Before Chartes farebbe bene a stare alla larga da “Il nome della rosa”, e invece ci ricasca… E dopo aver scritto quanto fastidio gli crea sentir continuamente associare il romanzo di Eco alla Sacra di San Michele, qui oggi dice la sua – anche se sente che non dovrebbe farlo – su un altro matrimonio che considera “contro natura”, quello appena celebratosi tra le vicende Guglielmo da Baskerville e le matite di Milo Manara.
Crede, Before Chartres, che non ci sia neanche bisogno di spiegare e motivare; ritiene che sia evidente a tutti come quella di Manara, maestro indiscusso del fumetto contemporaneo, sia un’arte che con la civiltà medievale, ma anche con la vicenda truce e cruda che si svolge nell’abbazia, ha ben poco a che fare. Quanto il tratto di Manara è preciso e sottile, tanto fosche e incerte sono le vicende e le personalità che si trova a trasformare in disegno; i suoi colori sono vivi e tutt’altro che sfumati, solari, caldi, mentre al contrario il torbido e l’incerto caratterizzano – anche in modo un po’ furbesco, lo abbiamo scritto altrove – il medioevo che Umberto Eco fa rivivere nel suo romanzo. E qui solo per un momento complichiamo il quadro, per poi tornare a semplificarlo: e diciamo che Manara, con le sue qualità artistiche, avrebbe potuto anche affrontare un medioevo tardo, quello di Federico II e dei suoi falchi, quello dei mercati di stoffe di Fiandra, o quelli della Sicilia arabo-normanna e della Firenze stilnovista – ed è scontato dire che avrebbe potuto cimentarsi con il medioevo del Boccaccio -; ma il mondo che “Il nome della rosa” ci racconta, anche se la vicenda è collocata nel Trecento avanzato, è il mondo del medioevo “alto”, e quindi no: non era Manara l’artista a cui affidarne la trasposizione in tavole disegnate.
Siamo di fronte, senza dubbio, ad un’occasione persa. Dopo l’ottima versione cinematografica Jean-Jacques Annaud, e dopo una rivisitazione più recente, e mediocre, in una serie televisiva, gli appassionati del medioevo e i cultori del romanzo di Eco attendevano certamente una versione affidata ad un grande disegnatore. E allora – per consolarci, o forse per rendere più amaro il calice – proviamo ad immaginare che cosa avrebbe potuto essere “Il nome della rosa”, e quanto avvincente potrebbe essere il medioevo romanico, se affidato ad alcuni altri grandi nomi del fumetto.

Sarebbe un sogno, purtroppo irrealizzabile, rileggere dell’abbazia e dei crimini che vi si svolgono attraverso le chine di Sergio Toppi, forse il più grande disegnatore italiano di costumi e civiltà: ci avrebbe raccontato di Adso e di Guglielmo attraverso le sue fotografie d’inchiostro, fermando immagini, narrando per sguardi e grandi poster. Proprio come Sergio Toppi, ci ha lasciato nel 2012 un altro grande visionario dell’illustrazione, il francese Jean Giraud, in arte Moebius: attraverso i suoi occhi, il racconto fatto dal giovane Adso avrebbe potuto trasformarsi in un dolce incubo a colori tenui. E come non aggiungere qui Dino Battaglia e le sue puntate nel mondo del “gotico”? Anche Battaglia, sì, ci avrebbe potuto regalare una splendida interpretazione del “Nome della Rosa”.
E poi secondo me – non datemi del folle – l’abbazia, la torre-biblioteca, i confusi locali delle cucine e dei magazzini, e i volti e il vissuto dei monaci di cui parla il romanzo di Eco avrebbero potuto vivere una vita intensa anche nelle tavole di Will Eisner, un genio del fumetto d’arte, capace di fare di New York un paradigma della vita di ogni uomo. E però anche su Eisner – pace all’anima sua grande – non possiamo più contare.
E per darci un chance, per lasciare aperta una possibilità, citiamo due altri autori, questi però viventi: collaudatissima, medievalissima, aspra e calda insieme, ingenua forse, ma perfetta per “Il nome della rosa”, è l’arte del fumettista belga Hermann, che già in altre opere come Le torri di Bois-Maury ha dato prova di saper interpretare il medioevo e il medioevo romanico; e per citare un “emergente” a cui, fossi io l’erede di Eco, prima o poi chiederei di cimentarsi col romanzo… date un’occhiata ai disegni di Michele The Sea (Michele Dessì) e ditemi se non saprebbe egregiamente accompagnarci, lui sì, nei labirinti del monastero e della biblioteca, e attraverso le angosce dei suoi abitanti… con buona pace dello spaesato Manara che invece in questi meandri fascinosi si muovere come chi ci entra per la prima volta.
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Marialaura Ponzo (da Fb):
Beh… anche Dino Battaglia che comunque si era cimentato in ambientazioni gotiche per esempio.
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Così giusto il tuo suggerimento, Marialaura, che… aggiungiamo Dino Battaglia, e una sua immagine, nell’articolo. Come suggeriscono peraltro altri commenti qui sotto.
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Francesca Mermati (da Fb):
Mah… Io non concordo proprio. A parte il fatto che Manara sembra illustrare il film e non il romanzo, credo sia solo un fatto di gusto per le immagini.
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Longo Felice (da Fb):
Mi dispiace ma non sono d’accordo… grandissimo capolavoro quello di Manara. Mi dispiace che qualcuno non ci arrivi ma tant’é… Credo che qualcuno abbia i paraocchi.
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Beh, che dire, Felice: ognuno vede capolavori dove il suo cuore batte… e non è questione di paraocchi, ma di sensibilità. Io dico la mia, e provo sempre a motivare i giudizi che do. Possiamo farlo tutti, di dire e spiegare.
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Claudio Fondelli (da Fb):
…oppure il Magnus (al secolo Roberto Raviola) de “I briganti”, ma anche il Paolo Eleutieri Serpieri di “Druuna” o ancor meglio l’Enki Bilal della “trilogia di Nikopol”…
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Per quel che vale, Claudio, il mio commento, e sempre a livello di pareri: il tratto, visionario ma non molto, di Bilal sì, lo promuoviamo; sui disegni di Druuna… insomma, non mi dicono granché… Magnus, il grande Magnus, l’irripetibile Magnus… direi di no, per “Il nome della rosa” non lo sceglierei.
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Non ti seguo… A parte il “fenomeno” che ti dice che “non ci arrivi”, non penso che sia una discussione molto oggettiva, direi per niente, e credo che chiunque possa disegnare il Nome della Rosa, senza arrecare dànno alcuno all’amatissima Sacra di San Michele che è solo un riferimento culturale e non l’oggetto del racconto di Eco.
Insomma Manara ci regala l’idea trasfigurata dell’idea stessa a sua volta trasfigurata dalla penna di Umberto Eco.
Non turba affatto i miei sonni e mi fa piacere vedere raffigurato da chiunque un edificio tanto bello che “nel Cuor mi sta”.
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Eh sì, sarebbe certo stato un capolavoro se illustrato da grande e inimitabile Sergio Toppi 😉
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Gianluigi Vezoli (da Fb):
Dino Battaglia!!! Quanto a Manara, concordo. E’ un bravissimo disegnatore, ma il suo è uno stile manierista e voyeurista che poco si adatta ai temi drammatici.
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Giovanna Bigalli (da Fb):
Amo moltissimo quasi tutti i fumettisti di cui parli, Toppi soprattutto , e forse ancor più Battaglia che ci suggerisce Gianluigi Vezoli. Ho comprato il libro ma dato che è un dono è già incartato e aspetto di vederlo con il destinatario, che è appassionato sia di Eco che di Manara. A me Manara a volte entusiasma a volte no. Ma il Medioevo è giusto che ognuno lo legga secondo la sua sensibilità: del resto poche epoche sono sfaccettate e multiple come questa, e nulla finora, anche le interpretazioni più imperfette, ne ha mai intaccato il fascino…
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E certo che no, Giovanna. Ma spiegatemi: ci fanno un film, sul romanzo di Eco, e le recensione i giudizi sono doverosi; lo ripropongono a fumetti, e vale tutto, è tutto bellissimo?
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Giovanna Bigalli (da Fb):
E certo che no. Quando avrò visto il libro ti dirò il mio ininfluente giudizio 🙂 Comunque Manara non è ‘Cincirinella’. Qualcosa da dire l’avrà.
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Amando “Il nome della Rosa” ho acquistato subito il lavoro (volume 1) di Manara nutrendo notevoli aspettative (il suo lavoro su Caravaggio mi era piaciuto). Niente da fare… le atmosfere ed i contesti che si percepiscono dalla pura lettura del romanzo non trovano adeguata replica sul fumetto. Ho l’impressione che ben poco tempo sia stato speso dall’autorevole autore nel documentarsi su quel tempo e che gli sia bastato ricordare le indelebili immagini offerte dal film.
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