Davanti al portale di Santa Maria, a Uncastillo, anche Before Chartres quasi si arrende: il carosello di figure, qui, è vorticoso e allo stesso tempo elegante, e si fatica a posare la fotocamera; i tre archivolti decoratissimi sono un gioco pieno di fascino, come quello che fanno, più in alto, i canecillos della chiesa… E insomma: nel fuoco d’artificio dei tre archi scolpiti – ci tocca ammetterlo, alla fine – è impossibile trovare, come piace a noi, una lettura sottesa, un senso, un racconto, magari un messaggio spirituale o teologico. Siamo pur sempre all’ingresso di un luogo di culto; eppure tutto sembra parlare d’altro.
Non c’è ombra di dubbio che questo portale, posto sul lato meridionale della chiesa, verso la piazzetta, sia uno dei più belli e pittoreschi del romanico aragonese, e anzi – per dirla con le parole che il grande storico dom Angelico Surchamp ha scritto per Zodiaque – “l’un des plus beaux d’Espagne, plastiquement parlant, pièce magistrale au vrai”. E’ però probabilmente inutile cercare una logica tra le tante immagini, sia nei sei capitelli, in cui si mescolano temi profani ed episodi biblici – notevolissimo quello della cacciata dall’Eden -, sia nella parte più fiorita del portale, organizzata, come dicevamo, in tre archivolti.
Quello superiore, con le figure più grandi, presenta suonatori, ballerine, volti che fanno smorfie, coppie di danzatori, acrobati e qualche animale: tornano gli stessi temi che si incontrano anche nei canecillos sotto la gronda tanto che lo storico dell’arte Angel San Vicente può scrivere che “l’archivolto superiore (…) potrebbe in realtà essere considerato come una semplice composizione di modiglioni con figure, posti l’uno dopo l’altro; e questa impressione si rafforza quando si incontrano personaggi che tornano molto simili nei modiglioni dell’abside, dando corpo ad una tematica della stessa ascendenza artistica”. I due archivolti inferiori sono invece particolari, perché ripropongono un tema, uno stratagemma figurativo, che si incontra anche altrove in queste terre, e cioè una moulure, una modanatura cilindrica, come un moderno tubo, che percorre tutto l’arco, occupandone lo spazio centrale e “spingendo” così le figure scolpite sul fondo: nell’archivolto inferiore questa si distribuiscono sopra e sotto la modanatura; in quello centrale, con un effetto molto caratteristico, esse invece si mostrano “dietro” la moulure, e mostrano il busto sopra di questa, mentre le gambe sbucano da sotto: molte delle figure sembrano cioè sedute fianco a fianco, distribuite come i commensali di un pranzo di nozze ad una lunghissima tavola dalla forma cilindrica.

Ma si tratta davvero della rappresentazione di una “tavolata”? Se si scorrono le figure di questo archivolto di mezzo cominciando da sinistra, incontriamo subito due personaggi che hanno in mano fiaschi, o bottiglie, e che sembrano davvero in attesa che qualcuno serva loro anche da mangiare; nel terzo concio sono scolpiti un uomo e una donna che, anche loro seduti come a tavola, litigano e si tirano i capelli a vicenda. Ci possono stare, a pranzo o a cena, i due personaggi del concio successivo? Quello a sinistra sembra essere un “cavadenti”, con tanto di tenaglia nella mano destra, e quello a destra sembra un paziente ben poco compliante. Più avanti ancora, completano la prima metà dell’archivolto due personaggi con la barba: e se il secondo sembra proprio attendere placidamente che servano il digestivo, il primo sorprende: tiene sulle spalle un agnello, e non pare questo il modo migliore per partecipare ad un banchetto.

I conci successivi ci presentano un uomo che fa gli sberleffi e un altro che con la mano destra si liscia la barba mentre col gomito sinistro si appoggia alla modanatura e si regge la testa. A capotavola, se davvero quella che vediamo è una tavolata, sta uno strano personaggio, che alcuni studiosi definiscono come un animale, forse un maiale, e altri interpretano come un satanasso, con tanto di genitali scoperti, tra le zampe, nella parte bassa della figura. Strana è la presenza, in questa posizione alta, nel concio successivo, di quello che sembra essere semplicemente un elemento decorativo, come una sfera dagli strani riccioli…


Poi riprende il susseguirsi di altri personaggi: c’è una donna che si tira i capelli e poi un uomo che alza entrambe le braccia come fosse un orante: e se questi due si potrebbero ben considerare come personaggi seduti, è un po’ più difficile farlo con quelli del concio successivo, che sembrano due attori in piena performance sotto la tenda di un teatrino. La sfilata delle figure rappresentate dietro la modanatura cilindrica procede con un giovane imberbe che, con le mani stranamente incrociate, impugna quella che sembra una grossa tenaglia, e poi con un uomo che divisa la lunga barba in due ciocche, sembra poggiarla proprio sulla tovaglia.


Compie pressappoco lo stesso gesto anche l’ultimo dei personaggi scolpiti, anche questo, quindi, inscrivibile nella lista delle figure che fanno pensare ad un banchetto; tra i due commensali barbuti, però, nel penultimo concio sbuca una scimmia, questa rappresentata di lato: ben diversa dalla posa dall’altro animale – sempre che non fosse un diavolo! – che abbiamo incontrato al vertice dell’archivolto, la nostra scimmia non è certo seduta a tavola, e semmai dietro alla tavola cammina, salendo verso il centro, come cercando qualcosa.
E allora: anche ammesso che quello rappresentato sia una banchetto, questa sfilata ulteriore di personaggi non assume, qui a Uncastillo, alcun valore simbolico. E’ profondamente laica, questa tavolata, e semmai divertente. E se addirittura nelle chiave di volta sta un porcellino – sempre che non sia un diavolo! – deve proprio concludersi senza esito la nostra ricerca di un significato allegorico o teologico che tenga insieme commensali annoiati, dentisti, attori, tenaglie e gente che si accapiglia. Piuttosto, di nuovo, vien da pensare che decorando questo lato della chiesa gli scultori di Santa Maria abbiano voluto rendere omaggio alla piazzetta e alle feste e ai mercati che in questo spazio probabilmente si svolgevano in tanti e tanti giorni dell’anno; e torniamo a concludere che anche lavorando al portale, così come fecero quand’erano alle prese con i canecillos alti, gli scalpellini di Uncastillo ebbero la libertà – o addirittura la richiesta – di far dialogare nel modo più pieno possibile la chiesa con la piazza, e di mettere in comunicazione il luogo delle liturgie e del rito con lo spazio dei balli e dei medici di strada, degli acrobati e degli ambulanti.
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Non c’è, questo bellissimo portale, nel volumetto sui grandi portali romanici che Before Chartres propone – finalmente “in carta” – ai suoi lettori più fedeli. Non c’è: ce ne sono però altri dieci, di certo altrettanto belli. Vedere per credere. Qui: DIECI grandi PORTALI ROMANICI.
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Prezioso questo portale di Uncastillo con le tante figure rappresentate come in una danza allegorica profana, ma che presumibilmente ha degli agganci teologici che a noi moderni mortali ancora sfuggono.
Effettivamente molti sembrano la riproposizione, quasi una summa, delle raffigurazioni tipiche delle modanature a reggere le gronde, che accolgono, irriverenti, molte figure profane.
Una meta obbligata per il mio futuro viaggio in Aragona e Navarra.
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