Col suo volto arcigno, maschera metallica dalle pupille vuote, il Cristo crocifisso del Duomo di Casale Monferrato sembra rimuginare, più ancora che sul supplizio inflittogli da Pilato e dagli Ebrei, su come fu rapito, un millennio dopo, e rubato come pegno di vendetta; sembra chiedersi se è giusto o no per lui stare appeso nel duomo di Casale, e se i fedeli che gli passano sotto da molti secoli gli sono davvero devoti, o se prevalga nei Casalesi, ogni volta che lo guardano, il ricordo delle baruffe tra città avversarie, e l’intimo sorriso beffardo di chi sa di essersi tolta un gran soddisfazione.
Quello che per noi oggi è il Cristo crocifisso di Casale, infatti, stava in origine nella cattedrale di Alessandria. È per la cattedrale di Alessandria che fu realizzato in legno, metalli nobili e pietre preziose, probabilmente negli stessi anni – siamo nella seconda metà del XII secolo – in cui gli Alessandrini costruirono in fogge romaniche la loro chiesa madre, e la consacrarono.
Se ne stava tranquillo ad Alessandria da qualche decennio, il nostro Cristo crocifisso, quando nel 1216 l’esercito alessandrino partì, raggiunse Casale Monferrato, borgo vicino e scomodo, lo mise a ferro e fuoco, e per stroncarne le mire indipendentiste si impossessò con la forza delle sacre reliquie di sant’Evasio, patrono antico dei Casalesi, e le portò ad Alessandria. Le sacre spoglie rubate sfilarono così in cattedrale sotto al nostro bel Crocifisso, che forse già allora, non condividendo il furto e prevedendo sventure, assunse l’espressione accigliata che sfoggia ancora oggi.
O forse, il viso del Cristo crocifisso si incupì un paio di secoli dopo, quando un altro atto cruento, e sacrilego, ribaltò la situazione. Nel 1403, guidati dal capitano di ventura Facino Cane, i Casalesi marciarono su Alessandria e, penetrati in cattedrale, si ripresero le reliquie del loro sant’Evasio. E non se n’andarono senza pretendere una riparazione per l’affronto del 1215: come rivalsa per aver dovuto a lungo patire la lontananza del santo patrono, decisero di portare via, quasi in ostaggio, quel grande crocifisso coperto d’argento e gemme che senza dubbio avrebbe fatto la sua figura anche a Casale Monferrato: il borgo da secoli ambiva a diventare città, e il duomo si preparava – anche abbellendosi in questo modo – ad acquisire il titolo di cattedrale, che sarebbe arrivato infine settant’anni dopo, nel 1474.
Le vicende storiche ci dicono che i committenti e gli autori della splendida opera, dunque, vanno cercati non a Casale, ma nella vivacissima Alessandria del 1170 o giù di lì. I confronti stilistici e gli studi compiuti confermano l’ipotesi: la seconda metà del XII secolo fu, per le terre della Longobardia a nord del Po, un periodo fervente e di importanti realizzazioni, e di numerose contaminazioni artistiche. “Si tratta di una splendida statua lignea – scrive del crocifisso Sandro Chierici – (…) che raffigura il Salvatore in croce. Non è il Cristo sofferente, ma neppure ricorda la fissità simbolica del Cristo dominatore assoluto; rappresenta la vittoria sulla morte di chi la morte ha patito in tutta la sua sofferenza e drammaticità; non ne porta più i segni dolorosi, ma rivela la serena consapevolezza di essere ormai oltre la morte, nella vita piena”.
Per le sue dimensioni e per l’innegabile monumentalità – il corpo del Cristo è alto circa due metri, la croce ne misura quasi tre – il Crocifisso di Casale viene spesso confrontato con quello argenteo del Duomo di Vercelli, altra città vicinissima, e con la Croce di Raingarda che si conserva a Pavia, in San Michele. Questi due pezzi sono entrambi però risalenti al periodo ottoniano, cioè al X secolo; il Cristo di Casale è invece più propriamente romanico, e se ne differenzia poi per una sua caratteristica peculiare, quella cioè di avere un’anima – o meglio, un corpo – in legno massiccio, ricoperta da una pelle in sottilissima lamina d’argento; il perizoma è in rame, un po’ più spesso; in lamine di rame è realizzata realizzata la corona; e sempre di rame, impreziosito da pietre e vetri incastonati con regolarità, è elegantemente profilata anche la croce.
Quanto allo sguardo del Cristo, e al suo malumore, abbiamo raccontato qui – noi ovviamente con un sorriso – alcuni dei possibili motivi. Se ne potrebbe aggiungere uno ulteriore, e cioè che questa splendida opera romanica si sia intristita quando l’interno del Duomo di Casale, tutto intorno al grande crocifisso, ha subìto la vasta e pesante ristrutturazione – qualcuno l’ha definita “riplasmazione neoromanica” – dovuta all’opera di Edoardo Arborio Mella. L’intervento di restauro del Duomo, messo in atto a metà Ottocento e in seguito criticatissimo, ha preservato, di effettivamente romanico, solo il bellissimo nartece e, appunto, il grande crocifisso, oltre ad alcuni interessanti frammenti a mosaico.
Ma le vicende, le mutazioni, gli arrivi e le partenze, i restauri e gli abbellimenti, veri o presunti, sono tanti nella lunga vita di una chiesa quasi millenaria: il Cristo di Casale Monferrato (già “di Alessandria”) lo sa bene, poiché ha osservato come spettatore privilegiato molti di questi accadimenti e trasformazioni, e altri lo hanno addirittura coinvolto in prima persona, costringendolo a traslocare e a cambiare residenza.
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Carico di fascino il Crocifisso di Casale Monferrato, con il Cristo regale, dallo sguardo severo e consapevole, lontano da quello sofferente che vediamo frequentemente raffigurato in altre simili sculture o affreschi. Potrebbe essere la rappresentazione di un Imperatore e forse e proprio a ciò che si è ispirato lo scultore alessandrino. E anche a me viene immediato, non solo per la vicinanza geografica, il parallelo con il Cristo del crocifisso ottoniano della Cattedrale di Vercelli, che potrebbe essere stato un modello di riferimento aulico per lo scultore romanico.
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Elena Biagini (da Fb):
Un’opera davvero bella, con riferimenti ancora “barbarici” nella concezione di manufatto di oreficeria, in forma gigante. Mantiene anche i quattro chiodi, i piedi distinti che nel sec. XIII saranno sovrammessi. Bello!
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Marianella Marni (da Fb):
Non è arcigno, semmai molto serio… e ne ha ben donde!!!
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Aldo Signani (da Fb):
Molto bello e significativo.
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