La restituzione del “Volto santo” – il grande crocefisso lucchese sottoposto ad un restauro durato alcuni anni e ora di nuovo esposto al pubblico – costituisce un evento di assoluta rilevanza per l’arte medievale. Con le sue braccia distese sulla croce, torna infatti ad accogliere i fedeli e i visitatori, nella chiesa di San Martino, quella che gli studi recenti dicono essere la più antica scultura in legno del medioevo italiano.
L’aspetto del Volto Santo – presentato pubblicamente, secondo i tempi previsti, a metà settembre 2025 – è stato così profondamente mutato dai restauri, che il grande crocifisso ligneo è ora oggetto di un inevitabile e acceso dibattito. Era quasi completamente annerito dal tempo e dalla fuliggine delle candele di devozione, mentre ora, riportata alla luce la pigmentazione originaria, risplende di colori che definire vivaci non è improprio: barba è vivida e folta come una chioma, e spartita in mezzo; i capelli sono lunghi, stesi sulle spalle, e hanno acquistato spessore e luce; il viso, che nei secoli era diventato scuro, e quasi faceva tutt’uno con il corpo nero, ora ha una bella carnagione rosa carico, e al centro dominano gli occhi, grandi e magnetici, realizzati in piastra vitrea; nella lunga veste, che ora finalmente è blu, risalta un ampio ricchissimo bordo in oro a girocollo (che potrebbe però anche essere aggiunta tardomedievale).
Di fronte a queste tinte ritrovate, e insomma di fronte ad un crocifisso profondamente diverso da quello che è stato possibile osservare fino a ieri, è inevitabile che si riproponga innanzitutto il tema della sua corretta datazione. Un passaggio sorprendente si era verificato solo alcuni anni fa, nel 2020, quando a seguito delle analisi effettuate in laboratorio gli studiosi hanno dovuto ricredersi; e se prima concordavano nel considerare il crocifisso un manufatto del XII secolo, seguendo le indicazioni fornite dal carbonio 14 ne hanno anticipato la realizzazione all’VIII-IX secolo. Questa virata, dicevamo, suscitò e suscita ancora sorpresa: ci si stupì in primo luogo che gli esperti d’arte avessero sbagliato di tre secoli la loro valutazione; e poi però è suonato strano anche il loro repentino inchinarsi, in buon ordine, alla datazione più antica determinata in laboratorio. Ben venga allora il restauro, e con esso la possibilità di effettuare – ora che il Santo Volto è stato riportato alle origini ed è assai meglio leggibile – una nuova disamina storico-artistica, che tenga conto dello studio fatto col C14, ma che si fondi, com’è giusto che sia, sull’osservazione del manufatto, sull’analisi dello stile, dell’iconografia e delle modalità utilizzate per la sua realizzazione.
C’è poi, altrettanto inevitabile di fonte alla nuova cromia del crocifisso, la questione dell’opportunità o meno di certi interventi di restauro “totale”, che restituiscono a chi la osserva un’opera ben differente da com’era in passato, e per certi versi quasi irriconoscibile. Tenendoci lontani dalle posizioni estreme – quella secondo cui ogni restauro non può che essere radicale, e quella di chi dice che non si doveva in alcun modo toccare il crocifisso – facciamo nostre le riflessioni di Ilaria Sabbatini. In un suo post, la studiosa scrive:
Un restauro non viene fatto “a sentimento”, ma è preceduto da uno studio attento che porta a delle decisioni ponderate sui passi successivi e sulle soluzioni. Ma la cosa non si ferma qui. Credo infatti che il problema che tanti cittadini pongono rispetto al Volto Santo – non a caso è noto come “Volto”, nonostante sia una statua a corpo intero – sia di riconoscibilità. Ironie e polemiche a parte, non è un dato così superficiale come sembra. (…) Il restauro era necessario. (…) Come studiosa sono entusiasta nel vedere il Volto Santo così come appare oggi. Quello che però voglio sottolineare è che un oggetto di culto è qualcosa di diverso da una “semplice” statua, per quanto magnifica essa appaia. E mi rivolgo soprattutto a chi partecipa a questa discussione pretendendo che tacciano i non addetti ai lavori. Ebbene, non è affatto sensato credere di poter tagliare fuori da una discussione su un culto popolare chi non se ne intende (di storia? di arte? di religione? potete completare a piacere).
“Il culto intorno a questa icona – spiega ancora la studiosa – è ancora molto vivo”. Ed è così, verrebbe da aggiungere, nonostante il passare dei secoli, durante i quali questa immagine è diventata popolare in tutta l’Europa, ha operato miracoli, ha suscitato devozione, ha acceso e consolato l’animo di molti. Se il recente restauro, allora, restituisce a Lucca e ai fedeli un Volto Santo reso sicuramente più vero e più bello, non ci si deve accontentare, né chiudere: “C’è da ascoltare, c’è da capire – sottolinea Ilaria Sabbatini – c’è da riflettere sul processo di riconoscimento in corso. C’è da aspettare, per vedere se coloro che trovavano nel Cristo nero il riferimento della propria identità civica o religiosa riescono a riconoscersi in questo nuovo Volto (…) riconoscendone le nuove prerogative e quindi confermandone il ruolo”. Non è solo questione di estetica e di arte. Se il recente restauro, allora, restituisce a Lucca e ai fedeli un Volto Santo reso sicuramente più vero e più bello, non ci si deve accontentare, né chiudere: “C’è da ascoltare, c’è da capire – sottolinea con grande equilibrio la ricercatrice – e c’è da riflettere sul processo di riconoscimento in corso. C’è da aspettare, per vedere se coloro che trovavano nel Cristo nero il riferimento della propria identità civica o religiosa riescono a riconoscersi in questo nuovo Volto (…) riconoscendone le nuove prerogative e quindi confermandone il ruolo”. Non è solo questione di estetica e di arte.



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Assolutamente cancellate le origini della scultura, che rendevano giustizia a un Gesù mediorientale, dalla pelle scura, intrisa di sangue versato e ricca di colori scuri di altà nobiltà espressiva. Purtroppo la strada del restauro in Italia si é fatta carico di ideologie che non le competevano, ha quindi abusato e abusa di centinaia di opere maggiori e minori, con la scusa della leggibilità e della cancellazione del tempo e della storia… Arriveremo a lucidare un vasi attico a figure nere…? Prima o poi, si!
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Il restauro di opere d’arte è sempre un’operazione rigorosa di carattere scientifico. Questo particolarmente in Italia, dove, se correttamente effettuato come dovrebbe, è sempre preceduto da una analisi approfondita storica dell’opera, dei materiali con cui è stata realizzata, e delle tecniche che hanno portato alla sua realizzazione.
Solo dopo questo studio approfondito si può intervenire consapevolmente sull’opera, con cautela e con interventi non invasivi (ove possibile) che possano ricondurre ad uno stato originario.
Naturalmente l’opera acquista una nuova “freschezza”, vicina all’aspetto originario, che però inevitabilmente confligge con la sensibilità di chi per anni si è abituato a vederla in un altro stato, spesso coperta di patine e a volte annerita.
Ricordo ai non addetti, che queste patine non sono semplicemente il segno del tempo, come tanti inesperti romantici le definiscono, ma quasi sempre (anche senza il quasi) sono delle patine di agenti patogeni, che portano al degrado del manufatto, sia la pietra, una scultura in legno o degli affreschi o pitture.
Detto questo per chiarezza, è evidente che quella patina “cancerosa” va rimossa per preservare l’integrità futura dell’opera, pur consapevoli della perdita del fascino del tempo che passa sull’opera stessa.
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Condivido, anche senza esperienza in materia.
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Maria Grazia Acreman (da Fb):
forse i colori troppo vividi tolgono il fascino dell’antichità
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Marguerite Wetz (da Fb):
Je ne suis pas une experte mais je dois avouer que cette restauration me laisse perplexe. Pourquoi changer complètement sa tenue, lui mettre un manteau avec des garnitures qui n’existaient pas au XII ème siècle?
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Daniela Morigi (da FB):
Un volto d’impatto e colori unici. Davvero notevole… non ne sapevo nulla. Grazie.
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Anna Gloria Dellucca (da Fb):
Ora, secondo me, è più “bello”. Grazie per l’articolo.
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Elisa Morelli (da Fb):
O Dio a me sembra don Chisciotte dipinto da Daumier… è pur vero che anche don Chisciotte rappresenta un cavaliere antico, un personaggio atemporale…
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Alina Fanciulli (da Fb):
La Croce che è a Lucca era arrivata a Marinella di Sarzana su una barca priva di equipaggio. Poichè i paesi intorno se ne contendevano il possesso, fu posta su un carro trainato da buoi mai aggiogati (per evitare che si dirigessero verso la loro stalla). La Croce fu assegnata a San Frediano di Lucca (suppongo che i buoi si siano diretti verso la vicina Carrara, il cui duomo all’epoca dipendeva dai Canonici di San Frediano). Comunque per secoli la gente di Carrara ha festeggiato questo evento il 3 maggio, giorno di Santa Croce. Ricordo tutta Marina di Carrara in un grande pic nic sulla spiaggia, una festa per noi bimbi.
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Viviana Deruto (da Fb):
Sapete che l’altro “Volto Santo” si trova presso il monastero di Santa Croce a Bocca di Magra (SP)? Ne conoscete la storia?
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Luca Borgia (da Fb):
Ce ne sono diversi, in realtà; antico come quello di Lucca lo si trova a Sansepolcro; quelli di San Gimignano, S. Croce sull’Arno o San Sisto a Pisa sono più recenti (seppur sempre antichi); quello di Bocca di Magra (in quel che resta del monastero di S. Croce del Corvo, oggi albergo residenza per religiosi e non) dovrebbe essere del XI sec.. Un altro ancora è in San Paragorio a Noli (SV)…
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Mamma mia che cambiamento! Fa uno strano effetto, ero abituato a vederlo tutto scuro, quasi nero… aveva un’aria così antica e misteriosa. Adesso è stupendo, per carità, i colori sono bellissimi, ma è come se fosse un’altra cosa. È vero quello che dice l’articolo, ci si deve riabituare. Chissà se darà le stesse sensazioni di prima.
Elena
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