Sei capitelli, tre per parte, reggono gli archivolti del portale di Artáiz. Perfettamente allineati a concludere le sei colonne, tracciano come una “linea d’arte” che taglia a metà lo splendido quadrato d’ingresso della piccola chiesa di San Martin; più sopra, il timpano spoglio e gli archivolti semplicissimi e privi di figure scolpite sembrano concedere proprio ai capitelli tutta la luce dei riflettori; ancora più in alto, un’altra “linea d’arte” decorata, quella costituita da modiglioni e metope, delimita il portale proprio sotto il tetto, ma è di fattura più modesta. E allora è proprio sui capitelli che ci si può concentrare, qui ad Artáiz: qui devono venire coloro che ancora non riconoscono, o non comprendono, la differenza tra la scultura romanica e quella dei secoli successivi.
Bellissimi, scolpiti dalla stessa mano, i sei capitelli sono in sottile ed intenso dialogo tra loro. Il primo a sinistra è una riuscitissima interpretazione romanica di un capitello corinzio; poiché è l’unico a non contenere figure, sembra diverso ed estraneo… ma ci torneremo. Il secondo ci introduce già nell’arte visionaria di questo scalpellino di Artáiz: dentro a strane volute che spuntano dalla base del capitello, sta accovacciato al centro, reggendosi con le mani proprio a quelle fronde, un vecchio con la barba; ha tre volti, uno che guarda in avanti, gli altri due che guardano a destra e a sinistra; ha le bocche protese come in un soffio, e forse rappresenta proprio il vento che agita là dove vuole l’aria e le nubi. Nel terzo capitello cominciano a giocare tra loro uomini e animali: in due scene diverse, divise da una grande testa a far da voluta d’angolo, vediamo a sinistra un uomo che pare saltare sopra un leone che lo guarda sorridente, a destra un vecchio con barba e il turbante, che, accovacciato al di sopra di un cane, porta qualcosa alla bocca.
Nel primo capitello a destra del portale, le posizioni si mescolano: sulla faccia di sinistra gli uomini stanno sotto – sembrano due lottatori affrontati testa a testa – e sopra incrociano il collo due grandi uccelli; sulla faccia destra incontriamo di nuovo una figura umana che sovrasta un animale: è il famoso acrobata di Artáiz, con il suo piede nudo, che sembra fare sberleffi mentre si appoggia sulla schiena di una fiera dalla grande testa, seduta e non poco infastidita. Il quinto capitello mostra due nobili figure di arpie che si danno le spalle ma si guardano ed incrociano le code di serpente. Il sesto capitello, infine, è il più rovinato; ma si vede bene ancora un uomo seduto in un angolo in basso, che sta lì a guardarci; davanti a lui è possibile forse vedere un forte leone rampante.
Non ci lasciamo sfuggire il modo particolarissimo con cui il maestro di Artáiz ha costruito tutti i suoi capitelli, concependoli “a due piani”. In ogni pezzo, infatti, e in ogni faccia, si nota una parte inferiore e una superiore; e la linea mediana è segnata in modo preciso, ed evidenziata da volute incurvate che sporgono – quelle su cui si poggiano il vegliardo che mangia e l'”acrobata”, ad esempio, o quella tra le due arpie, che a loro volta evidenziano questa linea mediana con il loro petto – o dalle stesse teste degli animali quando questi si trovano nella parte inferiore, come nel caso del leone sotto l’acrobata. E’ come se cominciando a scolpire ogni capitello, lo scultore di San Martin avesse visto in ogni pezzo, in primo luogo, la stessa struttura con due piani sovrapposti, entrambi più larghi in alto, come due tronchi di cono rovesciati uno sull’altro. Ed è come se scolpendo ogni capitello il maestro di Artáiz abbia voluto conservare ed evidenziare quella forma, uguale per tutti. Forma che, non a caso, è la stessa che si presenta, secondo linee essenziali e pulitissime, nel primo dei capitelli a sinistra, con il doppio giro di foglie d’acanto a disegnare idealmente i due coni rovesciati e innestati uno nell’altro.
Anche se costituiscono un insieme profondamente unitario, i sei capitelli di Artáiz non si impegnano a rappresentare una narrazione coerente, come certe serie di soggetto biblico che caratterizzano tanti altri portali romanici. I rilievi di San Martin, allora, ci avvicinano ad una migliore comprensione della complessità del lavoro di uno scultore romanico. Egli opera in molti casi libero da schemi; gli viene chiesto di scegliere il soggetto di ogni suo pezzo, e però egli si impone, per le forze che ha, di dare una logica coerente alla propria narrazione; e di fronte ad ognuna delle pietre grezze che dovrà lavorare, lo scultore romanico si muove come un pendolo tra l’assoluta libertà che gli viene concessa e il senso pieno di responsabilità rispetto all’opera finita. Opera finita in cui egli fonderà, insieme, la misura della propria abilità tecnica, la propria cultura simbolica, la propria sensibilità spirituale, la conoscenza che egli possiede della Bibbia e della teologia.
Possiamo immaginare il maestro di Artáiz alle prese con i sei blocchi di marmo a sua disposizione; lo vediamo mentre li scruta, e decide una forma coerente, e però in ognuno intravvede un soggetto che già si propone ai suoi occhi d’artista; sentiamo l’incertezza e la responsabilità che avranno agitato il suo animo, intuiamo quanti possono essere stati i pensieri e i cambiamenti di rotta, ancor prima del primo colpo di scalpello… E ci è chiara allora la fatica compiuta da tutti gli artisti romanici – in quale cantiere gotico uno scalpellino si è mai trovato solo, libero, senza un progetto, a scolpire capitelli che non fossero gli uni uguali agli altri? -; e ancor più ci è chiaro che il maestro scultore di Artáiz ha realizzato, con le sei pietre che aveva tra le mani, un capolavoro davanti al quale non si può non emozionarsi.
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Piccola, ad una sola navata, priva della facciata, la chiesetta di Artáiz – in minuscolo villaggio della Navarra, a metà strada tra Pamplona e Leyre – è resa nobile solo dal portale addossato, come struttura unitaria e sporgente, alla parete meridionale. Oltre ai sei capitelli che reggono gli archivolti, sono interessanti, come si diceva, le sei metope rettangolari tra i modiglioni del tetto: opera di un artista diverso da quello dei capitelli, rappresentano, in modo più primitivo, alcune scene ricorrenti dell’iconografia romanica, dalla pesata delle anime alla discesa di Cristo agli Inferi, alla cena del ricco Epulone… Interessanti, come accade spesso nel nord della Spagna, i modiglioni scolpiti, nel portale e sotto il giro del tetto della chiesa, alcuni dei quali con soggetti esplicitamente a fondo sessuale.
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Vista a luglio, ahimé solo all’esterno, perché la persona che ha le chiavi e a cui ho telefonato ha detto che faceva troppo caldo alle tre del pomeriggio per venirla ad aprire. Non potendo aspettare perché avevo altri luoghi da visitare ne. pomeriggio sono andato via, piuttosto contrariato. Il portale comunque vale il viaggio.
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E’ possibile avere il numero del custode? Grazie.
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Mi spiace, nell’ultimo nostro viaggio in Navarra, non abbiamo avuto contatti con il custode: l’accesso al portale era libero, e non abbiamo ritenuto di visitare l’interno.
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E’ sulla porta della chiesa.
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+34659303994
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