A proposito di chiese perdute, non si può non parlare di quella che Guglielmo da Volpiano costruì a Digione: perla splendente del primo romanico, resa unica dalla grande rotonda a tre piani in cui andava a terminare, anche l’antica basilica di Saint-Bénigne non è per noi che un vuoto, il ricordo flebile di un sogno ormai sfuggito. Possiamo visitarne oggi una minima parte – quella che ora chiamiamo “cripta” -; ma è uno spazio ormai troppo bianco e troppo lindo, il pallido rimasuglio di un edificio tra i più interessanti del medioevo, nella cui vicenda dialogano, attraverso la voce di interpreti illustri, le epoche della storia dai primi secoli del cristianesimo fino all’età moderna.
Il santo a cui la chiesa fu dedicata, e di cui ancora conserva le spoglie, fu Benigno, di nome e di fatto. Apostolo della Borgogna, evangelizzò per primo queste terre nel II secolo e, torturato con punteruoli conficcati sotto le unghie, trafitto da due lance, il cranio fracassato a bastonate, morì esule a Digione nel 179; Benigno però ci riporta ancora più indietro nel tempo, perché si diceva fosse discepolo di san Policarpo, che a sua volta era stato il figlio spirituale di Giovanni l’evangelista, il quale – e così arriviamo fino a Gesù – era stato l’apostolo prediletto del Maestro.
È il grande storico Gregorio di Tours, qualche secolo dopo, a raccontarci come nacque a Digione il culto di Benigno: narra che in un cimitero le genti pregavano su un sarcofago particolarmente grande, e dal defunto che là era sepolto – che per questo cominciarono a chiamare benevolo, benigno – ottenevano spesso la grazia. Insospettito, vedendo una sorta di idolatria in questo culto non ortodosso, il vescovo di Langres, nonno o bisnonno di Gregorio di Tours, provò a proibirlo, fino a quando lo stesso Benigno non gli apparve, garantì per sé stesso, e pretese che sulla sua tomba fosse costruita una chiesa. Queste cose accadevano nel VI secolo, e da allora la chiesa di saint-Bénigne fu il cuore cristiano di Digione.
Più volte rinnovato, il santuario, attorno al quale nel frattempo si costituì una comunità monastica, crebbe il fama e potenza. Nei decenni a cavallo dell’anno Mille, la costruzione della grande basilica romanica e della mirabile rotonda, che furono il vanto della Borgogna medievale, fu la sfida e l’impresa di altro gigante del suo tempo, cioè Guglielmo da Volpiano. Nato a San Giulio d’Orta, fu fervente seguace della riforma cluniacense, e andò in giro per la Francia a riformare monasteri e a costruire grandi chiese, portando con sé il gisto “lombardo” della sua terra d’origine: è a lui che si deve la grande costruzione romanica di Mont-Saint-Michel; e però anche qui a Digione lasciò il segno, con la grande basilica, ma soprattutto con la “rotonda” a tre piani che volle costruire a oriente della basilica, là dove stanno normalmente le absidi.
La rotonda, degno mausoleo del santo benigno, era un edificio che non trova uguali. Appoggiata alla parte terminale della basilica, in modo che le absidi e il presbiterio trovassero sfogo nella vasta costruzione circolare, aveva un diametro di circa venti metri, ed era articolata su tre piani. Il primo, costruito sotto il piano di calpestìo della navata, era in sostanza la prosecuzione della chiesa sotterranea che stava sotto tutta la basilica di Guglielmo. Lo si può ammirare ancora oggi, questo piano interrato, chiamato oggi impropriamente “cripta”: è costituito da un vano centrale circolare circondato da un primo giro stretto di otto colonne, poi da un deambulatorio circolare e da un nuovo giro di 16 colonne, di nuovo avvolto da un ulteriore deambulatorio, racchiuso il tutto dalla parete perimetrale.
Sopra questo primo piano interrato, ne sorgevano un secondo e un terzo, oggi distrutti. Il secondo, alto e vasto quanto il primo, ripeteva lo schema con il vano centrale – che qui però era vuoto, collegando visivamente i due livelli – e con il doppio deambulatorio. Il terzo, altrettanto ampio, aveva anch’esso la parte centrale aperta verso i piani sottostanti; la circondava il giro centrale stretto di otto colonne, mancava invece il secondo colonnato, così che si ricavava uno spazio più arioso, che era inoltre duplicato in altezza, e coperto come da una cupola. Un oculo stava al centro della copertura e dava luce al terzo piano ma contemporaneamente al secondo e al primo, collegati dal vuoto centrale; due alte torrette rotonde, una a nord e una a sud della rotonda, permettevano l’accesso ai piani.
La vasta basilica che Guglielmo da Volpiano lasciò in eredità ai posteri fu ricostruita, dopo un devastante incendio, verso la metà del XII secolo, in forme ancora romaniche; di nuovo poi subì una radicale trasformazione centocinquant’anni dopo, questa volta in forme gotiche, ulteriormente modificate in seguito: da allora la basilica smise di essere comunicante con la rotonda, e quest’ultima, traslato il corpo del Santo nella chiesa gotica, perse via via senso e funzione. La rotonda, ormai fatiscente, fu rasa al suolo dai rivoluzionari nel 1792. Ma non fu possibile abbattere il piano basso, che si trovava sotto il livello di calpestìo; così si decise di riempirlo di terriccio e di rovine, spianando poi il terreno sopra di esso. Fu riscoperto e letteralmente ricostruito – difficile dire con quanta fedeltà – solo a metà dell’Ottocento, e trasformato appunto in una cripta senza una chiesa sopra. Ulteriori recenti restauri hanno dato a questo spazio una patina di pulito e di nuovo, a cui molti però preferivano il sapore di antico e di oscuro che il sito aveva in precedenza.
Del nobile complesso di Saint-Bénigne, composto da basilica e rotonda, ci restano alla fine, insomma, solo i disegni, i racconti, le ricostruzioni… e la base (ricostruita) dell’ardita rotonda. Qui il doppio giro delle colonne massicce, i capitelli rudimentali, le pareti a loro volta segnate dalle semicolonne, le volte alternate a botte e a crociera bastano a testimoniare del grande progetto di un monaco-architetto visionario, realizzato, per dirla con le parole di Rodolfo il Glabro, nel tempo in cui “il mondo intero si illuminava dei bianchi edifici restaurati”.
Mentre ci si avvicinava al terzo anno dopo il Mille, in quasi tutto il mondo, ma soprattutto in Italia e in Gallia, furono rinnovati gli edifici delle chiese. Benché la maggior parte di esse, essendo costruzioni solide, non avesse bisogno di restauri, tuttavia le genti cristiane sembravano gareggiare tra loro per edificare chiese che fossero le une più belle delle altre. Era come se il mondo stesso, scuotendosi, volesse spogliarsi della sua vecchiezza per rivestirsi di un bianco manto di chiese. I fedeli, infatti, non solo abbellirono quasi tutte le cattedrali e le chiese dei monasteri dedicate a diversi santi, ma persino le cappelle minori poste nei villaggi…
Ed è, questa rinascita fervente narrata da Rodolfo e perfettamente concretizzatasi nella rotonda di Guglielmo a Digione, uno dei momenti più misteriosi del lungo periodo romanico: certifica come l’ansia di costruire, e di costruire edifici capaci di durare per secoli, abbia camminato a braccetto, nel medioevo, con il pensiero millenarista, con la tensione escatologica, con le ansie per la fine del mondo inevitabile e imminente; ansie che di certo non si esaurirono passato l’anno Mille, e che anzi perdurarono per tutto il tempo romanico, ritornando dominanti, con folate successive, durante il secolo XI e parte del successivo.
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Andrea Carli (da Fb):
Tutto molto chiaro, grazie. Capisco finalmente la storia di questa cripta che ho visitato almeno trent’anni fa e che non ero riuscito ad apprezzare fino in fondo. Ci tornerò sicuramente anche se mi sembra oggi molto diversa da com’era allora.
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Giancarlo Rogari (da Fb):
Evidentemente una costruzione così bella e poderosa, ormai inesistente avrebbe dovuto essere dedicata piuttosto che a S. Benigno, ad un altro santo più benevolo e protettivo. Troppo bella, poderosa e, nel contempo, maestosa. C’è rimasto solo da sognarla

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Maria Muggia (da Fb):
Stupendo articolo, grazie mille!
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Elena Biagini (Fb):
Che meraviglia doveva essere in origine e che danni ha portato ovunque al patrimonio artistico e religioso della Francia la rivoluzione giacobina! L’origine del male che si è espanso fino ai nostri giorni.
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Un edificio di straordinaria importanza purtroppo andato perduto e che rappresenta un unicum (per quanto posso rammentare) nel panorama universale del Romanico. Purtroppo sono andato in Borgogna, a Digione, a Pasqua 2023 quando era chiuso per i lavori di restauro che hai ben descritto.
Conto di tornarci quanto prima.
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Gli scavi di Carolyn Marino Malone, statounitense, sono stato distrutti negli anni settanta, perche aveva trovato l’inizio della cripta sotto la chiesa (qualche colonne), no della rotonda. Per i francesi era insopportabile che uno straniero fece. Credo che gli scavi siano stato proseguiti da lei, pubblicazione dal 2008. (Fonti: corso de M. Carol Heitz, U. de Paris-X, Francia).
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