Il “Patir”, l’abbazia dei monaci briganti

Tante abbazie e tanti monaci si distinsero, nel medioevo, per l’impegno nell’evangelizzazione, la fede, la dedizione caritatevole. E non c’è dubbio che fece la sua parte anche la comunità di Santa Maria del Patir, il monastero fondato alla fine dell’XI secolo non distante da Rossano, in terra calabra. E però colpisce come le cronache di questo cenobio narrino di periodi di decadenza così marcati da trasformare gli stessi monaci in briganti. Il periodo peggiore fu quello del Seicento, quando il “Patirion” è abitato da pochi religiosi e pochi laici, e le ripetute visite e i ripetuti tentativi di riforma cadono nel vuoto: i membri della comunità monastica, che era stata famosa per potenza e autorevolezza, per il suo scriptorium e la sua ricchissima biblioteca, non solo avevano perso le antiche regole, tanto che molti vivevano nel concubinaggio; ma erano usi ormai, a quanto dicono gli “ispettori” mandati da Roma, a vivere di sotterfugi e addirittura di furti e angherie nei confronti di chi si trovasse a passare nelle terre circostanti.

Il monastero (foto: anticabibliotecacoriglianorossano.it)

Resta quasi solo la chiesa, di questo monastero così costretto dalla storia ad alti e bassi. La si data ai primi anni del XII, e sarebbe quindi coeva alla fondazione dell’intero complesso ad opera del beato Bartolomeo da Simeri: la denominazione Santa Maria “del Patir”, cioè “del padre” – come l’altra conseguente di “Patirion” – deriverebbe appunto dal ruolo del santo sacerdote, che qui si ritirò e che edificò monastero e chiesa, sostenuto da nobili delle città circostanti; nobili nuovi, normanni, che all’indomani della loro conquista del meridione, avvenuta nel 1060, si accreditavano nel territorio anche a partire dal sostegno alla spiritualità di tradizione cattolico-bizantina, di cui Bartolomeo fu un campione. Costruita a pianta longitudinale, la basilica di Santa Maria del Patir rivela la sua matrice orientale nel transetto, coperto – e lo fu, forse, già in origine – da tre cupolette allineate, che non possono essere intuite dall’esterno; nemmeno quella centrale, perduto il tiburio che la sovrastava. A chi giunge su pianoro del monastero, alto e suggestivo, immerso in una sterminata landa boschiva, a pochi chilometri dalle rive dello Ionio, si offre lo spettacolo delle tre absidi; e questa parte orientale costituisce senza dubbio la l’elemento più notevole, che conserva, nonostante il tamponamento di parte delle finestre, tutta la forza e la vivacità originarie: equilibrio, coerenza, sapienza nell’utilizzo di materiali dai perfetti richiami cromatici sono la caratteristica di queste absidi, su cui losanghe e archeggiature sono ulteriormente nobilitate da bellissime decorazioni a rosoni geometrici.

La parte absidale del “Patire” (foto: fondoambiente.it)

E se all’esterno non ci sono altre parti di grande interesse – la facciata, semplice già in origine, è stata ulteriormente immiserita nei secoli successivi – il Patirion conserva al proprio interno la sua eredità più preziosa: semplice nella struttura, con i pilastri cilindrici stranamente privi di capitelli, e perduta la decorazione ad affresco di cui era stata arricchita, la chiesa di Santa Maria del Patir possiede ancora, però, un’ampia sezione del pregevole pavimento originario a mosaico, distesa proprio all’inizio della navata centrale.

Le bellissime decorazioni delle absidi (foto: fondoambiente.it)
L’interno (foto: fondoambiente.it)

Ottimamente protetto da passi inopportuni con una semplice barriera in vetro, il settore del mosaico pavimentale giunto fino a noi presenta quattro grandi “ruote” contenenti ciascuna un animale dal bestiario antico. Nelle due più prossime all’ingresso, un centauro e un unicorno si affrontano: il primo, col corpo equino rivolto a sinistra, gira però la propria parte umana verso la figura vicina; e sembra quasi che soffiando in una specie di tromba spinga l’unicorno ad imbizzarrirsi, con gli occhi sbarrati. Anche se realizzate con tecnica non raffinata, le due figure testimoniano di una buona capacità di impaginazione, e di non poco vigore; rade decorazioni sui corpi, alla moda orientale, bastano per renderle vive, tanto che non ci si accorge che per la realizzazione dell’intero mosaico sono stato usati in sostanza tre soli colori: il bianco, l’ocra e il nero. Più avanti, l’altra coppia di medaglioni, appena un po’ più piccoli, ospita altri due animali affrontati: a sinistra un serissimo grifone, col corpo di felino e le ali e la testa d’aquila; a destra un leone che si volta, sorridente, verso chi guarda, con la sua pittoresca criniera bionda. Anche in questi soggetti, la mano del mosaicista mostra una certa misura di ingenuità, mescolata però ad una piena padronanza dell’organizzazione complessiva del disegno.

Separa le due coppie, e taglia come a metà la porzione di pavimento che possiamo ancora ammirare, una frase latina perfettamente leggibile, e in lettere gigantesche, chiarissimo segno della vanità dell’abate che commissionò il mosaico: si legge, su due righe, che BLASIUS VENERABILIS ABBAS / HOC TOTUM IUSSIT FIERI. E proprio l’attribuzione al venerabile abate Blasio, che “tutto questo ordinò che fosse fatto”, ha permesso agli studiosi di datare il pavimento all’epoca della sua reggenza, e quindi alla metà del XII secolo.

Più modeste di Blasio, e anzi quasi nascoste, e però anch’esse meritevoli di essere ricordate, sono due altre figure, di dimensioni minori, conservate all’interno di un’altra piccola porzione di mosaico, sul pavimento della navata laterale sinistra: si tratta di un altro centauro, questo però intento a scagliare una freccia con il proprio arco, e di un cervo che gli sta di fronte e che, nonostante anche queste due figure siano rappresentate all’interno ciascuna di un cerchio, di una “ruota”, sembra essere proprio la preda a cui il “sagittario” sta dando la caccia. Ne prendiamo le foto, che non è semplice realizzare, dalla bella pagina dedicata al Patirion dal blog “Camminare nella storia”.

~ ~ ~

Uno scorcio (foto: rossanopurpurea.org)

Si diceva come questo monastero – restano, oltre alla chiesa, pochi ruderi, tra cui quelli di un chiostro che però è stato probabilmente riedificato in epoca rinascimentale – sia da considerare, insieme alla Cattolica di Stilo, una delle più interessanti testimonianze della presenza del monachesimo greco-cattolico in Calabria. Alla derivazione dal vocabolario greco si deve anche l’incertezza sull’accentuazione del nome della chiesa e del monastero. Che l’intitolazione Santa Maria “del Patir” sia stata scelta per ricordare il fondatore – e che non c’entrino il patire, la sofferenza, le pene… – è tesi condivisa. Ma gli studiosi sono discordi quanto alla pronuncia. Chiara Garzya Romano propende per l’accentuazione piana, e dice che “il complesso monastico di Santa Maria del Pàtir (o Pàtire, detto anche Patirion) fu fondato all’inizio del XII secolo dal beato Bartolomeo da Simeri – donde il suo appellativo, cioè «del padre» – che vi morì e vi fu sepolto nel 1130″. Propende per un’accentuazione diversa il sito dell’Arcidiocesi di Rossano/Cariati, curato dall’Ufficio diocesano Beni culturali, dov’è scritto che la chiesa “è conosciuta come «Santa Maria del Patìr» o, secondo la dizione popolare, «del Patìre». L’uso di tale denominazione, che deriva dal termine greco «path/r» (patèr, pronunciato in neogreco patìr, padre) testimonia la particolare devozione verso il padre fondatore…”. E poiché si incontra poi la doppia denominazione sintetica “Patirion” e “Pathirion”, il mistero dell’accento e della corretta intitolazione si complica assai… e potrà essere risolto solo indagando in loco: e abbiamo così trovato un motivo in più per partire e far rotta verso le coste dello Ionio, e verso Rossano Calabro, e verso le bellissime absidi del monastero in mezzo ai boschi.

.

Centocinquantun pagine per raccontare l’Abruzzo, una terra fiera, in cui l’arte romanica è fiorita rigogliosa. Raccolgono e raccontano le grandi chiese e le grandi abbazie isolate, l’arte vivacissima di Ruggero, Roberto e Nicodemo, e i loro splendidi arredi pieni di girali, mostri, animali e piccoli uomini nudi, e ancora i portali e gli architravi, gli amboni e i cibori… Il viaggio nell’Abruzzo romanico, non delude mai, e così non delude il nuovissimo volumetto ITINERARI alla scoperta DEL ROMANICO IN ABRUZZO, che raccoglie gli appunti di viaggio di Before Chartres.

.

La terra alta tra Milano e i Laghi è una delle culle, se non la vera culla, dell’architettura romanica. Da qui i “maestri comacini” portarono i segreti della loro laboriosa abilità costruttiva un po’ dovunque in Europa. Un itinerario in dieci tappe racconta le loro realizzazioni più preziose – da Almenno San Bartolomeo a Gravedona, da Agliate ad Arsago Seprio a Civate – e lo spirito, i colori, i materiali, i modi e i vezzi che hanno lasciato nelle loro terre d’origine: DIECI PERLE romaniche TRA MILANO E I LAGHI. 

.

Santa Maria del Patir è un edificio splendido anche per la sua collocazione. Ma il tempo romanico è ricco di chiese isolate, e costruite, come e più ancora di questa, ai confini del cielo. Belle come il Patirion, e come questo inerpicate sui monti, o comunque lontane, difficilmente raggiungibili, altre dodici splendide chiese stanno nel volumetto che Before Chartres ha dedicato – finalmente “in carta” – ai più spettacolari nidi d’aquila del romanico. Lo trovi qui: DODICI CHIESE isolate DEL TEMPO ROMANICO.

.

7 pensieri su “Il “Patir”, l’abbazia dei monaci briganti

  1. Aldo Valentini (da Fb):
    Mi mangio le mani sapendo che tantissimi anni fa ero in zona per ricerche minerarie prima e di idrocarburi poi. Vidi Stilo, ma certamente non provavo ancora la passione di oggi… Grazie per il bellissimo articolo e le foto.

    "Mi piace"

  2. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Senza ombra di dubbia una delle più affascinanti chiese romaniche della Calabria, riccamente decorata nelle absidi con tondi ad inserti geometrici policromi (che mi ricordano tanto la mia amata Alvernia) e i bellissimi mosaici pavimentali, un po’ ingenui come disegno ma dalla pregevole fattura.
    Purtroppo mi manca e quando finalmente tornerò in Calabria, seguendo le tue suggestioni, sarà il primo sito da visitare approfonditamente.

    "Mi piace"

  3. Attilio Vescovi (da Fb):

    In Calabria si trovano cose incredibili… vero che è lontana e molte cose sono pure fuori mano… ma le ho sempre trovate aperte o è bastato fare un numero di telefono e una persona gentile arrivava…. e devo dire che, a mio parere, tutto meritava di essere visto… questa in particolare gestita dai Carabinieri forestali.

    "Mi piace"

Scrivi una risposta a Giulio Giuliani Cancella risposta

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.