Inconfondibile, il maestro di San Juan

Tra gli artisti del tempo romanico, il “maestro di San Juan de la Peña” non è di certo il più elegante, né il più profondo, e c’è anche chi fatica ad appassionarsi al suo modo di scolpire; però la sua mano è la più facile da riconoscere, e le sue opere, sparse in giro per la Spagna medievale, si distinguono da tutte le altre: semplici, dolci, modernamente eloquenti.

Il chiostro di San Juan de la Peña

Stiamo allora parlando di un artista geniale, in anticipo sui tempi? o fu invece semplicemente meno dotato di altri, e per questo più leggero e frettoloso? Per giudicarlo a ragion veduta, è necessario andare nel monastero aragonese costruito sotto la grande roccia. Qui nell’eremo vecchio di San Juan de la Peña, diciannove capitelli del particolarissimo chiostro portano la sua firma, posti l’uno in fila all’altro nelle due ali complete – i restanti, della terza galleria, sono di altra mano, più antica di decenni – e si susseguono dandoci uno specialissimo quadro dello stile e dell’abilità artistica del nostro maestro.

I dodici capitelli disegnano un percorso che affronta due temi principali: i primi tre capitelli raccontano le vicende dell’Eden, e vedono protagonisti Adamo ed Eva dalla creazione alla cacciata; i successivi invece raccontano della vita terrena di Gesù, dall’Annunciazione fino all’Ultima Cena e al processo al Cristo davanti al Sinedrio, premessa dell’epilogo tragico che sarà stato descritto nei capitelli mancanti. Il luogo, e il chiostro, e l’atmosfera sono, qui nel monastero vecchio, a dir poco appassionanti; e lo sono anche i capitelli, così coerenti tra loro, così susseguenti nel racconto che prosegue di arcata in arcata. Il maestro di San Juan – noto anche come “maestro di Aguero” – ci offre qui il meglio della propria arte, marcata da quelli che sono i tratti salienti del suo modo di scolpire. Un cartello esplicativo nelle sale museali del monastero stesso li riassume così:

Il suo stile, ben definito, presenta una serie di caratteristiche originali tra cui spiccano gli occhi sporgenti e obliqui dei suoi personaggi; le teste e le mani leggermente sproporzionate, che ne accentuano l’espressività; la qualità delle pieghe e dei panneggi degli abiti.

Un’altra caratteristica peculiare del modus operandi del nostro maestro – in molti pensano che dietro alle sue opere ci sia un gruppo di scalpellini, quasi un atelier, capaci di scolpire tutti allo stesso modo – è la sua abilità nell’impaginare gli episodi narrati. Non c’è sforzo di profondità, non c’è ricerca di pathos, non c’è esigenza di rappresentare gestualità complesse e moti potenti dell’animo; la scena invece è sempre piana, il racconto semplificato, inquadrato nello spazio a disposizione in modo a volte ripetitivo – guardate quanto spesso agli angoli dei capitelli stanno le teste dei personaggi – ma sempre efficace e leggibilissimo.

L’infilata dei capitelli: si noti il ritornare ripetitivo di una testa all’angolo alto a sinistra. Sotto, Gesù e la Maddalena
Gesù e la Maddalena

Alcuni degli episodi sembrano avere quasi due sole dimensioni, come fossero disegnati su un foglio di carta: nell’Ultima Cena si noti, ad esempio, che Giuda sta in fianco a Gesù e non, come accade normalmente, di fronte al Lui; così che risulta molto piano e molto evidente il gesto del Signore che, mentre Giovanni posa il capo sul suo petto, con la destra offre un boccone all’apostolo che lo tradirà. Calmo, etereo, sottile e ingenuo è il dialogo tra l’angelo e il falegname di Nazareth, addormentato, nel capitello del sogno di Giuseppe. E ancora si guardi come il maestro di San Juan fa “svoltare l’angolo” all’asino su cui siede Gesù nel rilievo dell’Ingresso in Gerusalemme: senza che la cosa preoccupi l’artista, la cavalcatura del Cristo si piega e si adatta, stesa per metà su una faccia e per metà sulla faccia successiva del capitello. Ciò che normalmente nei capitelli romanici è a sbalzo, e sporge verso l’esterno, qui è invece placidamente adattato alla superficie, come fosse quella di un quadro, o di una pellicola cinematografica.

Il capitello dell’Ingresso in Gerusalemme

Qualche commentatore si spinge ad evidenziare fortemente, anche con paragoni inattesi, la modernità del maestro di San Juan. Angel Canellas-Lopez, nel volume Navarra romanica di Zodiaque, scrive addirittura che

…questi personaggi si presentano privi di accessori e ambientazioni, e questo fa sì che venga attribuita un’importanza ancora maggiore all’attitudine e all’atteggiamento in cui sono scolpiti; e tutto ciò, unito ad un’esecuzione piena d’evidenza (a rischio a volte di effetti di asimmetria e sproporzione) ci permette di vedere nel “maestro di San Juan de la Peña” il nostro primo scultore espressionista.

L’annunciazione

Forse è azzardato un collegamento tra il XII secolo, epoca a cui risalgono le opere di cui parliamo, e quella di Matisse, di Egon Schiele e dell’avanguardia del primo Novecento. E però non c’è dubbio che il maestro di San Juan innesta nell’arte del tempo romanico alcuni aspetti di una modernità sorprendente, e non c’è dubbio che mostra una innata capacità di semplificazione, di rappresentazione, e verrebbe da dire quasi di astrazione. E se dietro queste opere così coerenti e nuove c’è una scuola, una squadra, invece che un solo artista geniale, allora siamo di fronte ad un ulteriore motivo per definire innovativa tutta la produzione che va sotto il nome del “maestro di San Juan de la Peña”: moderna è infatti, più che romanica, l’idea di una squadra di scalpellini in grado di lavorare all’unisono, con uno stile unico; moderna è un’organizzazione del lavoro che consente di ripetere schemi e modelli, e che opera con un ritmo e una produttività non sostenibili dagli artisti solitari del medioevo. E’ improprio certamente anche il paragone con certi meccanismi del design industriale… E però forse sì: nella semplicità scultorea di questo maestro – o questa scuola – e in certi tratti ripetitivi e fortemente caratteristici c’è già il desiderio, nient’affatto romanico, di marcare una produzione propria, di renderla facilmente ripetibile, di diffonderla e di farla diventare quanto più possibile riconoscibile e famosa.

L’Ultima Cena, con la particolare posizione di Giuda in fianco a Gesù

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C’è anche uno di questi pezzi notevolissimi, nel volumetto sui capitelli medievali che Before Chartres propone, finalmente “in carta”, ai suoi lettori più fedeli. E ce ne sono altri undici – anzi, per la verità ce ne sono altri tredici – che hanno la pretesa di essere altrettanto belli. Vedere per credere. Qui: “DODICI splendidi CAPITELLI ROMANICI”

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7 pensieri su “Inconfondibile, il maestro di San Juan

  1. Roberto Gherzi (da Fb):
    Davvero unico il modo di scolpire di questo Maestro….quasi un’incisione invece che una scultura…non va mai a fondo nel bassorilievo, non accentua i chiaroscuri e usa lo scalpello quasi come un pennello. Inconfondibile e il colore della pietra lo rende ancora più unico. Chissà se anche questi capitelli erano dipinti…

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  2. Liliane Juillerat (da Fb):
    Che contenta sono di rivedere questo meraviglioso santuario nella roccia. L’ho visitato nel 1967 e ne conservo un ricordo nitido ed estasiato, ma da tempo non riuscivo a ricordare il nome, né l’avevo ritrovato sulla carta geografica e nessuno era in grado di aiutarmi!

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    1. Mi spiace, Anacleto. Non conosco sufficientemente l’argomento per consiliare un libro così specifico. Posso solo suggerirti, se hai un profilo Facebook, di fare la tua domanda dentro i Gruppi Fb “Itinerari artistici del Medioevo” e “Architettura medievale”: può essere che ti rispondano persone appassionate di questo tema specifico.

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  3. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Stra-ordinari questi capitello di San Juan de la Peña, ovvero non ordinari per la tecnica scultorea del tutto particolare, che non penso possa essere di un atelier ma piuttosto di un unico scultore, un artista piuttosto atipico per come rappresenta le figure umane e per come dispone i personaggi sui capitelli da lui scolpiti.
    Non ho memoria infatti di capitelli simili altrove e conto di vederli ed apprezzarli personalmente già l’anno prossimo.

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  4. Aldo Valentini (da Fb):
    Bellissimo articolo, Giulio, da leggere, che mi sprona, una volta di più ad andare in quelle terre. Mi spiace sempre non poter dare nome e cognome ad artisti come questo che con quella semplicità voluta, con quella caratterizzazione come quegli occhioni, e con quella organizzazione studiata della scena, esprimono un grossa personalità. Certo, in queste personalissime scelte sembrano anche moderni. Ad esempio io ho pensato a Botero. Ed è sempre sorprendente ed ammirevole questa tua capacità di analisi ed interpretazione spesso poetica.

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