Nel tempo dei poteri incontrastati, dei re “cuor di leone” e degli stemmi con falchi e draghi, il più potente dei signori ha per simbolo un agnello. Per tutto il tempo romanico il Figlio di Dio, colui che salva, viene rappresentato sotto la forma del più mite degli animali; e sebbene l’associazione tra il Salvatore e l’agnello abbia radici antiche, la persistenza di questa simbologia durante i secoli di ferro – e anzi la sua vastissima diffusione – ne certifica la potenza.
Pensi a questo, osservando la bellissima croce d’argento di Monjardìn, dove al Cristo crocifisso sbalzato sulla parte frontale corrisponde, sul retro, il classico simbolo, appunto, dell’agnello. Il quale è associato al Cristo perché del Cristo ha la mitezza e il candore; ma anche l’agnello, secondo la tradizione biblica, rappresenta la disponibilità alla “sequela”, il lieto porsi in cammino dietro al pastore; che è un tratto caratteristico di tutti i cristiani, e quindi anche del Cristo, il quale per primo fa la volontà del Padre.
Il Cristo e l’agnello hanno la stessa mitezza, allora; il Cristo e l’agnello hanno la stessa mite capacità di mettersi in cammino; il Cristo e l’agnello insegnano, ancora, la mite consapevolezza di far parte di un gregge eletto, di una comunità in cammino. Infine, il Cristo e l’Agnello sono associati, e sono questo figura di Quello, per il loro tragico destino, che li porta ad essere sacrificati per la salvezza di molti: come gli agnelli sgozzati al tempio, che versavano il loro sangue per purificare dai peccati chi li offriva a Yavhé, così Gesù sulla croce è offerto in sacrificio, e anzi costituisce il sacrificio massimo, l’unico in grado di espiare la colpa di Adamo e di redimere tutta l’umanità – “Ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi” – riconciliandola al Padre. Collocato sulla croce, come accade qui a Monjardìn, l’agnello è quindi ancora di più “figura” del Redentore.

E si può dire forse che mai come su questa croce il Cristo e l’agnello si fondono quasi nella stessa immagine. Con la sua testa protesa, questo uomo crocifisso evidenza la propria sofferenza; ma nello stesso tempo mostra la corona di regalità che è segno di vittoria, proprio come sul retro l’agnello, vittima mite ma trionfante, protende lo stendardo.


C’è anche chi ha notato che il volto del Cristo appeso alla croce di Monjardìn richiama, nei tratti spigolosi e forzati, la testa dell’agnello; e addirittura si è voluto evidenziare come i capelli del Cristo crocifisso, che gli calano sulle spalle in tre ciocche, siano molto molto simili alle tre frange dello stendardo dell’Agnus Dei sul retro. Similitudini. Ma quel che non può essere messo in dubbio è che il crocifisso navarro è tra le più perfette rappresentazioni dell’iconografia che associa il Salvatore in croce alla pecorella sacrificale. Qui gli uomini del medioevo hanno visto chiaramente, forse ancora più che altrove, la radice e il significato di questa particolare simbologia: e cioè che il Signore è venuto per vincere, ma lo ha fatto con la forza di un creatura candida e mite; che era Dio e si è fatto uomo, ed è diventato re solo quando è stato crocifisso, e solo – potremmo dire – quando è stato sgozzato e offerto in sacrificio, come accadeva agli agnelli sugli altari di Gerusalemme.
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La “croce di Monjardìn” è una splendida opera di oreficeria del tempo romanico. Conservata gelosamente dal villaggio di Villamayor de Monjardìn, in Navarra, è custodita dietro una nera grata nella chiesa parrocchiale dedicata a Sant’Andrea. Croce processionale, che veniva quindi issata su un’asta per essere condotta alla guida dei riti, è costituita da un nucleo in quercia su cui è stata stesa, in un tempo non meglio definito tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XIII, una preziosa serie di placche d’argento scolpite.
La tradizione vuole che la croce lignea nascosta all’interno sia la stessa che, secondo la leggenda, fu issata sui campi di battaglia da Sancho I re di Pamplona, una delle figure forti della reconquista, che si riprese le terre tutto intorno alla cittadina di Villamayor all’inizio del X secolo: anche se non è possibile dimostrare l’antichità del suo nucleo né datare precisamente la realizzazione della coperture in argento, la “cruz de Monjardìn” costituisce un episodio singolarissimo nella vasta tradizione spagnola ricchissima di crocifissi lignei, dipinti o ricoperti di metallo prezioso.
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Mariateresa Martini (da Fb):
Veramente grazie, sono meravigliosi questi commenti esplicativi!
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Laura Longhi (da Fb):
Grazie per questo articolo!
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Tra le tante croci che ho potuto ammirare, scolpite o dipinte, questa, che ancora non ho potuto ammirare direttamente, è davvero particolare ed originale.
Molto bella la foto col riflesso che consente di vedere il verso oltre al resto della croce.
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Lavinia Fontana (da Fb):
Splendido articolo. Sempre grazie per queste gemme preziose! Che desiderio di ritornare in Navarra o nei Paesi Baschi! Ho un debole per il romanico iberico
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