Il luogo, il paesaggio, e il panorama che si possono gustare salendo in visita all’abbazia di Ganagobie sono noti al grande pubblico, e famosa è anche la spezieria che, negli spazi sopravvissuti del monastero, ne ripropone i prodotti tipici. Ma dal punto di vista squisitamente artistico, è la chiesa abbaziale a proporre due specifici elementi di interesse, entrambi dalla storia contrastata: all’esterno si può ammirare infatti il portale, su cui sono evidenti, come si vedrà, i segni di interventi complicati e inattesi; ma ancora più degni di nota – assicuriamoci quindi di arrivare quando anche la chiesa è aperta alle visite – sono i mosaici pavimentali nel presbiterio, i quali a loro volta hanno attraversato vicissitudini non da poco, tanto che potevano dirsi sostanzialmente perduti, e oggi invece si offrono al visitatore come un particolarissimo unicum.
Se luogo, contesto e vista sono tanto suggestivi, qui a Ganagobie, è perché il monastero è sorto tra i rilievi delle Alpi dell’Alta Provenza, sull’altopiano che domina la valle della Durance e la via Domizia, via di comunicazione romana che dalla Capitale dell’Impero portava in Spagna. Nel vasto spiazzo in quota, a circa 650 metri di altitudine, un paesaggio di terra arida, di pietre e di antiche necropoli, e di alberi bassi che faticano a dare ombra, circonda l’insediamento monastico, che si fa risalire al X secolo. Saliti fino all’abbazia, si giunge alla chiesa, che vista dall’esterno sembra essere più piccola rispetto a come apparirà poi, una volta varcata la soglia, e al suo portale, databili alla ricostruzione del XII secolo. Qui a colpire è il particolarissimo modo in cui sono profilati i montanti che affiancano l’ingresso, con strane dentellature a piccoli semicerchi, e come allo stesso modo queste “bolle”, in successione continua, percorrano anche gli archi sopra la lunetta con il Cristo in Gloria e il Tetramorfo, e segnino infine anche il bordo inferiore dell’architrave, su cui sono scolpiti i dodici apostoli.
E siamo qui di fronte alla prima delle sorprese: secondo gli studi recenti, quella che appare come una peculiarità stilistica del portale, cioè appunto il giro continuo di semicerchi sagomati, potrebbe essere invece il frutto di un intervento ben posteriore al tempo romanico. Jacques Thirion è perentorio: questo grossolano nastro di lobi circolari, “tout à fait estravagants“, sarebbe un’invenzione di chi, nel XVI o nel XVII secolo, smontò e rimontò completamente il portale, e s’ingegnò, in questo modo, di renderlo più originale. Ancor più sconcertante è il modo in cui questi “innovatori” avrebbero inteso abbellire, in coerenza con gli archivolti e i montanti, anche l’architrave romanica con gli apostoli, scolpendo le “bolle” anche nel suo profilo inferiore; e per farlo non si sarebbero preoccupati di infierire non solo sull’equilibrio di impaginazione dell’intero rilievo, ma addirittura sui piedi delle stesse figure, alcuni dei quali sono stati scolpiti via per realizzare il decoro a semicerchi.
All’interno della chiesa ci aspetta un’altra opera notevolissima del periodo romanico, anche questa segnata da una storia controversa: si tratta del pavimento a mosaico della parte orientale – le foto sono tratte dal sito dell’abbazia – con greche e riquadri riempiti da bellissime figurazioni geometriche, ma poi in gran parte abitato da un variegato “bestiario”, a cui si aggiungono scene ulteriori, di caccia e di combattimento.
Nei 72 metri quadri di pavimento musivo, un fine artista ha riutilizzato materiale antico di spoglio, creando il suo capolavoro con tessere di tre colori prevalenti: di arenaria rossa, marmo bianco e calcare nero. E ci ha lasciato in dono figure d’elefanti, di felini, di uccelli, di draghi, di grifoni e di serpenti… Un centauro è nell’atto di scagliare una freccia verso un leone maculato, ed è solo la minore tra le scene di combattimento: in un’altra, la più ampia, un cavaliere al galoppo si getta con la lancia verso un grande mostro metà drago e metà chimera, mentre una volpe digrigna i denti, e una specie di fauno si frappone tra il cavaliere e la bestia; nell’ultima grande scena, di una bellezze quasi rinascimentale, un san Giorgio (o un san Michele?) compie la sua missione e ficca la sua arma nelle fauci del dragone.


Un’iscrizione, nel giro dell’abside centrale – “ME PRIOR ET FIERI BERTRANNE JUBES ET HABERI ET PETRUS URGENTEBAT TRUTBER MEQ(UE) REGEBATM” – ci tramanda il nome del priore Bertanne, che volle quest’opera vasta, realizzata con coerenza e maestria da Pierre Trutbert; e riportandoci a colui che la ideò e la volle, permette di datarla secondo alcuni commentatori agli anni intorno al 1125, secondo altri a mezzo secolo più avanti.
E però questo pavimento così bello non è giunto a noi senza vicissitudini. Al contrario fu coperto e nascosto nei secoli della decadenza del monastero, tanto che se ne persero le tracce e la memoria. Il crollo dell’abside nascose ulteriormente questo capolavoro, e fu solo alla fine dell’Ottocento che, liberato dai detriti oltre che dagli intonaci e da tutto ciò che lo celava alla vista, tornò alla luce. Tra il 1976 e il 1986, infine, fu sottoposto ad un vasto restauro, che ne ha restituito il disegno e la bellezza, e al termine del quale i vari riquadri poterono tornare definitivamente là dov’erano stati realizzati. Non fu possibile, purtroppo, colmare un’ampia lacuna, e siamo stati privati per sempre, purtroppo, di una parte del mosaico, quella antistante all’abside centrale; ciononostante quello di Ganagobie è il più interessante e il più vasto tra i pavimenti musivi figurati della Francia romanica.


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Gabriella Franco (da Fb):
Che meraviglia i mosaici!
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Lasciano senza parole i mosaici di Ganagobie, nell’Alta Provenza, che mi rammarico di aver solo sfiorato tanti anni fa, nel 1991 diretto nel Rossiglione, che ancora non li conoscevo. Bellissima la tricromia della tessere, affascinanti i tondi ben conservati, quasi integralmente, con un’antologia del bestiario medievale arricchita di alcuni elementi originali. Infine curioso il portale con quella sua conformazione tutta polilobata, alquanto anomala in un portale romanico, e forse giustificata ora da interventi successivi che l’hanno reso così “stravagante”, seconda l’acuta definizione dello storico che l’ha studiato.
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Kati Lipani (da Fb):
Il Romanico provenzale è presente anche in alcune aree del Piemonte occidentale
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