Pavia, l’ammaliante pergamena malata

Chiesa tra le più affascinanti di tutto il romanico europeo, il San Michele di Pavia possiede l’autorevolezza del patriarca, del capostipite. Fu per secoli luogo di culto nobilissimo, tanto che è proprio nelle sue navate che tra X e XII secolo vennero incoronati i sovrani, e anche il Barbarossa cinse qui i segni del potere sul Bel Paese; e a questa sua storia, a questo suo passato inimitabile, San Michele unisce la forza della propria struttura architettonica: poche altre chiese in Italia – forse solo il Sant’Ambrogio di Milano – presentano infatti con tanto vigore e insieme con tanta originalità i tratti più veri del romanico, a partire dalla volta in pietra e a crociera, coerentemente e compiutamente espressi in un sistema strutturale.

E però è inevitabile che di San Michele resti impressa nella mente soprattutto, e per sempre, la mirabile facciata, così bella e sofferente.

Vista dalla strada che, nell’area storica di Pavia, le passa davanti, la facciata di San Michele è di una semplicità disarmante, e in realtà solo apparente. Due soli salienti, poco inclinati, ne fanno l’esempio più noto del tipo “a capanna”; priva di qualsiasi parte sporgente, con quei tre portali che non si permettono un portico, un pronao, e nemmeno un gradino in aggetto, la sua piana parete sale da terra liscia come un foglio di pergamena; e solo è forata da sapienti finestre, peraltro riunite quanto basta a lasciare vasti spazi lisci e liberi; in alto la meravigliosa loggetta ne segna il bordo, come fosse quello di un candido lavoro a merletto.

La facciata (foto: Paolobon140)

E dovendola completare con una decorazione scultorea, che cosa si poteva aggiungere ad una facciata così, per non disturbarne la quiete? Forse proprio i rilievi leggeri, sfumati, malati che gli architetti, aiutati dal duro passare dei secoli, le hanno donato. Organizzata in lunghe fasce, la decorazione scultorea che decora la facciata di San Michele è ormai praticamente illeggibile, erosa, più di quanto sia accaduto in ogni altra chiesa del tempo, dall’azione degli agenti atmosferici. I restauratori del XIX secolo provarono a metter rimedio allo sfaldarsi di questi rilievi, senza successo. Anche perché “il restauro dei rilievi – spiega Sandro Chierici nella Lombardia di Jaca Book – venne fatto impiegando il medesimo materiale, l’arenaria, di quelli originali, col risultato che in breve tempo anche le parti ricostruite han preso a sfaldarsi, ed è oggi spesso difficile distinguerle da quelle antiche”.

Resta così, sulla piana facciata di San Michele, un decorazione che è poco più dell’incresparsi leggero della superfice del mare, quando è placido. E mentre appassionano e inteneriscono la lotta della pietra sconfitta dal tempo e le immagini perdute, che ora si possono solo intuire, allo stesso tempo il fascino di San Michele è forse accresciuto proprio dall’addolcirsi continuo di questa pietra malata. Che inesorabilmente si consuma, si schiarisce, si placa per non increspare oltre il dovuto la mirabile pergamena del San Michele, il velo prezioso che costituisce il volto della chiesa madre di Pavia.

La lunetta centrale e i rilievi (foto: Paolobon140)

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La chiesa romanica di San Michele fu costruita in un periodo non meglio definibile tra il 1117 – quando ebbe luogo il grande terremoto che colpì la Pianura Padana e che distrusse l’antica chiesa precedente – e il 1155, anno in cui vi fu incoronato Federico Barbarossa. Il culto per San Michele, però, risale a Pavia a molti secoli addietro: la devozione all’Arcangelo è un retaggio della dominazione longobarda, e già nel VII secolo è documentata dalle cronache l’esistenza a Pavia di una chiesa dedicata al principe delle schiere angeliche.

Difficile è anche datare i rilievi che ne ornano la facciata, proprio per come sono stati resi difficilmente leggibili dall’azione del tempo, e in seguito per il sovrapporsi di parti realizzate ex novo in epoche successive, già da tardo medioevo: è però opinione comune che la decorazione scultorea originale, con i tre portali e le fasce decorate che percorrono tutta la parte bassa della facciata, possa essere riferibile allo stesso periodo del completamento della chiesa attuale, quindi nella prima metà del XII secolo.

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Non solo San Michele: nella vasta piana padana – la “Lombardia” medievale – dodici delle grandi chiese costruite nel tempo romanico competono in magnificenza, autorità e splendore. Before Chartres le osserva e ne descrive il cuore, in un nuovo delizioso volumetto: LE GRANDI “chiese di città” DELLA PADANIA ROMANICA.

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10 pensieri su “Pavia, l’ammaliante pergamena malata

  1. Luca Borgia (da Fb):
    Di recente è stato pubblicato un volume con le immagini d’epoca delle sculture della facciata; non ho ancora avuto modo di tornare a Pavia, e ora non è certo il momento, vedrò di recuperarlo. Una chiesa così non la si liquida con una sola visita: tornandoci, si possono notare altre cose più nascoste ma interessanti: dalla parte bassa del campanile ai tanti piccoli rilievi incastonati nelle pareti (abside, transetto).

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  2. Pietro Marchetti (da Fb):
    Unica, è quella che mi ha fatto appassionare al romanico (e a San Michele arcangelo) sin dai tempi del liceo per una ricerca basata su un volume edito dalla Cariplo e dedicato alla chiesa. Purtroppo gli agenti atmosferici e l’inquinamento la stanno deteriorando inesorabilmente. Se potessi, le costruirei tutt’attorno una bolla di vetro per proteggerla.

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  3. Anna Gloria Dellucca (da Fb):
    Mi permetta, questa volta, di complimentarmi con la sua scrittura, così chiara, così intrisa di ammirazione verso quanto sta studiando e condividendo, così sapiente e leggera nell’attraversare la storia e le testimonianze che ha lasciato. Una scrittura che sa di amore e di poesia. Grazie.

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  4. Maurizio Calcani (da Fb):
    quando la visitai ormai un paio di anni fa, uno dei volontari che era anche un grande appassionato, mi spiegò che oltre allo scorrere del tempo e le varie intemperie un ruolo determinante lo ebbero le pioggie acide duvute all’inquinamento di alcune industrie chimiche attive nei dintorni qualche deccennio fa. poi il colpo di grazia venne da uno scriteriato intervento che avrebbe dovuto essere conservativo ma non fece che peggiorare la situazione. l’arenaria venne coperta con una soluzione che formo un film sotto il quale si insinuò l’umidità che sgretolò la tenera arenaria compromettendo ormai irreversibilmente i rilievi scolpiti…

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  5. Paolo Salvi

    Una delle chiese che amo di più. Non v’è volta che vada a Pavia che non torni a vederla, almeno la facciata, anche all’interno se ne ho il tempo ed è aperta. E’ sempre una grande emozione trovarmi davanti alla facciata, così difficile da fotografare per quella stretta piazzetta che le è antistante. Ho sognato di poter entrare nel cortile e loggiato di fronte per poterla fotografare meglio.
    Magnifica questa facciata di calda arenaria che cambia colore durante la giornata, baciata dal sole. Splendidi i rilievi sia pur erosi dal tempo e dall’incuria dell’uomo. Ovviamente vorrei poter riconoscere quelli originali, immagini i più erosi dal tempo, che ne valorizzano ulteriormente la bellezza, come a un’anziana bella signora che non si nasconde dietro belletti, ma ti mostra le sue rughe ed il trascorrere del tempo sul suo viso.
    Non sono al corrente di restauri recenti improvvidi, che mi paiono improbabili con le conoscenze attuali. Almeno me lo auguro.
    San Michele pe me è la più bella chiesa romanica lombarda. E non solo.

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  6. Luca Paleologo Palumbo (da Fb):
    San Michele. Non conto più le volte in cui l’ho visitata. Le foto che gli ho fatto. Non posso quantificare quanto la ami profondamente e quanto mi manchi non poterla visitare. Ridendo e scherzando è quasi un anno che non ci incontriamo. Che non conto le sirene… Che non scruto i suoi rilievi, o i capitelli. Che non visito la cripta o non resto affascinato dal suo crocifisso e dai mosaici del presbiterio. Mia amata San Michele.

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  7. Facciata geniale, armonica perché musicale: ogni pieno e ogni vuoto sono come una nota di un’armonia. Non ricordo niente di ciò che imparai della musica tanto tempo addietro, ma so che per me è così

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