luminose cattedrali dei secoli successivi.

Non amavano l’oscurità, i costruttori romanici; piuttosto, furono forzati all’oscurità, furono costretti ad accettarla, e ad accettarla a lungo, pur di soddisfare quello che era il loro obiettivo prioritario, a cui tutto si sottomise, e cioè la copertura in pietra delle loro chiese. Fu la volta in pietra ad oscurare le chiese romaniche, fino a quando non si inventò un modo per far convivere volta in pietra e grandi finestre.

Che cosa avevano tra le mani, da quale modello partivano i costruttori romanici? Tutto cominciò, lo sappiamo bene, dalla basilica paleocristiana. La quale aveva tre navate, la centrale delle quali era molto più alta: il tetto, in legno, era leggero. E quindi un’ampia fetta di muro, in alto, poteva aprirsi in ampie finestre, che chiameremo le “finestre alte”. Grandi e frequenti, le finestre di una basilica paleocristiana si susseguono senza difficoltà in questa fascia di muro, decisiva quanto all’illuminazione dell’interno, che corre in alto, sopra le navate laterali e sotto le capriate, o il soffitto piano, della copertura.

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Santa Sabina a Roma, esempio di chiesa paleocristiana con le “finestre alte”

Ma quando le maestranze, obbedendo alla richiesta dei committenti religiosi, vollero coprire le loro chiese con una volta in pietra, questa, come primo effetto, “chiuse” le “finestre alte”; le fece sparire, togliendo loro ogni spazio. In svariati modi la volta a botte in pietra soffocò le “finestre alte”. Primo: il peso della volta costrinse i costruttori a rendere più spessi i muri, anche quella fascia di parete in cui prima correvano le “finestre alte”, che non poterono più essere aperte, pena l’indebolimento della struttura. Secondo: il peso della volta “abbassò” le chiese, perché non si fu in grado, da subito, di costruire chiese voltate in pietra e contemporaneamente alte; e anche per questo motivo si ridusse lo spazio che in origine ospitava le “finestre alte”. Terzo: il peso della volta in pietra gravava le pareti della navata centrale, spingendole verso l’esterno; e per contrastare questa spinta là dove la volta “allargava” le pareti, le navate laterali si alzarono, così che anch’esse, dall’esterno, contribuirono a rendere sottilissima quella fascia di muro in cui un tempo stavano le “finestre alte”. Quarto: anche volendo mettere in parte tutte le questioni di statica, la volta a botte comunque “cancellava” quella fascia di muro in cui si aprivano in precedenza le “finestre alte”, o meglio la incurvava; la volta stessa, infatti, si costruisce proprio attraverso l’incurvarsi della muratura; insomma: là dove c’era un muro verticale, con l’introduzione della volta a botte c’è un muro che salendo presto comincia ad incurvarsi nella volta. E da cui le “finestre alte” non possono restare.

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L’interno dell’Assunta a Ventimiglia

La volta in pietra, insomma, chiude le “finestre alte”. Lo si vede bene nella chiesa dell’Assunta a Ventimiglia, e a Fromista, e in tante altre chiese romaniche che non hanno “finestre alte” perché la fascia di muro in cui potevano essere collocate – sopra gli archi tra la navata e la navatella e sotto al punto di attaccatura della volta – non esiste più.

Lo schema, il racconto di come le chiese romaniche divennero più buie, è evidentemente semplificato all’eccesso, ma resta un resoconto veritiero. Se la chiesa romanica è meno luminosa della chiesa paleocristiana, quindi, la colpa è della volta in pietra, non del gusto per l’oscuro dei costruttori del tempo. Al contrario, gli architetti romanici cercavano la luce almeno quanto i loro predecessori tardoantichi e almeno quanto i loro successori gotici; e là dove venivano via via superate anche le esigenze “difensive” che avevano fatto di molte chiese una piccola roccaforte, si sforzarono in ogni modo di restituire le “finestre alte” agli edifici di culto che andavano costruendo. Ci riuscirono con espedienti, come a Payerne, in Svizzera, dove pur di aprire piccole “finestre alte”, le aprirono “storte”, per metà già inserite nella curvatura della volta. E ci riuscirono attraverso un lungo lavoro di ricerca statica che permise loro di tornare ad ampliare la parte di muro da dedicare alle “finestre alte”; anche in questo caso però esse, poiché non si poteva indebolire troppo quel muro che portava la volta, restarono – come accade ad esempio a Cardona – poche e strette, se paragonate a quelle che si aprivano nelle grandi chiese paleocristiane (o nelle chiese “romaniche” italiane che della volta fecero sempre a meno).

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Vézelay

L’invenzione, la magia che restituì le “finestre alte” al romanico fu la volta a crociera, che permette di recuperare nella fascia alte delle pareti della navata – “Before Chartres” lo spiega già dettagliatamente in un altro articolo – un ampio semicerchio scarico in cui la finestra si inserisce agevolmente, come accade ad Anzy-le-Duc e a Vézelay.

Tutto il romanico, allora, cercò la luce, a cui rinunciò all’inizio pur di coprire le sue chiese con una volta in pietra. Tutto il romanico cercò la luce, e la trovò solo grazie alle volte a crociera. Poi venne il gotico, che certamente ereditò il sistema architettonico del romanico compiuto; in parte lo perfezionò, utilizzando senza remore l’altra innovazione strutturale, quella dell’arco acuto. Il tempo gotico, infine, diede poi alla luce, che finalmente poteva entrare nelle chiese senza alcuna difficoltà, una sua particolare teorizzazione anche teologica. Ma questa è un’altra storia, su cui “Before Chartres” non ha competenza.

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Anzy-le-Duc

 

 

11 pensieri su “Romanico: in cerca della luce perduta

  1. Giulio Giuliani ha detto:

    Andrea Rui (da Fb):
    Ottimo articolo. Mi piacerebbe sapere qualcosa sulle finestre e la lavorazione del vetro. Credo che in antichità tutto fosse prodotto nel cantiere. Mi sono sempre chiesto se le chiese in epoca paleocristiana avessero alle finestre dei vetri oppure no.

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    • Giulio Giuliani ha detto:

      Tema specifico, su cui non credo di poter entrare. Sulle finestre delle chiese paleocristiane do solo due spunti: credo che in alcuni casi al posto del vetro si usasse l’alabastro, marmo particolarmente trasparente se usato in lastre sottili; e mi pare di ricordare che a Torcello la basilica dell’Assunta presenta ancora, nelle “finestre alte”, all’esterno, degli “oscuri” di marmo che permettevano di chiuderle (e non certo per oscurare la basilica!).

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    • Paolo Salvi ha detto:

      Le chiese erano raramente chiuse da vetrate, che era un materiale molto costoso. A volte, ci potevano essere lastre di alabastro, che non di rado troviamo già in importanti chiese paleocristiane e certamente nella zona di Volterra, dove è diffusa la produzione.
      Nel medioevo e ancora nel ‘500 (tempo delle visite di San Carlo Borromeo) diverse chiese minori erano chiuse semplicemente da panni di tela di lino oleata per renderla traslucida, evitando così l’ingresso dei volatili in chiesa.

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  2. Giulio Giuliani ha detto:

    Barbara Casciu (da Fb):
    Bellissimo articolo… e te pareva 😅. Se vuoi suggerimenti sui legami teologici tra architettura e luce…credo di poterti essere di aiuto. Comincia da Panofsky, per il gotico, non credo che ti interessi effettivamente solo ciò che succede prima di Chartres. E ora ti pongo una domanda…non tutte le chiese romaniche sono coperte a botte, e neanche a crociera. Eppure anche quelle sono molto parsimoniose con il dosaggio della luce….☀️

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    • Giulio Giuliani ha detto:

      Giusto, Barbara. Ma l’ispessimento dei muri della chiesa romanica dipende anche da altri motivi e non solo dal peso della volta. Specie nelle chiese del IX-X secolo ci sono anche motivi di protezione e sicurezza… Però molte chiese romaniche italiane sono ben più luminose delle sorelle d’Oltralpe, e questo avviene anche perché, essendo coperte in legno, conservano ampio spazio per le “finestre alte”. Pensa a certe chiese del romanico pugliese, ad esempio.

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      • Antonio Tardi ha detto:

        Solo un appunto: per il gotico non serve Panofsky già ampiamente superato e smentito, basta M. Bur, “Sugero Archietetto della Luce”. Bur traduce, infatti, tutto il registro dell’Abate Sugero, abate della “paleocristriana” e poi romanica Saint-Denis a Parigi, teso a far nascere sulla base degli scritti dell’Aeropagita nella sua ricerca della Luce, quello che poi chiameremo Gotico. Lo scopo di Bur era cercare di individuare l’architetto che iniziò a modellare Saint-Denis, ma in realtà la traduzione del registro di Sugero si configura come una miniera di informazioni Storiche, Antropologiche, Umane e infine anche Architettoniche.

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  3. Paolo Salvi ha detto:

    L’articolo è come sempre ben scritto ed interessante, ottimo il raffronto degli schemi in sezione che aiutano la comprensione.
    Probabilmente però è solo una motivazione parziale quella di natura statica, le volte a botte che richiedono ispessimento dei muri per contrastare la spinta ad aprire dell’arco.
    In effetti nell’architettura romanica anche in assenza di volte, già dal periodo carolingio ed ottoniano in poi, vediamo una riduzione netta della dimensione delle finestre che finiscono per diventare le caratteristiche monofore, quasi ignote nell’architettura paleocristiana, decisamente caratterizzata dalla serie di ampie finestre ad arco a pieno centro nel claristorio.
    Dal punto di vista visivo e cultuale, la luce nel romanico è indirizzata prevalentemente nel coro, sia dal rosone in facciata che illumina l’asse direzionale della navata verso questo, sia dalle monofore absidali o quando presente nei maggiori esempi, proveniente dal tiburio che sovrasta il presbiterio.

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  4. Giulio Giuliani ha detto:

    José Espona Blanco (da Fb):
    La penumbra tiene su sentido, su contenido simbólico…el valor de una vidriera viene del contraste entre luz y tinieblas. Es algo a tener muy en cuenta, sobre todo al instalar iluminaciones modernas, que por hacerlo todo visible, muchas veces desvirtúan el entorno. Esto es especialmente grave en el caso de los altares dorados -particularmente, los barrocos- en el que el juego de las tallas cuenta con el claroscuro y el efecto mágico de la luz del oro apareciendo entre la sombra. Iluminarlo en exceso aplana las formas, uniformiza el conjunto y le da al oro un aspecto vulgar, de acumulación y de riqueza que perjudica gravemente el efecto artístico de las obras. Perdón por extenderme, pero es que es un tema que me parece importante y maltratado en las reformas planteadas pensando simplemente en que el público turista pueda ver los detallitos.
    [La penombra ha il suo senso, il suo contenuto simbolico… il valore di una vetrata deriva dal contrasto tra luce e tenebre. È qualcosa da tenere molto a mente, soprattutto nell’installare illuminazioni moderne, che per renderlo tutto visibile, molte volte snaturano l’ambiente. Questo è particolarmente grave nel caso degli altari dorati – in particolare i barocchi – in cui il gioco delle taglie vanta il chiaroscuro e l’effetto magico della luce dell’oro spuntando tra l’ombra. Illuminarlo in eccesso appiattisce le forme, uniforma l’insieme e dona all’oro un aspetto volgare, di accumulo e di ricchezza che danneggia gravemente l’effetto artistico delle opere. Mi dispiace dilungarmi, ma è che è un tema che mi sembra importante e maltrattato nelle riforme proposte pensando semplicemente al fatto che il pubblico turista possa vedere i dettagli.]

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