Cento le chiese che Matilde, la gran contessa, si impegnò a costruire; ma è in quella di Brancoli che la si può incontrare. Prese l’impegno solenne davanti al Pontefice: devotissima, oltre che potente, chiese a Gregorio VII il permesso di celebrare la messa, benché fosse donna; e in cambio promise di tirar su cento chiese tra Canossa e le vaste terre che, sul finire dell’XI secolo, si trovava a governare, tra cui la Toscana. E qui a Brancoli, dove lei stessa spesso soggiornava quando traversava l’Appennino, volle questa notevole pieve, tra le più belle della regione.
Rigorosa e grigia, quasi algida, con quelle mura esterne a grandi blocchi levigati e con l’abside sobria, San Giorgio a Brancoli è databile proprio allo scorcio del secolo, costruita su preesistenti luoghi di culto e adattata poi nel XII secolo inoltrato. La facciata è modesta, e quasi si nasconde dietro la torre campanaria, posteriore di alcuni decenni.
L’interno invece, che appare più vasto e caldo di quanto ci si potrebbe aspettare, sembra sforzarsi di raccontare le vicende di cui è silenzioso testimone, a cominciare appunto da quella di Matilde di Canossa. Sia vera o no la narrazione sulle cento chiese, e sul desiderio della contessa di poter celebrare messa, certo è il suo impegno strenuo a sostegno del Papato nel tempo della lotta per le investiture – tutti ricordano che proprio nel castello di Canossa Gregorio VII umiliò Enrico IV, costretto ad attendere il perdono per tre giorni – e per la diffusione della riforma ecclesiastica che da papa Gregorio prende il nome. Riforma nella quale la costruzioni di pievi, e l’aggregazione di canonici intorno ad esse, ebbe un’importanza centrale. Certo è anche che Matilde soggiornò ripetutamente a Brancoli, come testimoniano editti e corrispondenze emanati da qui; così è possibile che sia proprio Matilde il personaggio femminile coronato che sembra porsi al centro della navata, figura principale del bellissimo ambone. Seduta in trono, sotto il leggio principale del pergamo “a cassa”, Matilde regge un libro aperto, in cui un’iscrizione – EVANGELICA LECTIO FIAT PECCATORUM REMISSIO – ricorda un altro caposaldo della riforma gregoriana, la redenzione attraverso l’ascolto della Parola.
E’ certo anche che non fu Matilde a chiedere di essere immortalata in modo così evidente. Il pulpito infatti è di un secolo posteriore alla sua morte: è stato costruito e decorato secondo la lezione prettamente decorativa di Biduino e di Guidetto, riferimenti artistici nel passaggio dal XII al XIII secolo per questo territorio; ed è sostenuto da due splendidi leoni i quali, uno in lotta con un drago, l’altro sovrastante un cavaliere, reggono le due colonne anteriori. Della stessa mano è la vasca battesimale presso l’ingresso, ottagonale, anch’essa decorata in modo pregevole.
Ancora una storia racconta, cercando di tenere insieme per noi tracce e leggende, la pieve di Brancoli. Ed è quella di un artista, il maestro Raito, che in questa chiesa e nella canonica vicina scolpì capitelli e altri pezzi suggestivi, e che forse fu l’artefice e l’architetto della ricostruzione della pieve alla fine dell’XI secolo. Conosciamo il suo nome perché egli stesso lo incise come firma – RAITUS ME FECIT – su quello che forse è (era) il suo capolavoro, un’acquasantiera in cui la testa di un re e di un giovane si alternavano a protomi di montone, morse tutte da serpenti. Il rilievo ha nobilitato ulteriormente l’interno di San Giorgio fino al 2000, quando è stato trafugato e se ne sono perse le tracce.

Se l’acquasantiera è andata perduta, vigila ancora in San Giorgio, e tiene viva la memoria di Raito, la particolare figura di orante che regge l’altare maggiore, della stessa mano. Così grazie al pulpito e all’altare, nonostante sia passato un intero millennio e nonostante il furto recente, Matilde di Canossa e il maestro Raitus, sono ancora presenti in San Giorgio. Sembrano voler restare, con ostinazione, in questa che fu la loro pieve; e il loro legame con Brancoli, flebile forse quanto alle prove pretese dalla storiografia, è forte ancora ed è ancora suggestivo, e riempie di sé l’interno ombroso di questa pieve dalle radici nobili e antiche.
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La chiesa di San Giorgio, anche se facilmente raggiungibile, è posta in quota sulle pendici dell’altopiano delle Pizzorne. Non certo marginale, senza dubbio, nel tempo di Raitus e di Matilde, in cui era un punto di riferimento forte per le popolazioni circostanti, oggi rischia un isolamento dovuto alla posizione decentrata rispetto alle aree urbane, a cui si somma il modificarsi dell’ambiente culturale e delle priorità di interesse. Anche per via del furto perpetrato vent’anni fa, così grave, la pieve è normalmente chiusa. Un associazione di volontari, però, si impegna a garantirne l’apertura: vicino al portone sono scritti i nomi dei volontari – Alessandro: 3285331903, e Mariangela: 3294055633 – che, su chiamata, fanno il possibile per salire ad aprire la chiesa su richiesta dei visitatori, e ancor più sono a disposizione di chi chiama in anticipo per concordare, per tempo, una visita.
L’associazione ha anche un sito – pievedibrancoli.it – con cui non solo presenta gli aspetti più considerevoli della chiesa, ma si impegna a convogliare su questo pregevolissimo edificio l’attenzione che merita e, possibilmente, le risorse utili a garantirne la valorizzazione e la custodia. Non serve dire che quest’opera è davvero meritevole, e merita il plauso di tutti gli amanti dell’arte romanica.
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Nella vasta piana padana – la “Lombardia” medievale – dodici delle grandi chiese costruite nel tempo romanico competono in magnificenza, autorità e splendore. Before Chartres le osserva e ne descrive il cuore, in un nuovo delizioso volumetto: LE GRANDI “chiese di città” DELLA PADANIA ROMANICA.
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Gaetana Mazza (da Fb):
Molto interessante. Matilde che ha in mano il libro si raccorda con quanto scrive Donizone (spero di ricordare bene il nome) che la descrive come una donna colta e abile nell’arte della guerra.
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Maurizio Pistone (da Fb):
Ma l’ambone non dovrebbe stare dall’altra parte? Uhm… la risposta forse è nell’articolo, dove si parla, appunto, di “pulpito”… Ma la cosa mi perplime lo stesso.
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L’ambone, struttura soprelevata per la proclamazione dei testi sacri – differente dal pulpito che serve alla predicazione – si trova nelle chiese medievali in entrambi i lati: sta a destra a Casauria e a San Miniato al Monte, ad esempio, a sinistra a Moscufo, a San Giulio d’Orta e a San Pietro in Albe…
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Maurizio Pistone (da Fb):
L’ambone principale si trovava a sinistra (cioè a destra dell’officiante, poiché anticamente l’altare era una mensa, e l’officiante era voltato verso i fedeli), ed era destinato alla lettura del Vangelo; poteva essercene uno più piccolo, a destra (a sinistra c.s.) per la lettura dell’Epistola. Ancora nell’800, nel linguaggio ecclesiastico comune, per indicare i due lati della navata, si diceva “in cornu Evangelii” per dire “a sinistra” (a quel tempo, a sinistra anche dell’officiante) e “in cornu Epistolae” per dire “a destra”.
Spesso era presente solo l’ambone del Vangelo; a volte tutt’e due; mi sembra strano che ci sia solo quello dell’Epistola; quello di Brancoli è una struttura decisamente importante, che dovrebbe essere tipica dell’ambone principale.
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Tutto giusto, Maurizio… Ma nella basilica di San Marco due amboni stanno uno di fronte all’altro: lettura dei testi a sinistra, predicazione a destra, guardando l’altare. E se osservi l’ambone di Brancoli vedi che ha due lettorini: uno – per il Vangelo? – al centro dal lato lungo che guarda verso il centro della navata, e uno più piccolo – per l’Epistola? – nell’angolo a destra, addirittura verso il presbiterio… Anche nell’ambone di Nicodemo a Moscufo ci sono due lettorini, probabilmente per Vangelo ed Epistola: però sta sul lato opposto della navata… Mi pare quindi che la regola che vorremmo avere chiara… non sia rigorosamente rispettata.
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Una delle zone più pregevoli e ricche di emergenze romaniche la Lucchesia, dove si erge la pieve di Brancoli. Solo circa un anno e mezzo fa, nel ponte dei Santi sono riuscito a visitare questa zona ed entrare nella pieve potendone ammirare lo stupendo ambone. Massiccia la torre campanaria che svetta sulla facciata, parzialmente coprendola, splendido il portale con ghiera a palmette e figure zoomorfe reali o fantastiche scolpite nelle mensole che reggono la lunetta, così anche il portale laterale dove nell’architrave è scolpita una figura un po’ “naïf”, nota come Brancolino, o le monofore sui fianchi, a taglio netto, ma decorate nell’archetto in maniera elegante… tanti sono gli elementi che affascinano in questo edificio dal nitido gusto romanico.
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Donata Dindiani (da Fb):
Amo molto queste opere, grandi scalpellini e scultori!
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Vittorio Barbieri (da Fb):
Una delle nostre chiese più belle, con un interno strepitoso…
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