Voce romanica per le colonne antiche

“Tra gli arredi della basilica di San Marco a Venezia, il ciborio è il più visibile e inosservato. Sfilando davanti alla Pala d’Oro – spiega un recente articolo nelle pagine culturali del Sole24Ore – il pubblico gli passa accanto senza che gli sguardi si soffermino su quella sorta di baldacchino con la volta a crociera, che racchiude l’altare maggiore ed è sostenuto da quattro colonne di marmo completamente rivestite di sculture”. E’ vero: collocato al centro del presbiterio, il ciborio di San Marco è visibilissimo, eppure risulta quasi trasparente agli occhi dei visitatori, tanta è la bellezza diffusa nella “basilica d’Oro”.

Per contro, su quel ciborio, e in particolare sulla datazione delle quattro colonne scolpite che lo reggono – tardoantiche? romaniche? duecentesche? – si sono confrontate, passandolo al microscopio delle loro analisi e scrivendo al riguardo centinaia di pagine, intere generazioni di studiosi di storia dell’arte. Nel suo piccolo, ogni volta che incrocia le brune colonne, anche Before Chartres si chiede se possono e debbano trovar spazio qui, o se siano il frutto di arte d’altre epoche, più antiche o più nuove, rispetto a quella su cui questo blog si concentra.

Il ciborio visto di scorcio

Non sbagliano, gli studiosi, a concentrarsi su questo grande arredo liturgico, perché qualunque sia l’esito delle loro analisi sulla datazione, siamo davanti ad un’opera notevolissima: i quattro fusti monolitici di alabastro orientale, infatti, sono l’esito del lavoro coerente di un maestro molto abile affiancato probabilmente da collaboratori di minor valore; ogni colonna è concepita come l’ordinato sovrapporsi di scene, scolpite dentro nicchie tutte uguali, e in ogni colonna si contano nove fasce sovrapposte, ciascuna a sua volta articolata in nove nicchie; abbiamo così in totale 324 nicchie o archeggiature, e su questo sfondo sono narrate ben 108 scene con una o più figure, scolpite con un profondo rilievo. Le due colonne anteriori presentano secondo gli studiosi una maggiore qualità compositiva: quella a sinistra narra, in ventisei scene, dell’infanzia di Gesù, a partire dall’Annunciazione, secondo il racconto del protovangelo di Giacomo e del testo di Giovanni; quella a destra propone ventiquattro scene della passione di Gesù. Nella colonna posteriore sinistra, trenta scene, ispirate dal protovangelo apocrifo di Giacomo, riassumono la vita di Maria; la colonna posteriore destra, infine, propone con ventotto scene insegnamenti e miracoli di Gesù, e qui il testo ispiratore è il Vangelo di Luca.

Che lo stile delle sculture sia quello tipico dell’arte tardoantica, con chiari riferimenti orientali, è chiaro a tutti: la prima ipotesi, tra quelle avanzate dagli studiosi, è quindi che le colonne siano state realizzate a Costantinopoli, o comunque in area bizantina, intorno al V o VI secolo.

Le colonne anteriori

E’ altrettanto condiviso, però, dagli studiosi, come le iscrizioni che illustrano le scene, incise con regolarità nelle fasce che dividono i livelli, rimandino per stilemi e grafia, al XII secolo. I sostenitori della datazione antica sostengono allora che questi “titoli”, alcuni peraltro non completamente rispondenti ai soggetti scolpiti, siano un’aggiunta posteriore; ma proprio per via di queste iscrizioni, altri storici dell’arte hanno ritenuto di concludere che le colonne sono ascrivibili al tempo romanico, anche se scolpite in oriente; secondo una terza supposizione, le due colonne anteriori potrebbero essere tardoantiche e bizantine, mentre le due posteriori, di qualità inferiore, sarebbero state invece realizzate a Venezia nel XII secolo, e in questo secolo, inoltre, si decise di aggiungere, nelle antiche e nelle nuove, le iscrizioni esplicative.

Alcuni storici dell’arte di gran fama, infine, si sono lasciati affascinare dalla tesi che a Venezia nel XIII secolo si sia diffuso il gusto di scolpire secondo stilemi classici: la colonne del ciborio, allora, sarebbero il frutto di questo “proto-rinascimento veneziano” e, insieme ad altre opere della stessa Basilica, andrebbero datate al Duecento avanzato, quando furono scolpite “copiando” la maniera degli antichi. Per questi studiosi, tra cui Otto Demus, l’intero insieme scultoreo sarebbe da considerare come opera di una bottega veneziana della metà del XIII secolo: “Tale bottega – spiega un articolo del blog “Bisanzio”, a cui rimandiamo per la sua ricca documentazione – nel quadro di una precisa propaganda di stato, mirante alla ricostituzione di un imperium christianum comprendente l’Adriatico e il Levante, sarebbe stata specializzata nella produzione di copie di pezzi antichi, al fine di fare apparire la città più antica di quanto essa in realtà fosse e porla sullo stesso piano delle città imperiali di Roma e Costantinopoli”.

Il presbiterio e il ciborio visti dalla navata
Una delle colonne e il capitello

Gli studi più recenti, ispirati dal lavoro di Thomas Weigel, smontata pezzo per pezzo quest’ultima ipotesi di una produzione tardomedievale, e riportano le colonne all’epoca tardoantica. Secondo le più vicine acquisizioni, esse sono state scolpite in oriente, e probabilmente a Bisanzio, nel V o VI secolo; sono state utilizzate come sostegno del ciborio di una chiesa locale, probabilmente dedicata a Maria, e sono state poi “importate” dai Veneziani – a modo loro! – nei primissimi anni del XIII secolo, forse anche in occasione del sacco di Bisanzio del 1204. Prima di collocarle nel centro del presbiterio della basilica di San Marco, proprio i Veneziani hanno aggiunto i “titoli” esplicativi.

E’ proprio grazie alle iscrizioni, allora, che resta qualcosa di profondamente “romanico” anche in questo notevolissimo racconto: i rilievi sono tardoantichi e scolpiti nella pietra orientale, dobbiamo riconoscerlo; e però le frasi aggiunte da chi eresse il nuovo ciborio di San Marco risalgono al periodo che Before Chartres ama; ed è molto romanica, secondo una delle più recenti tesi di dottorato sul ciborio, “la strategia comunicativa, tipica del XII secolo, che consentiva di esercitare il controllo delle immagini attraverso l’uso di testi dalla forma grafica regolare e dai caratteri linguistici convenzionali, in modo da consentire, peraltro, la lettura collettiva”. Come la basilica nel suo complesso, come i suoi mosaici, come molte altre opere nella stessa San Marco, il ciborio porta il segno evidentissimo dell’esperienza antica e di quella orientale; c’è però nei suoi quattro meravigliosi sostegni anche il genio della cultura romanica, tutta votata alla costruzione di un ponte tra il sacro e il popolo, e fermamente convinta della sottomissione dell’arte alle esigenze dell’evangelizzazione e alla necessità di diffondere, prima ancora del gusto per il bello, l’annuncio salvifico sceso in terra insieme al Cristo.

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5 pensieri su “Voce romanica per le colonne antiche

  1. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Una querelle appassionante quella della datazione delle colonne del ciborio di San Marco a Venezia. Effettivamente quando si entra nella maggiore basilica veneziana si viene travolti dal profluvio d’oro e colori ed elementi scultorei e musivi che si perde l’orientamento, tanto si è travolti da tale inesauribile magnificenza, e si fatica a concentrarsi su un elemento specifico che immancabilmente sfugge disperso nell’insieme, travolgente.
    Così ammetto di non averlo “visto” questo splendido ciborio dalla controversa datazione.

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  2. Aldo Valentini (da Fb):
    Grazie per questa interessantissima analisi sui rilievi della colonne di questo ciborio. Devo confessare che anche io devo averli poco notati o snobbati, concentrato sulla architettura e sui mosaici o forse già proiettato verso la retrostante Pala d’ oro. Certamente le recinzioni non aiutano e non ricordo tabelle descrittive ad hoc. Già lo sai che mi necessità un ritorno sul posto. Mi hai inoltre ricordato che devo trovare una versione completa, aggiornata dei vangeli detti apocrifi.

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