Il pulpito di Guglielmo, esule e triste

Traversò il mare, il nobile pulpito scolpito da maestro Guglielmo. Smontato come si smonta un armadio ingombrante, si imbarcò a Pisa e, fattosi migrante, raggiunse la Sardegna. Secondo la promessa, avrebbe trovato là, a Cagliari, un’altra cattedrale in cui ottenere di nuovo la propria dignità. E però…

San Paolo, Tito e Timoteo (foto: Sailko)

Accadde nel tempo troppo felice e troppo ricco per le città italiane. Nel Trecento appena iniziato, infatti, inebriata di potenza e dello stordente profumo del dilagante gusto gotico, Pisa decise di regalare a se stessa e al proprio Duomo un nuovo pulpito: affidò il compito a Giovanni Pisano, e per far posto al capolavoro che stava per arrivare, stabilì che il “vecchio” pulpito, realizzato un secolo e mezzo prima dal maestro Guglielmo, venisse spostato altrove. Contò poco assai che si trattasse di un’opera nobilissima, oltre che coeva al Duomo; e conto nulla anche che fosse stata realizzata proprio da uno degli artisti che aveva lavorato al completamento della grande chiesa e della sua facciata: il vecchio e vasto pulpito di Guglielmo dovette lasciare spazio alla sfavillante opera nuova. Con la magnanimità dei ricchi, i Pisani decisero di fare un regalo a Cagliari, evidentemente convinti che la cattedrale della città sarda – città amica, in una terra che Pisa aveva fatto propria e ancora dominava – potesse contentarsi, e che fosse quello il posto giusto in cui archiviare il nobile e ingombrante arredo, diventato improvvisamente demodè.

Nel 1312 il pulpito romanico del Duomo di Pisa, così, smontato e imbarcato su una nave, compì il suo viaggio verso il porto di Cagliari. Fu un viaggio peculiare: si ha notizia, certamente, di grandi costruttori medievali, abati, principi, vescovi, che andarono a cercare anche molto lontano alcuni elementi essenziali per i loro cantieri e le loro nuove chiese – e furono spesso colonne e capitelli, recuperati da rovine antiche -; però non ci sovviene affatto, almeno per quanto concerne il periodo romanico, di una vicenda simile a questa, e cioè di un’opera tanto complessa che sia stata smontata nel luogo di origine, per essere poi rimontata e ricollocata altrove.

L’Annunciazione e la Visitazione (foto: Sailko)

Fecero festa, a Cagliari, all’arrivo della nave col suo carico in marmo. Il dono dei Pisani, oltre a rimarcare l’amicizia e l’alleanza tra le due città in un epoca di fermenti, era senza dubbio un regalo di gran pregio: Guglielmo aveva scolpito e assemblato il suo pulpito poco dopo la metà del XII secolo, proprio negli anni in cui, anche in Italia, la scultura romanica toccava vertici di assoluta perfezione. Niente si lasciava più al caso, in quei decenni, e al vigore dell’arte romanica degli inizi si era aggiunta un tecnica scultorea ormai matura, supportata da una sapienza teologica diffusa e approfondita. Nel Duomo romanico di Pisa, il pergamo di Guglielmo era un’opera di grandissimo impatto. Costituito da un “cassone” unico, formato da otto pannelli scolpiti, era retto da colonne su quattro leoni stilofori. I pannelli narravano gli episodi dell’Annunciazione, della Visitazione, della Natività, e poi l’Adorazione dei Magi e il loro viaggio; e ancora gli episodi della visita dei Magi ad Erode e della Strage degli innocenti, e la Presentazione al tempio; poi Guglielmo aveva rappresentato l’episodio del Battesimo di Gesù nel Giordano, la Trasfigurazione, l’Ultima Cena e il Bacio di Giuda, e la Resurrezione, e le Pie Donne al sepolcro… L’ampia “cassa” rettangolare, realizzata dall’assemblarsi di queste lastre scolpite al di sopra delle colonne portanti, era infine impreziosita da due distinti leggii, entrambi posti, paralleli e in posizione paritetica, sul lato lungo del pergamo: dei due lettorini, il primo era utilizzato per la proclamazione del Vangelo, ed era decorato con la figura del Tetramorfo; mentre sull’altro, dedicato alla lettura dell’Epistola, stava la figura di san Paolo, dietro al quale si riconoscevano Tito e Timoteo, cioè due dei destinatari delle Lettere redatte dall’Apostolo delle Genti.

Il Battesimo di Gesù (foto: Sailko)

Del pergamo di Giovanni, della sua forma originaria, del racconto teologico che proclamava, e del corretto susseguirsi delle scene scolpite, siamo costretti a parlare al passato: una volta trasferito a Cagliari, infatti il complesso e prezioso arredo liturgico fu coerentemente ricostruito nella navata della cattedrale cittadina, e visse là una seconda esistenza, un esilio dorato che durò tre secoli e mezzo. Poi però, purtroppo, nel 1669, quando i Cagliaritani vollero rinnovare in forme nuove la loro cattedrale, il vasto pulpito di Guglielmo fu nuovamente smontato; e fu rimontato in modo arbitrario, diviso in due, trasformato in sostanza in due “cantorie” inaccessibili, addossate alla parete della controfacciata, l’una a destra e l’una a sinistra del portale di ingresso. Ciascuno di questi due “mezzi pulpiti” risultò da allora formato da otto dei sedici pannelli originari, riassemblati attorno ad uno dei lettorini; e ai rilievi scolpite di maestro Guglielmo, in entrambe le “cantorie”, si aggiunsero sostegni secenteschi con tanto di angioletti paffuti; e i leoni che reggevano le colonne del nobile pulpito di Guglielmo finirono all’altro capo della chiesa, ai piedi dell’area presbiteriale rialzata, a reggere scalinate e ringhiere barocche.

Il pergamo di Guglielmo oggi: smembrato in due metà, sulla controfacciata (foto: Sailko)
Come poteva essere il pulpito

Dal Seicento ad oggi, proprio per via di questo smembramento arbitrario, quasi si perse la consapevolezza della reale origine degli strani “monumenti” così realizzati vicino all’entrata della cattedrale: ci si ricordò a malapena di come queste due “cantorie” derivassero dalla salomonica divisione del vecchio pulpito romanico che un tempo dominava la navata; e ancora più labile si fece il ricordo della parte più antica della storia, dell’origine toscana dei vari pezzi, dell’autore dei rilievi, dei loro nobilissimi natali: e soprattutto ci si dimentico del lungo viaggio che affrontarono per arrivare in terra sarda.

Cacciato di casa dal prorompente diffondersi di un gusto nuovo e sfavillante, costretto a farsi esule e a trasferirsi in una terra non sua, e poi di nuovo messo in discussione da un ulteriore mutare della sensibilità artistica, il pergamo di Guglielmo porta il peso di tutta la sua sfortunata vicenda, e sembra non avere neppure la forza di chiedere maggior attenzione da parte degli appassionati e degli studiosi. Ma se potesse parlare, pretenderebbe di essere ricondotto a Pisa, nella sua cattedrale, nella sua città, e di tornare a vegliare sulla navata e sugli uomini e sulle donne che sette secoli fa decisero di accantonarlo, privandosi così di un’opera splendida, e lo abbandonarono al suo destino.

Il pergamo smembrato: la “cantoria” di sinistra (foto: Sailko, elab.)

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7 pensieri su “Il pulpito di Guglielmo, esule e triste

  1. Giulio Giuliani ha detto:

    Aldo Valentini (da Fb):
    Me lo illustrò il giovane e preparatissimo amico Domenico Lavena, padrone di casa, che ci onora soprattutto con post eccelsi sulle opere gotiche. Un’opera stupenda questo ex pulpito, ma cosi smembrata e azzoppata, messa in controfacciata, sembra veramente in castigo e non riceve l’onore e l’attenzione che meriterebbe.

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  2. Paolo Salvi ha detto:

    E’ ben nota la storia del pulpito romanico di Guglielmo, donato da Pisa a Cagliari nel primo Trecento avendolo sostituito con quello “moderno” di Nicola Pisano.
    Così come è pure noto il suo smembramento, così ben qui descritto, in due parti addossate alla controfacciata, tanto da sembrare cantorie.
    Un’opera certamente di altissimo pregio scultoreo, come si evince dalle belle e dettagliate fotografie. E si capiscono anche le tue pacate doglianze perché esso non sia nel suo sito originale.

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    • Giulio Giuliani ha detto:

      In questo caso, Paolo, sarebbe corretto secondo te ipotizzare/valutare la ricomposizione del pulpito – i pezzi, anche se ora ricollocati arbitrariamente, ci sono tutti – e la ricollocazione nella navata, che sia a Pisa o a Cagliari?

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      • Giulio Giuliani ha detto:

        Paolo Salvi
        Secondo me, assolutamente sì. Abbiamo l’originale pressoché integro, solamente smembrato in due parti. Mancano i sostegni, ma sarebbero ricostruibili insieme ai leoni stilofori posizionati ai piedi del presbiterio. Sarebbe una ricostruzione per analogia, non certo campata in aria.

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