Il Medioevo romanico è un tempo che cammina all’indietro. Anzi, un tempo fermo in attesa. L’uomo romanico, infatti, è certo di vivere nella stagione che prepara la fine del mondo; e quella che oggi noi chiamiamo “arte romanica” non è altro che la risposta dell’uomo e del tempo romanico all’Apocalisse che già fa sentire le sue trombe. Palpiti e ansie e pensieri del tempo romanico risultano per noi specialissimi proprio perché, generati in questo “tempo sottosopra”, sono “altri” da noi.

Jumièges, le rovine
Tutto il tempo romanico, non solo il periodo intorno all’Anno Mille, vive questo senso di ansia e di attesa dell’Ultimo Giorno: “Noi, che siamo posti alla fine dei tempi”, dice Ottone di Frisinga degli uomini del suo secolo, ancora centocinquant’anni dopo il Mille. Lungi dal considerare il loro tempo come un momento di trasformazione, gli uomini del Medioevo romanico lo consideravano invece come l’anticamera della fine; e “nei disordini che li circondavano, e che noi qualificheremmo volentieri come fremiti d’adolescenza, (…) vedevano solo la decrepitezza di un’umanità ‘invecchiata’. La vita irresistibile fermentava, nonostante tutto, negli uomini. Ma, non appena essi meditavano, nessun sentimento era loro più estraneo di quello di un avvenire immenso aperto innanzi a forze giovani” (Bloch, M., La società feudale, p. 105).
“Niente era loro più estraneo di un avvenire aperto”: così priva di prospettiva – anche se contemporaneamente impregnata di una vivissima attesa escatologica – la cultura romanica costituisce una lunga parentesi nel cammino della civiltà umana. Si oppone alle culture dei tempi precedenti, tutte segnate dalla speranza di un continuo progresso, e costituisce un unicum non più ripetuto in Occidente nei secoli successivi.
L’uomo romanico – vale più in generale per il tempo romanico – non è tanto incapace di progettualità, di ambizione, di sforzo comune per la costruzione di una società migliore; piuttosto non considera questa ipotesi, e nemmeno valuta la possibilità o la necessità di un progresso personale o collettivo, poiché vede ormai concluso dinnanzi a sé il viaggio della civiltà umana. Come un vecchio malato consapevole della fine che lo attende si disinteressa di tutto ciò che i giovani sembrano considerare importante, così il tempo romanico non fa programmi né sogni per il futuro. Allo stesso tempo, però, come un bambino pronto ad uscire dal grembo materno, il tempo e l’uomo romanici guardano già alla vita nuova incommensurabilmente più grande, l’unica vera, realmente degna di essere vissuta, che li aspetta “dopo” la fine.
Concentràti sulla morte più che sulla vita, sulla fine del tempo più che sul suo scorrere, gli uomini e il tempo romanico pensano ed operano come mai gli uomini hanno pensato ed operato. Il tempo romanico e gli uomini romanici attendono l’ultimo giorno, vivono per esso; e poiché esso è vicino, non possono e non vogliono vedere altra prospettiva. E sarà così fino a quando, già nella stessa epoca medievale, il tempo gotico e gli uomini gotici riscopriranno l’idea di progresso, ricacciando lontano dalle loro giornate il momento del Giudizio Universale.
Dina Gatta (da Fb):
Quante analogie con questi , così detti , tempi moderni !!!
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Gianluigi Vezoli (da Fb):
Con quella di oggi non direi. Analogie senz’altro con la mentalitá indiana, imbevuta di religione come nel nostro medioevo, quella si.
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La questione della fine del Mondo, del Mille e non più Mille è piuttosto controversa e alcuni studi recenti la contestano.
Sulla base dell’opera dello storico del Medioevo Georges Duby (L’anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva., Einaudi Torino, 1976) è stata avanzata una interpretazione del periodo dell’anno Mille che nega la realtà storica della “grande paura” che viene riportata piuttosto a una leggenda elaborata nel periodo Rinascimentale per mettere ancor più in evidenza la barbarie medioevale rispetto alla civiltà dei “moderni”, e ripresa, per fini opposti, dal Romanticismo che apprezzava i sentimenti religiosi diffusi nel periodo medioevale. Secondo Duby invece la Rinascita nacque per «L’inizio di una svolta importante, il passaggio da una religione rituale e liturgica – quella di Carlomagno, quella ancora di Cluny – a una religione d’azione e che s’incarna, quella dei pellegrini di Roma, di Santiago e del Santo Sepolcro, e presto quella dei crociati. Nel seno dei terrori e dei fantasmi, una primissima intuizione di quella che è la dignità dell’uomo. Qui, in questa notte, in questa indigenza tragica, in questa barbarie, cominciano, per secoli, le vittorie del pensiero europeo»
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I like this article very much. It goes some way towards explaining what defined the Romanesque period. For me, the Romanesque represents an accumulation of the culture of the previous centuries, “a time that walks backwards“ as you write. The paradox was that despite seeing the present day as a time of decay, the twelfth century was a time of Renaissance. As Guibert de Nogent wrote in the early twelfth century, “Although pure strength was pre-eminent among the ancients, yet among us, though the end of time has come upon us, the gifts of nature have not entirely rotted away. Certain mortals have developed the foul habit of praising previous times and attacking what modern men do … However, no discerning individual could prefer in any way the temporal prosperity of the ancients to any of the strengths of our own day“. Today it is hard to imagine a society that thought material progress was in the past but theRomanesque world was geared towards preparing for the End, which is why the feudal order was divided in three: Those who worked, those who fought and those who prayed. Each, part of a symbiotic relationship whose purpose was to help Man comes to terms with the imminent Apocalypse.
The Romanesque culture had not yet a properly defined concept of Purgatory, which had to be invented when the material benefits of this cultural Renaissance of the twelfth century came to be felt throughout society and this is part of what sets the Romanesque apart from the Gothic. In a sense the Romanesque was a victim of its own success.
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Ciao Paolo, anch’io da sempre sono un estimatore dell’arte romanica.
Tralasciando altro, mi sono chiesto anch’io perché quest’arte trasmetta qualcosa di forte, di spirituale, molto più, ad esempio, dell’arte gotica.
Quando osservi l’interno della chiesa gotica di Santa Maria del Mar, a Barcellona, ti chiedi come facciano quelle esili colonne a tener su tutto l’edificio. Quando contempli l’interno di San Pietro in Vaticano, ti chiedi come abbiano potuto costruirla senza gru e motori. Di San Giovanni in Laterano ammiri l’immenso spazio vuoto che la rende una gigantesca “stanza” coperta.
Le chiese romaniche, no. E’ evidente che stiano su grazie ai possenti muri. Sono alte, ma le riesci a capire. Però trasmettono altro. Invogliano alla preghiera. Oppure alla concentrazione, grazie anche al buio. Le sculture romaniche non sono belle, sono utili.
Il romanico trasmette un messaggio: non distrarti! Prega!
Tento di dare un’interpretazione integrativa a quanto scrivi tu (ma anche tutti i manuali di storia dell’arte).
Parto da lontano. Il maledetto lockdown 2020 mi ha fatto approfondire alcuni aspetti del mondo ortodosso. Come sai, esso è rimasto in gran parte cristallizzato al settimo secolo. Il Romanico è forse più vicino a quel cristianesimo lì che al nostro. Pensiamo alla fissità delle icone che devono far pregare, non stupire o farsi ammirare. In quel mondo dove non esiste san Francesco o san Domenico o neanche don Bosco, e neppure il rosario o la via crucis, la grande figura è ancora il monaco. Non quello cistercense di san Bernardo, che verrà dopo lo scisma. Quel monachesimo che noi non sappiamo più capire, di cui l’ordine benedettino odierno è solo un pallido ricordo.
Mi spiego brevemente. Lì la preghiera è fissa, se va bene si ripetono gli stessi salmi con ritmo settimanale. Lì l’orazione mentale non è meditare fantasticando, ma liberarsi dalle distrazioni, vero segno del demonio, che ti appare con immagini e figure seducenti. E soprattutto, la vita del monaco è prepararsi al grande incontro, quello definitivo, che aspetta tutti, con Dio che giudicherà ogni azione e ogni pensiero.
Ecco perché sui portali così spesso c’è Cristo in gloria e c’è il Giudizio definitivo. Ecco perché le sculture non sono mai belle, anche se vive, caratterizzate, parlanti. Ecco perché nelle chiese romaniche ci si concentra così bene, e si arriva alla preghiera; ecco perché ci affascinano, parlano al nostro inconscio, anche se la nostra conoscenza non è più formata a capirle. Sono chiese che respirano il monachesimo che viene dal deserto d’Egitto. E mirano a salvare la nostra anima.
Poi fu san Bernardo di Chiaravalle, che promosse il gotico, la teologia scolastica con la luce delle vetrate gotiche, le chiese rinascimentali simili ai templi pagani, il barocco col culto dell’orpello, e così via.
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