Cosa dobbiamo attendere, cosa possiamo sperare? Che cosa ci aspetta, al di là del varco, nell’anno nuovo, desiderato come non mai, e allo stesso tempo temuto? L’uomo romanico, che si è posto con ansia insistente le stesse domande ad ogni volgere d’anno, ha voluto rispondere con una promessa; la quale è così forte e determinante che ha meritato di essere scolpite nella pietra, e nella pietra sacra dei portali di ingresso delle chiese.
La promessa che l’uomo romanico fa a se stesso, quando un anno finisce, è che il successivo starà ai patti, come hanno fatto, prima di esso, tutti gli anni vecchi e andati. L’anno che viene – lo garantiscono il “ciclo dei mesi” scolpito a Modena sulla Porta della Pescheria e quelli di tante altre cattedrali romaniche – non tradirà le attese. E si aprirà con l’inverno, che sarà rigido e freddo ma non impedirà agli uomini di preparare i campi e le viti; poi, a suo tempo, la stagione mite dei fiori si farà strada, e con il sole i campi si faranno verdi e si riempiranno delle attività dell’uomo: si seminerà, si farà la guerra, si cureranno i campi e i vigneti; ci sarà il momento per approntare le botti, e il tempo dell’attesa, e il tempo della raccolta dei frutti della fatica e della terra; e poi di nuovo infine tornerà il freddo volgere dell’anno, a cui un’altra volta gli uomini si prepareranno, facendo scorta di vino, di carni insaccate, di legna per il fuoco.
Questa prima promessa, quella cioè della “ciclicità” dell’anno, costituisce il senso profondo delle tante allegorie dei mesi scolpite nel medioevo. Le quali appunto, più ancora che un calendario, sono in realtà una rassicurazione, cruciale, che l’uomo fa all’uomo, e in cui ci si dice a vicenda che l’anno nuovo non ci sorprenderà, non sarà diverso e ingovernato, non ci si abbatterà contro come un cataclisma; al contrario – rispondendo a leggi che, anche se l’uomo medievale non vede, da qualche parte devono essere scritte – sarà fatto degli stessi dodici mesi e delle stesse rispondenti occupazioni che già conosciamo, seguendo le quali, con la nostra fatica adattata a ciascun distinto periodo, abbiamo imparato a sopravvivere nel mondo. E così “Gennaio è coperto da un grosso cappuccio – scrive Augusto Bergamini descrivendo il ciclo di Modena -; Febbraio con rozzi indumenti si scalda al fuoco; Marzo cura la vite; Aprile passeggia tra i fiori; Maggio sta alla testa di un cavallo con le redini in mano; Giugno falcia; Luglio miete; Agosto zappa; Settembre pigia l’uva; Ottobre imbotta; Novembre semina; Dicembre spacca la legna”. E lo stesso schema si ripete in tutto il medioevo romanico europeo, negli affreschi di Léon, nei portali di Venezia e di Ripoll, di Verona e di Arezzo, per non dire delle tante rappresentazioni emiliane, gemelle – anche se tutte posteriori – di questa della “Porta della Pescheria”: ci sono varianti, è vero, ma sono minime; e la rappresentazione di alcuni Mesi – Maggio con il cavallo, Aprile con i fiori, Giugno o Luglio con il raccolto, Settembre con la vendemmia – è diventata quasi iconica e non modificabile.







Ai piedi della “Porta della Pescheria”, allora, cerchiamo oggi più che mai di ascoltare e di ricevere, dall’antico “ciclo dei mesi”, questa garanzia anche sul nostro anno nuovo: che torni ad essere un tempo se non governabile, almeno scandito, rispettoso delle regole, riconoscibile; che torni ad accoglierci – al contrario di quanto ha fatto l’anno infausto appena vissuto – con una cadenza regolare di stagioni e di tempi, e ci restituisca al ritmo alternato ma noto, prevedibile, sopportabile, di semina e di raccolta, di caldo e di freddo, di notte di giorno, di fatica e di riposo, di guerra sì, ma poi di pace, di lavoro e di festa; ritmo connaturato all’uomo, il quale tutto sopporta, anche la stagione dei campi sepolti di neve, se solo sa di poter contare sul disgelo e sulla rinascita primaverile.

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C’è una seconda promessa che l’uomo romanico fa a se stesso, rappresentando sulle porte dalle chiese i mesi e i lavori e, attraverso di essi, lo scorrere dell’anno e del tempo: questa seconda promessa è che il ciclico succedere dei mesi l’uno all’altro e il periodico conseguente mutar d’abito degli uomini siano – come sono – segnati e governati dal Cristo, che in questo cerchio dell’anno si inserisce come fa la chiave di volta in un arco, interrompendolo ma insieme dandogli compiutezza.
Before Chartres ha affrontato questo argomento in un altro articolo, a cui rimanda i lettori; non senza cogliere l’occasione per augurare loro che l’anno nuovo mantenga entrambe le promesse fatte dai “cicli dei mesi” romanici, quella cioè di essere rispettoso ed equilibrato, e quella di lasciarsi illuminare da una luce vera, centrale, redentrice, a cui sola, nell’anno che si apre, concediamo il potere di spiazzarci e di squassare la splendida slow motion che oggi tanto ci manca e che oggi tanto desideriamo.
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Il Duomo di Modena è solo una delle dodici delle grandi chiese costruite nel tempo romanico nella vasta piana padana. Altre undici grandi “chiese di città” ancora oggi competono in magnificenza, autorità e splendore. Before Chartres le osserva e ne descrive il cuore, in un nuovo delizioso volumetto: LE GRANDI “chiese di città” DELLA PADANIA ROMANICA.
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La Porta della Pescheria, a Modena, è un portale bellissimo, ma “minore”. Before Chartres affronta invece il tema dei “grandi” portali del medioevo, e lo riassume, come in un viaggio – finalmente “su carta” – in un volumetto prezioso, dedicato ai suoi lettori più affezionati. Lo si trova qui: DIECI grandi PORTALI ROMANICI.
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Elena Biagini (da Fb):
Questo bel commento mi ha davvero commossa. Auguri per un anno normale.
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Ettore Coven (da Fb):
Interessantissimo come sempre.
Buon Anno e tante grazie per il piacere che mi avete dato.
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Sempre affascinante incontrare il ciclo die mesi, che avvolge tutto il Medioevo, non solo in epoca romanica. Certo uno dei più interessanti questo della Porta della Pescheria della Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Geminiano di Modena.
Poco oltre il battistero di Parma, dell’Antelami ne ha un altro estremamente apprezzabile.
Di recente ho visto quello incompleto, pittorico, all’abbazia di Piona, sul Lario.
Qualche anno addietro quelli dipinti, manca però un mese, di Torre Aquila nel Castello del Buonconsiglio a Trento.
Le tematiche sono ricorrenti e sarebbe bello un confronto anche in epoche diverse per verificare la persistenza dei modelli.
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Un tentativo, riguardo al confronto che vorresti, sta in questo altro articolo: https://beforechartres.blog/2021/12/12/mesi-e-lavori-il-ciclo-perfetto-di-aosta/
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Anita Pittigliani Mittelstaedt (da Fb):
Meraviglioso testo, grazie tante! 👏👏👏
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Roberto Gherzi (da Fb):
Splendido post come sempre…buon anno!
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Giovanna Bigalli (da Fb):
La saggezza antica della pietra romanica, la saggezza attuale di Before Chartes… Ciò che è ciclico in fondo rassicura. Ma posso aggiungere una frase di Budda che conservo con cura, (e che tutti conoscono)? “Niente se ne va senza prima averci insegnato ciò che dobbiamo imparare.” Forse gli uomini romanici avevano già imparato… e si affidavano sereni ai cicli della vita e alla speranza .
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Barbara Casciu (da Fb):
Caro Giulio, sai come riempirmi il cuore, ti voglio bene, buon 2021❤️
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Gianni Maragno (da Fb):
È il tema del mio prox esame di Storia dell’Arte Medievale. Il ciclo dei mesi, un capolavoro di arte plastica con la prima firma fra romanico e gotico ovvero del magister Benedetto Antelami. Sono le sculture del “Portale dei Mesi” già nella Cattedrale di Parma e, in antico, smontato. Alcune di tali sculture sono state collocate all’interno del Battistero romanico della città emiliana. Grandioso.
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Sì però, Gianni… andrei cauto a parlare di quella dell’Antelami come “prima firma tra romanico e gotico”. Ci sono molti artisti romanici che rivendicano il loro lavoro, ben prima dell’Antelami. Pensiamo anche solo a Gislebertus ad Autun, o alle firme di Chauvigny e di certi capitelli d’Alvernia…
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