La bellissima omelia sul Vangelo della domenica, che ha saputo accendere nuova luce sull’agire caritatevole del buon samaritano, mi porta a chiedermi se ricordo, nel panorama vasto dell’arte romanica, una rappresentazione di questa parabola, che peraltro è tra le più note. Fatico. Ricorro al Dizionario di iconografia romanica di Marc Thoumieu, che mi conferma quanto pensavo: c’è a Moissac un capitello tutto dedicato all’episodio dell’uomo aggredito dai briganti e poi salvato da un passante caritatevole, ma “della parabola in questione si conoscono poche altre rappresentazioni nell’arte romanica. Ricordiamo un bel capitello di Vigeois, nel Limosino”, sottolinea Thoumieu, e a questa segnalazione l’autore aggiunge poi solo due altre occorrenze: una in pittura, a Sant’Angelo in Formis, e un’altra in un codice miniato tedesco. Non saranno le uniche, ma la buona azione del samaritano non sembra essere molto considerata nell’epoca dei monasteri e dei chiostri.
E ci torniamo, allora, a Vigeois, dove la chiesa abbaziale conserva e propone – ma solo nella sua parte orientale, poiché la navata è stata ricostruita nel XIX secolo – numerosi capitelli figurati ed istoriati, oltre a quello che racconta del nostro viandante massacrato di botte e dell’uomo che, pur non conoscendolo, a lui si fece prossimo.
Secondo quanto dice il Vangelo, con la parabola del buon samaritano Gesù rispose ad un sapiente che provò ad incalzarlo. Nel decimo capitolo del testo di Luca, si racconta infatti che “un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?»”. Gesù lo portò a ricordare che uno dei comandamenti principali chiede a tutti noi di amare il prossimo. Il dottore della legge, però, non si diede per soddisfatto e rilanciò:
Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso». (Lc 10, 25-37)
Ci sono tutti, i personaggi della parabola, nel capitello di Vigeois. Al centro della scena sta l’asino del samaritano, su cui il povero viandante è caricato nudo e malconcio; nella mezza faccia di destra, lo scultore rappresenta i due notabili di Gerusalemme, il levita e il sacerdote, che non si erano fermati a soccorrere il malcapitato; a sinistra si descrive invece l’accorata compassione del buon samaritano che, mentre ancora tira dietro di sé il giumento con il suo carico pietoso, già dialoga con il padrone dell’albergo, e sulla mano aperta mostra e consegna il danaro per l’alloggio e l’assistenza, di cui si fa carico anche per i giorni a venire.
Né questo né gli altri capitelli di Vigeois possono dirsi di fattura strepitosa. Sono tutti però segnati da un’intensa e prorompente carica didascalica, e da un preciso sforzo di narrare, con grande attenzione ai dettagli, e al modo in cui i dettagli aiutano a capire un avvenimento, e a trarne lezione. Collocati all’interno e all’esterno del transetto e delle tre absidi – che, come abbiamo detto sono le parti ancora originali dell’abbazia – conservano non poche tracce di pigmentazione che rende ancor più vivo il loro racconto: dicono del dialogo tra l’angelo che annuncia il concepimento a Maria, delle vicende del povero Lazzaro e del ricco epulone, di Zaccheo sull’albero richiamato da Gesù, di Daniele nella fossa dei leoni, delle pie donne al sepolcro, del Cristo che ascende al cielo in gloria; bellissima anche la rappresentazione di Pietro e di Paolo su una mensola del portale laterale.
Il capitello del buon samaritano, che ci ha condotto fin qui a Vigeois, è senza dubbio uno dei più riusciti. Introdotto da un altro, molto rovinato, in cui si narra probabilmente dell’agguato al viandante, ripropone la parabola con semplicità e insieme con una profondità teologica non comune. Si noti – a proposito di dettagli – come il capo del samaritano pietoso sia circondato da un’aureola, e come addirittura questa sia segnata dalla croce, come accade ogni volta che ad essere rappresentato è Gesù in persona. Chi infatti segue il comandamento dell’amore verso il prossimo, e a sua volta si fa prossimo senza remore e senza inutili distinguo, incarna in sé l’insegnamento del Maestro, e diventa come Lui. La parabola è il Verbo, non un parlare per esempi: il samaritano non è altri che Gesù, Parola che salva, e all’uomo che vuole ereditare la vita eterna non resta che incarnare, sull’esempio donato dal Cristo, il comandamento dell’amore, e farsi prossimo.
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La chiesa di Vigeois, splendida nella sua parte absidale, la vidi nel mio primo viaggio in Alvernia nel 2019, quando feci, fuori programma, alcuni giorni fuori da quella magnifica regione.
Sorprendentemente fu per me anche il luogo di un incredibile incontro con un amico del gruppo, che non avevo mai incontrato e che contemporaneamente stava viaggiando nel Limosino. Una preziosa amicizia, terminata in modo infausto.
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