Jaca, uno specialista in foto di gruppo

Terra piena di scultura romanica, di capitelli, chiostri, portali, canecillos e statue a tutto tondo, l’Aragona è anche, di conseguenza, terra di valenti e diversi maestri scultori – ricordate, per citarne alcuni, il “maestro di Jaca”, il “maestro di San Juan de la Peña”, o quello “di Artáiz”, o ancora quel Leodegario che opera a Sangüesa? -; ed è entusiasmante imparare a riconoscere, di ciascuno di questi artisti romanici, la mano, lo stile, i vezzi, i tratti distintivi, anche in capolavori lontani e diversi, e non firmati.

Tra gli artigiani che girarono la regione con lo scalpello in mano, forse neppure consci che le loro opere avrebbero attirato sguardi e attenzioni anche a mille anni di distanza, ce n’è uno capace soprattutto di scolpire i suoi personaggi di marmo come se stessero uscendo dalla pietra in quell’istante, e forse non del tutto ancora. Non conosciamo il nome di questo artista; gli studiosi del Medioevo romanico, però, lo individuano come il “maestro di Doña Sancha”, per via dalla sua opera più bella, quel sarcofago che fu scolpito a Santa Cruz de la Serós per le spoglie della nobildonna.

E’ probabile che, come è accaduto a Before Chartres, abbiate già notato il suo stile, inconfondibile, là dove tutti vanno quando arrivano a Jaca, e cioè sotto la Lonja Chica, il porticato che, sul lato meridionale dà accesso alla cattedrale. Qui, tra tanti capitelli che riportano alla scultura tipica della città, direttamente e profondamente ispirata dalle opera romane, ce n’è uno in tutto differente, con i suoi personaggi decisamente anticlassici, con i volti paffuti, i capelli come cuffie da nuotatori, i movimenti a volte goffi a volte arditi: è il capitello che racconta le vicende di Papa Sisto e di Lorenzo, opera, appunto, del nostro “maestro”, che se non stona, di certo si fa notare, tra tanti pezzi di ben altra eleganza.

Secondo Angel San Vicente, uno degli autori del volume Aragon Roman di Zodiaque, la tecnica e lo stile di questo scultore si contraddistinguono per “una certa goffaggine nel trattare le mani, generalmente grandi e inespressive, con le dita serrate e piuttosto rigide, per le capigliature molto pulite e ben marcate, per una drappeggiatura degli abiti fine e nervosa, che marca bene i movimenti del corpo, per le pupille arrotondate che disegnano gli occhi come un po’ bombati e cadenti…”. Tipica dello stile di questo scultore è infine “…una composizione a gruppi sempre equilibrati, con una predilezione per le linee che si incontrano e i movimenti simmetrici…”. E questi gruppi pieni di fascino si possono ammirare come la caratteristica più interessante del Maestro – più ancora che nel capitello della Loggia di Jaca, dove la forma del supporto non permette di scolpire gruppi di figure – nel sarcofago commissionatogli, come dicevamo, alla morte di Doña Sancha, figlia di re e a sua volta contessa.

Il sarcofago di Doña Sancha (foto da romanicoaragones.com)

Nel quale stupiscono, per la loro bellezza, proprio le due immagini che aprono a chiudono il lato lungo del manufatto. A sinistra, sotto un’arcata, tre religiosi camminano nella stessa direzione: si tratta di un vescovo, che porta il pastorale, e di due chierici che lo affiancano, il primo con un libro, l’altro con il turibolo e un globo; e tra loro, che forse rappresentano proprio la partecipazione dell’intera chiesa di Jaca alle esequie della nobildonna, sembra svolgersi un intenso e dialogo silenzioso, grazie ad un particolarissimo incrociarsi degli sguardi – non sono privi di fascino, quindi, quegli occhi “un po’ bombati e cadenti”! -, uno tenuto basso in segno di lutto, gli altri due come in cerca d’intesa per la più corretta esecuzione della liturgia.

Sotto l’arcata di destra, al di là della scena centrale in cui due angeli portano in paradiso l’anima della nobildonna, un altro gruppo ci conferma l’abilità peculiare dello scultore: ci troviamo infatti davanti ad una scena domestica, quasi da quadretto naïf, con Doña Sancha, seduta al centro, impegnata, come in un dialogo tra anime pure, a conversare con le sue sorelle, Teresa e Urraca, o con due consorelle del monastero di Santa Cruz de la Serós, che la accolse negli ultimi anni di vita.

Tra le qualità più affascinanti di questi due “gruppi” notevolissimi, quello dei religiosi in cammino e quello della contessa con le compagne, c’è il modo in cui i corpi scolpiti sembrano emergere appena dal fondo, in un rilievo dolcissimo che non li separa mai troppo, né mai bruscamente, dalla pietra non lavorata; la quale anzi sembra avvolgere le scene, abbracciarle sempre, e partecipare del loro fluido movimento. Il “maestro di Doña Sancha”, peraltro non stacca mai la sua scultura dal marmo in modo ardito: lo testimoniano le zeppe di pietra non asportata che l’artista lascia tra certe parti in particolare rilievo – si guardino le mani e le dita nel capitello di Papa Sisto, e i piedi degli angeli più vicini alla mandorla nella scena centrale del sarcofago – quasi non trovasse il coraggio di liberarle dal fondo da cui si alzano.

La lunetta dell’Epifania, nel chiostro di San Pedro el Viejo
Il “capitello dell’Annunciazione” (da romanicocoaragones.com)

Non c’è dubbio che, oltre al sarcofago conservato nel monastero delle Benedettine di Jaca, due altri pezzi portano la firma dello stesso Maestro, come evidenzia il bellissimo sito romanicoaragones.com, di Antonio García Omedes, archivio entusiasmante del romanico di queste terre. Ma se la “lunetta dell’Epifania” che si trova sopra una porta nel chiostro di San Pedro el Viejo, nella città di Huesca, sembra molto incerta rispetto scene scolpite nel sarcofago di Jaca – un allievo? un’opera giovanile? – non possiamo avere dubbi davanti al notevolissimo “capitello dell’Annunciazione”, che sta nella camera “segreta” di Santa Cruz de la Serós. Anche in questi pezzi – comunque databili agli ultimi decenni dell’XI secolo – tornano i volti rubicondi e le capigliature strette intorno al capo, e gli occhi evidentissimi e i gesti coraggiosi e sempre significanti delle figure scolpite; torna un fondale che sembra una nebbia, una nuvola che avanza; e tornano le “zeppe” di pietra – anche sotto la mano tesa del Bambino nell’Adorazione dei Magi – che contraddistinguono uno scultore originale, frizzante, popolare, dall’arte piena di originalità. A cui si perdona volentieri quel poco di imbarazzo che lo frena, quando si trova a dover scolpire le mani e i piedi delle sue figure.

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Un pensiero su “Jaca, uno specialista in foto di gruppo

  1. Molto interessante questa ricerca dello stile che identifica l’autore di questi bassorilievi (come di altri). Siamo abituati a leggerne riferite alla pittura, molto meno o per lo meno ancor più per “addetti ai lavori” ed estimatori, quando si tratta di queste meravigliose sculture, forse meno apprezzate perché considerate semplici “ornamenti” o per le loro fattezze che non ricercano la perfezione del realismo. D’altronde neppure potrebbero trattandosi spesso di immagini simbolico/allegoriche figlie di un iconografia tipica del tempo.

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