Santa Maria del Rivero: una testolina dice il travaglio di Maria per strada

Ho preso il vizio, ormai, visitando una chiesa romanica, di cominciare già a chiedermi come la racconterò poi, una volta a casa, in questo blog: a volte, individuare l’aspetto o l’elemento più interessante, su cui incentrare il mio reportage, è facile e immediato; in altri casi ci rifletto a lungo, a volte anche per mesi. Nella chiesa del Rivero, a San Esteban de Gormaz, l’ispirazione è arrivata all’improvviso, sorprendente, inattesa, grazie ad un capitello che pochi vedono… e poi però si è subito disciolta; e per riaccenderla, qualche settimana dopo, ci sono volute le argute osservazioni di un amico in gambissima.

La chiesa del Rivero, con la sagrestia aggiunta all’abside

Due sono le chiese romaniche della cittadina di di San Esteban de Gormaz. Avevo già visto la più piccola e antica, dedicata a San Miguel, e là non c’era dubbio alcuno: avrei scritto del monaco sul canecillo, e del suo libro aperto; l’indomani, visitando la più grande, Nuestra Señora del Rivero, fatte molte foto nel bellissimo portico, e visto l’interno, meno avvincente, ci preparavamo ad uscire quando la signora che ci aveva aperto, e che nel frattempo metteva ordine, ci ha chiesto se volevamo vedere, in sagrestia, una cosa interessante. Ci introdusse così in uno spazio di servizio, con gli armadi e gli arredi tipici che servono alla preparazione delle liturgia, ma molto particolare perché addossato all’abside, così che la stessa abside ne costituisce una delle pareti interne, e così che una delle finestre, che un tempo si ammirava dall’esterno, oggi si vede solamente accedendo, appunto, alla sagrestia.

La galleria che affianca la chiesa di Santa Maria del Rivero
La finestra “in sagrestia” con i due capitelli

Quella finestra voleva mostrarci la signora, ovviamente; e ovviamente, con il naso all’insù, a quella finestra guardavamo sorpresi. E di quella finestra, gli elementi più interessanti – che vengono mostrati a tutti coloro che hanno la fortuna di accedere alla sagrestia “aggiunta” – erano e sono i due capitelli che ne reggono l’arco, ben conservati anche per via di questo loro trovarsi, alla fine, in un contesto interno che li protegge dalle intemperie e dagli agenti atmosferici. Allo stupore per questa strana visitata, si è aggiunto subito un ulteriore elemento di sottile agitazione quando ho pensato di riconoscere, nel capitello di sinistra, la classica rappresentazione della fuga in Egitto. Bastava e avanzava: una finestra decorata finemente nascosta in sagrestia, due capitelli che pochi vedono e che avevo avuto la fortuna di fotografare, uno dei quali istoriato, e con una iconografia chiara… Ero certo di avere in mano gli elementi perfetti per il mio reportage.

Salutata la signora, scesa la scalinata e lasciata la chiesa, camminando già riguardavo le foto che avevo realizzato. E dopo il tempo dell’entusiasmo, giunse quello della perplessità: Ma questa è davvero una “fuga in Egitto”? È proprio Giuseppe il personaggio davanti alla cavalcatura, e può essere Maria la figura inquietante che la monta? Ha un volto che sembra una maschera, in realtà, e non porta il Bambino in braccio. Credevo ormai di aver preso un abbaglio. Erano due gli elementi che, osservando le foto che avevo scattato, determinavano la mia perplessità. Innanzitutto, la figura a cavallo sul capitello ha un vestito con maniche stranissime, e sembra quasi un sacerdote orientale; e torna identica, ripetuta due volte, in piedi, come figura quasi simbolica, nell’altro capitello della finestra. E allora: Se quella sul dorso della cavalcatura è Maria – mi chiedevo – perché rappresentarla altre volte e in quel modo sull’altro capitello? E infine il secondo dubbio, determinante: Maria in fuga a dorso d’asino verso l’Egitto porta in braccio, secondo l’iconografia tradizionale, il Figlio nato da poco; nel capitello che stavo riguardando, invece, tra le gambe della figura seduta all’amazzone appariva una piccola testa; e questo piccolo volto inquietante, che non avevo notato dal vivo, non poteva di certo essere la raffigurazione di Gesù bambino. Archiviai il capitello della “finestra in sacrestia” come un pezzo dall’iconografia incerta. E della chiesa del Rivero non scrissi nulla, né allora né nei mesi seguenti.

Fino a quando un post di Javier Gago, in Pasión por el Románico, mi ripropose il capitello con la strana figura a cavallo, dando una suggestiva lettura dell’iconografia davanti a cui io mi ero arreso. “Non siamo davanti ad una ‘fuga in Egitto’, anche se è la prima interpretazione che ci sovviene vedendolo”, spiegava Gago. E aggiungeva: “Si tratta invece una raffigurazione della Sacra Famiglia mentre arriva a Betlemme per il censimento”. Per confermare la sua lettura, Javer Gago nel suo post rimandava al Vangelo di Luca, che al capitolo 2 racconta:

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

E tutto torna: “La testolina che sbuca di tra le gambe a Maria è il modo con cui il maestro scultore ci fa vedere che il Bimbo stava per nascere”, spiegava Javier Gago, che chiudeva giustamente il suo post con due sole parole: “Maravilloso románico“.

La galleria porticata di notte

Aggiungiamo che forse un altro testo, tra quelli che raccontano l’infanzia di Gesù, è in grado di giustificare la scelta iconografica dell’artista di San Esteban de Gormaz. Si tratta del Protovangelo di Giacomo, un racconto apocrifo del II secolo, in cui si evidenzia fortemente quanto Maria, durante il viaggio per il censimento, fosse prossima al parto. Ai capitoli 17 e 18 si legge:

Venne un ordine dall’imperatore Augusto affinché si facesse il censimento di tutti gli abitanti di Betlemme della Giudea. Giuseppe (…) sellò l’asino e vi fece sedere Maria: il figlio di lui tirava la bestia e Giuseppe li accompagnava. Giunti a tre miglia, Giuseppe si voltò e la vide triste; disse tra sé: “Probabilmente quello che è in lei la travaglia”. (…) Quando giunsero a metà strada, Maria gli disse: “Calami giù dall’asino, perché quello che è in me ha fretta di venire fuori”. La calò giù dall’asino e le disse: “Dove posso condurti per mettere al riparo il tuo pudore? Il luogo, infatti, è deserto”. Trovò quivi una grotta: ve la condusse, lasciò presso di lei i suoi figli e uscì a cercare una ostetrica ebrea nella regione di Betlemme.

Concludiamo anche noi con la stessa inevitabile considerazione già fatta dal nostro amico ispanico: è meraviglioso, il romanico. Che racconta, e istruisce, e si fa prendere, e ascolta, e assorbe. E’ meraviglioso, il romanico, i cui interpreti, pure a volte dotati di relativa perizia – non si può certo dire che il capitello celato nella sacrestia del Rivero sia tra i più belli del medioevo! – trovano comunque il modo per rappresentare e narrare ciò che nel loro cuore fortissimamente pulsa e ciò che nella loro mente si agita, fiorisce, riverbera, dando luogo a figure da sogno, a iconografie strapiene di fascino e di significato.

Il capitello del viaggio a Betlemme in un’inquadratura ravvicinata

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La tavoletta di Cleveland (foto: ilgiornaledellarte.com)

Un viaggio meno noto, ma non ignoto. La rappresentazione della Sacra Famiglia in cammino verso Betlemme per il censimento, prima del Natale, è certamente meno usuale rispetto a quella della fuga in Egitto – di quando cioè la Sacra Famiglia, con Gesù nato da poco, lasciò Israele per evitare la vendetta di Erode -. E però esistono altre testimonianze, oltre a quella del capitello di Santa Maria del Rivero, del primo viaggio, che Maria e il suo sposo, come abbiamo sentito, affrontarono accompagnati dal figlio già grande di Giuseppe, o da un servo, o da un angelo. A Castelseprio, uno degli affreschi, databili forse all’VIII secolo, narra proprio l’inizio di questo lungo trasferimento da Nazaret a Betlemme: Maria sull’asino avanza già, preceduta da un personaggio la cui figura è ora illeggibile, mentre Giuseppe è ancora sulla soglia di casa. Una tavoletta eburnea proveniente da Amalfi, e conservata ora dal Museum of Artdi Cleveland, rappresenta la stessa scena: è databile al XII secolo (e quindi è coeva al capitello di San Estaban de Gormaz), e mostra la medesima sequenza di personaggi vista a Casteleseprio. Questo primo viaggio della Sacra Famiglia ritorna ancora in un mosaico trecentesco dell’antica chiesa di San Salvatore in Chora ad Istanbul; il trasferimento a Betlemme, con protagonisti stavolta Giuseppe, Maria e un angelo, è raffigurato anche in una delle tavolette d’avorio della cosiddetta cattedra di Massimiano, del VI secolo, conservata nel Museo Arcivescovile di Ravenna.

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