Chi sono quelli, sotto il trono di Elia?

I telamoni della “cattedra di Elia” sono tra le più vive rappresentazioni, nel tempo romanico, della fatica e dell’oppressione. Piegati sotto il peso del trono di marmo, con lo sguardo perso e disperato, sono schiavi dalla foggia medievale, ma sembrano anticipare tutte le schiavitù del passato e del presente: i neri deportati, gli operai affumicati di carbone della prima rivoluzione industriale, le mondine nelle risaie, e anche noi, quando il peso della settimana si accumula e ci satura, ma il sabato è ancora lontano, e comunque la nostra agenda e la nostra testa non vedono via di scampo…

Un dettaglio della cattedra (foto: http://www.basilicasannicola.it)

Sono due i meschini che reggono, qui nella chiesa di San Nicola a Bari, la cattedra del vescovo Elia, nella parte anteriore, uno a destra ed uno a sinistra. Costretti a piegare le ginocchia, seminudi, rappresentano secondo un’ipotesi accreditata, due musulmani sconfitti; poggia drammaticamente sulle loro spalle, deformati dalla fatica, e sullo stesso capo, la seduta della cattedra; il loro volto è stravolto, la bocca è aperta in uno spasimo. Due altri compagni di questi poveri prigionieri sono rappresentati sul retro del trono, e forse stanno anche peggio: anche loro seminudi, sono stati atterrati, pancia a terra, da due leonesse, gli artigli forti ficcati tra i capelli ricci: hanno gli occhi piegati un un’espressione che dice dolore e panico.

La cattedra di Elia (foto: Wikipedia)

Il vescovo, quindi, siede e governa schiacciando sotto di sé gli infedeli? Probabilmente sì: siamo di fronte ad un’allegoria della vittoria – letteralmente schiacciante – della fede cristiana sull’Islam. Una quinta figura, bellissima, è scolpita nella parte anteriore, tra i due schiavi telamoni. Non ci aiuta a sciogliere la simbologia complessiva: è infatti un piccolo uomo, vestito come un cristiano, con un bastone nella mano destra e in testa un copricapo tondo che sembra quasi un elmo. Privo di spada o di altri segni guerreschi, non sorregge il trono, anche se la mano sinistra vi si appoggia, e piuttosto sembra chinarsi un po’ sotto la sua autorità, mentre si torce per guardare in su, come a rendere omaggio a chi siede sulla cattedra. Potrebbe rappresentare uno di quei pellegrini-crociati – quanti ne avrà visti passare la città di Bari! – che andavano a Gerusalemme in preghiera più che in armi.

La Puglia è terra di seggi episcopali, e sono molto interessanti, tra gli altri, quello di Monte Sant’Angelo e quello di Canosa. La cattedra di Elia però spicca per l’uniformità e per l’equilibrio della sua realizzazione. E’ scolpita, come un vero e proprio monumento, in un unico blocco di marmo, e le figure sono realizzate a tutto tondo, non in semplice rilievo. Un’iscrizione posta proprio nella fascia sopra i telamoni indica il riferimento ad Elia. Sta scritto INCLITUS ATQUE BONUS SEDET HAC IN SEDE PATRONUS, PRAESUL BARINUS HELIAS ET CANOSINUS, e in questo modo si certifica, o si lascia intendere, che a sedere su quella sedia doveva essere il “celebre e buono patrono Elia”, che fu vescovo non solo di Bari ma anche della vicina Canosa. E qui si apre il tema, non indifferente, della datazione dell’opera. Elia, infatti, è pastore della città dal 1089 al 1105: se dunque la cattedra è stata effettivamente realizzata nel periodo della sua reggenza, siamo di fronte ad un’opera che, per l’espressività e l’eleganza, è notevolmente in anticipo sui tempi; è più probabile, invece, che questa sia stata realizzata intorno alla metà del XII secolo, quando chi succedette ad Elia come rettore di San Nicola provò in ogni modo – anche appunto con questa “cattedra” episcopale – a far assegnare alla propria chiesa il ruolo di cattedrale. Anche posticipandone la realizzazione al 1150 circa, guardiamo comunque alla “cattedra di Elia” come ad un capolavoro della scultura romanica; ci risulta però più semplice, spiegarne l’altissima dando per acquisite la lezione di Wiligelmo e le tante altre esperienze artistiche maturate appunto tra l’inizio e la metà del XII secolo.

L’intarsio della seduta e dei braccioli (foto: http://www.basilicasannicola.it)

In un altro articolo, parlando della Bari medievale, Before Chartres ha raccontato la vicenda di Elia, il potente prelato, prima abate e poi vescovo, a cui questo seggio episcopale è dedicato. Rimandiamo alla lettura di quel post, utile anche a comprendere la vicenda parallela delle due grandi chiese di Bari, San Nicola e la cattedrale: si comprenderà meglio come e perché la cattedra di Elia sia formalmente “fuori posto” sul presbiterio della basilica di San Nicola, quando, essendo la sedia del vescovo, dovrebbe stare invece in cattedrale.

I tre personaggi nella parte anteriore (foto: http://www.basilicasannicola.it)

Qui ci interessa di più, ora, tornare sulla domanda iniziale, cioè chi siano i cinque personaggi rappresentati sotto il mirabile trono barese. Non avremo risposte definitive nemmeno dopo aver osservato questo manufatto, anche se brevemente, delle ulteriori angolature, quella storica e quella politica; però ci è più chiaro, ora, come questa cattedra, e gli altri “troni” che ornano le chiese principali delle città di Puglia, sono anche vere e proprie dimostrazioni di potere. Parlando dei seggi episcopali dell’Italia meridionale, Jean-René Gaborit scrive che

…oltre ad essere componenti dell’arredo liturgico, costituiscono anche l’affermazione, tradotta in marmo nel corso dell’XI e XII secolo, dei poteri spirituali e temporali che alcuni vescovi rivendicavano. […] Gli altri troni dell’Italia meridionale richiamano anch’essi la potenza e il trionfo: quello di Monte Sant’Angelo poggia su leoni, quello di Canosa su potenti elefanti, animali che si ritrovano su quello di Calvi. La situazione politica estremamente fluttuante e agitata del periodo […] può spiegare perché alcuni prelati abbiano voluto manifestare così la loro autorità…

Forse allora importa meno capire se, sotto il trono del vescovo Elia, i personaggi seminudi e sofferenti siano musulmani oppure eretici, e se quello vestito sia un crociato o un pellegrino. Più in generale vediamo e sentiamo, in questo come negli altri seggi pontificali, vescovili e abbaziali del Meridione, un segno netto dell’ambizione di supremazia e di controllo esercitata in queste terre non solo dai poteri laici, ma anche dall’autorità religiosa. Molti si dovettero inchinare sotto il giogo di marmo di questi alti prelati che, siano stati essi abati o vescovi, con ogni mezzo e in competizione tra loro, ambirono al potere terreno. E il piede pensante di questi potenti ecclesiali – questo è il messaggio vero della “cattedra di Elia” – era in grado di schiacciare gli stranieri come la gente del posto, i pellegrini come i mercanti, gli eretici ma anche i cristiani, senza fare troppe distinzioni. E il monito a prendere sul serio la loro autorità, l’avviso ai naviganti, al popolo e alle genti tutte, arrivava anche dalle liturgie, e anche dagli arredi del presbiterio in cui questi pastori impietosi, questi signori col pastorale, celebravano la santa messa.

La cattedra nel presbiterio (foto: http://www.basilicasannicola.it)

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7 pensieri su “Chi sono quelli, sotto il trono di Elia?

  1. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Uno dei seggi episcopali, la Cattedra di Elia, più eleganti e finemente scolpiti tra i diversi che soprattutto nell’Italia Meridionale si possono ancora trovare. Non mi soffermo sull’interpretazione allegorica dei personaggi, che risulta sempre alquanto ostica, e spesso mi appaiono più un divertissement dell’autore che altro.

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  2. Avatar di Sconosciuto Anonimo

    Ho avuto l’onore di conoscere la professoressa D’Elia tre anni prima che venisse a mancare, ed è stato un grande piacere sentirla raccontare delle sue ricerche giovanili sul romanico insieme al marito Michele. In merito alla cattedra, sono pienamente d’accordo con l’analisi iconologica fatta da Giulio, infatti da un punto di vista banalmente estetico il soldato virtuoso è eretto mentre i due portatori non solo sono sfiancati ma sono addirittura gobbi.

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    1. Confermo, Attilio. L’estate scorsa per riuscire a scattare questa foto e poche altre ho dovuto chiedere e richiedere e quasi supplicare. E ho potuto fare solo alcuni scatti, al termine della celebrazione, e solo da lontano.

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