In alto, sulla facciata, mostra un rosone che è come un merletto; ed è appunto il rosone, particolarissimo, il marchio della cattedrale di Troia. Gli appassionati dell’arte medievale ricordano e ammirano, infatti, la chiesa dell’Assunta per la sua splendida rosa – si dice sia l’unico rosone del medioevo con undici raggi – e per la facciata particolarissima, che il grande oculo circolare, così finemente decorato, nobilita ulteriormente. E però, poiché il rosone e tutta la parte alta della facciata risalgono al XIII secolo, e non possono più definirsi opere romaniche, Before Chartres cerca, nella basilica di Troia, altri elementi ed altre eccellenze: guarda allora al portale con le decorazioni romaniche su architrave e capitelli; guarda al pulpito che, lungo la navata, richiama i rilievi fioriti e bianchi del non lontano Abruzzo; ma guarda soprattutto alle porte bronzee, quella in facciata e quella su lato, che risalgono entrambe ai primi decenni del XII secolo, e sono tra le più interessanti del tempo.


La cattedrale di Troia ha una storia complessa, e la sua costruzione, avviata da Gualtiero Francigena negli ultimi anni dell’XI secolo, si è protratta poi per molti decenni, tanto che non poté dirsi davvero compiuta fino al Rinascimento. Proprio come la cittadina di cui è il simbolo, che nei secoli dei grandi scontri fu quasi sempre schierata sul fronte opposto rispetto alle altre città pugliesi, anche la cattedrale dell’Assunta non si allinea affatto, e si propone invece come un episodio fuori dagli schemi: è difficile, infatti, inserirla nel percorso architettonico del romanico pugliese, quello che passa per Bari, con le sue due grandi chiese e poi per Bitonto e Trani e Ruvo; ma allo stesso tempo Santa Maria Assunta è lontana dall’altra corrente architettonica della regione, quella delle chiese coperte da cupole in asse, che mostra a Valenzano, a Siponto e a Barletta gli episodi più importanti. La città di Troia fa storia a sé, dicevamo; ed allo stesso modo la cattedrale di Troia ha nell’originalità il suo tratto più saliente. I tempi lunghi della sua edificazione poi ne fanno, come si è detto, un edificio per molti aspetti spurio e complesso. E anche per questo la cattedrale dell’Assunta può suscitare la più spontanea ammirazione, oppure una diffidenza difficile da celare: della stessa facciata di cui molti si innamorano, la Pina Belli D’Elia scrive che
è sempre in ombra, e forse questa particolare posizione ne accentua l’espressione severa, accigliata, per nulla accattivante ad onta dell’esuberante arredo plastico che non ne ingentilisce l’aspetto, e se mai ne potenzia l’impressione di forza compressa e quasi minacciosa. Il prospetto è nettamente suddiviso in due piani (…) e il secondo, dalla sagoma tozza e dilatata (…) è tutto dominato dal monumentale rosone traforato, aperto al centro da una grandiosa arcata (…). Una ghiera affollata di sculture si incastra fra la curvatura dell’arcata e la rosa, come un pesante sopracciglio aggrottato sulla grande orbita luminosa…
In questo contesto complicato, guardando la cattedrale di Troia l’appassionato del romanico cerca punti fermi. E si concentra allora volentieri sui due portoni della cattedrale, con le formelle bronzee di Oderisio da Benevento, datate con precisione – almeno queste! – la prima, quella in facciata, al 1119, e la seconda, sul lato di Piazza Episcopio, al 1127. Firmate dallo stesso artista, chiamato ad operare a Trani dal vescovo Guglielmo II, le due porte bronzee costituirono il completamento del periodo romanico del cantiere. Ripropongono tre tipologie di formelle: sull’una e sull’altra porta Oderisio infatti realizza innanzitutto sottili ritratti di figure umane: c’è anche un Cristo in mandorla, e ci sono santi sul portale principale, mentre su quello laterale ritroviamo figure di vescovi del passato cittadino; la seconda tipologia di formelle è quella che fa realizzare ad Oderisio teste leonine vivaci e mordenti, in altissimo rilievo, che portano in bocca un anello; sulla porta principale troviamo anche due splendidi draghi che sembrano voler prendere il volo.



Sono molto interessanti, infine, soprattutto sul piano storico, le formelle che contengono iscrizioni dedicatorie. E nella porta laterale, un lungo testo occupa addirittura tutte le otto formelle più basse; e ci aiuta a cogliere la centralità della cattedrale, e del Vescovo, dentro la vita della città di Troia nella prima metà del XII secolo. Recita: “Amministratore di giustizia, liberatore della patria, Guglielmo II, per grazia di Dio nono vescovo di questa venerabile città di Troia, anche queste porte fece fare con proprio denaro, come generoso dispensatore, nell’anno dell’incarnazione del Signore 1127 ed anno 108.mo dalla fondazione di questa città, anno terzo di pontificato di Papa Onorio II e ventunesimo del vescovato di Guglielmo II, indizione quinta, che fu l’anno in cui Guglielmo III duca dei Normanni, morì a Salerno. E ciò avvenne allorché il popolo troiano, per conquistare la propria libertà, distrusse la rocca e munì la città di un vallo e di mura”.

Non a caso questo portone, più povero del principale ma carico di valore sociale, è denominato “Porta della Libertà”. Nell’iscrizione si esalta la figura del vescovo Guglielmo II, che completò la cattedrale e volle renderla ancora più bella grazie alle porte di Oderisio. Il testo riassume poi, con precise indicazioni temporali, i più importanti avvenimenti dell’epoca tra cui l’elezione del Pontefice e la morte di un duca. Ma il cuore dell’iscrizione batte là dove si narra di come la città Troia, segnata davvero da un’ansia di indipendenza, si sia opposta alle pretese del Conte normanno Ruggero II, che dalla Sicilia tentò a lungo, in quel periodo, di estendere il suo potere sulla Puglia. Per resistergli, guidata proprio dal vescovo Guglielmo, la cittadinanza “distrusse la rocca”, simbolo dell’ingerenza normanna, e “munì la città di un vallo e di mura”, sancendo così il proprio desiderio di restare libera e di non sottomettersi ad altri poteri che non fossero quello del Vescovo.
In una cattedrale dalle vicende sovrapposte e un po’ confuse, la “Porta della Libertà” parla invece in modo chiaro, elenca date e fatti, mette crudamente i puntini sulle “i”; e dice che Troia non volle scendere a patti, e si preparò a tener testa ad ogni esercito che giungesse da lontano. La città tirava su mura, e si chiudeva davanti a chi accampava pretese; e proprio le porte dell’Assunta, con i loro leoni arcigni e ancor più con le formelle piene di scritte, stavano lì a dire che vescovo, cattedrale e città erano uniti e decisi a non arretrare di un passo.
Dovette cedere, alla fine, la città di Troia. Fu distrutta infatti per vendetta dal nipote del Conte Ruggero II, quel Federico II di Svevia che da imperatore fece del meridione d’Italia la sua casa e il suo castello, e che offeso e burlato dalla città, ebbe a parlarne – “Troia, serpens longa, multo repleta veneno… sus lutosa, mater et alumna doloris” – come di una serpe e di una scrofa fangosa, e infine la punì con estrema violenza… Ma noi ci fermiamo prima di questo epilogo tragico: proprio come il bellissimo rosone da cui siamo partiti, appartiene ad un tempo che non è il nostro, e non è più romanico, e a raccontarlo nei dettagli penseranno altri.
P.S.: Le foto che corredano questo articolo sono tratte dalla Pagina Facebook “Itinerari Artistici del Medioevo”, e sono tutte di Francesco Sala. A lui va il grazie di Before Chartres, non solo per questo dono ma per come, cantore delle bellezze del romanico, ha saputo magistralmente documentarle e riproporle sia online che attraverso diverse pubblicazioni.
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Attilio Vescovi (da Fb):
Una porta incredibile… e come al solito in un posto sconosciuto o quasi, lontano dal mare… una cattedrale bellissima con il rosone della facciata.
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Ho amato la concattedrale di Troia da quando la vidi la prima volta da ragazzino, affascinato da quel rosone sublime, trattato come un merletto da uno scultore raffinato. E tornandovi alcuni anni fa’, credo nel 2018, ho provato la stessa meraviglia, ed ho potuto riapprezzare non solo quello e la facciata, ma ogni dettaglio, fino alle porte bronzee, che ottimamente descrivi, grazie al contributo del nostro Magister, Francesco Sala, che l’ha immortalata diversi anni fa’, quando ancora non aveva “subito” un’intervento di pulitura.
Faccio fatica però a seguirti nella tua negazione di romanicità del rosone, non per una mera valutazione cronologica neppure certa, ma per la sua stessa struttura e decoro. La ghiera che la avvolge, tutta scolpita con mensole e modiglioni, mi ricorda infatti tante chiese romaniche d’Oltralpe, in Francia (modillons) e Spagna (canecillos). E’, certo, un po’ fuori scala, immenso, nella facciata, probabilmente non nel disegno originario, ma non per questo gotico, anche se realizzato in un secondo tempo.
Peraltro, tutta la chiesa mostra decori molto interessanti all’esterno, giocati anche su una policromia affascinante, mentre all’interno è più compassato, severo, come forse solo nella parte absidale.
Un gioiello della Architettura Romanica pugliese.
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Penso io, Paolo, per quel poco che vale il mio pensiero, che il rosone in sé è un elemento tardoromanico, e diventa poi presto una delle massime espressioni del gotico. Ci sono certamente rosoni romanici, realizzati nel XII secolo, in giro per l’Europa; e però è anche vero che noi italiani ci siamo abituati all’idea che il rosone sia elemento romanico “facendoci ingannare” dal fatto che lo vediamo al centro di famosissime facciate romaniche: da Modena a Trani, da Tuscania a Spoleto, da San Zeno a Verona a San Vigilio a Trento; ma tutti questi rosoni sono aggiunte sensibilmente posteriori rispetto all’originaria facciata romanica. Perciò, in primo luogo dobbiamo avere la consapevolezza che la facciata romanica in origine non li prevedeva; poi possiamo anche dire – questione di sensibilità – che sono “romanici” anche se realizzati nel XIII o nel XIV secolo, o che sono già “gotici” e “altra cosa” rispetto a quella che doveva essere la facciata romanica… ripeto: questione di sensibilità. Nel caso specifico di Troia, a me pare – questione di sensibilità – che il rosone abbia un struttura e una tessitura che lo collocano al di fuori del repertorio romanico… Poi, che tutta la parte alta della facciata sia del XIII secolo avanzato, credo sia evidente. Giustissima la tua osservazione sulla ghiera a “canecillos”, sopra al rosone, che allinea sculture che trovo anch’io molto simili a certe modiglioni del romanico europeo, e… che direi ben più “romaniche” del rosone.
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Paolo Salvi (da Fb):
Sì, però questi, cioè i modiglioni che fanno da ghiera al rosone, non sono estranei al rosone stesso, e anzi, lo definiscono spazialmente. Quindi romanici quelli e gotico il rosone non sta in piedi. Poi torniamo alla questione della temporizzazione. Un’opera del XIII secolo può legittimamente definirsi romanica, particolarmente in Italia.
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Hervé Bidard (da Fb):
Quel soin dans ce souci esthétique d’éléments utilitaires. Et cette créativité : les deux dragons ne sont pas symétriques mais ont leur propre représentation. [Quanta cura e preoccupazione estetica per elementi utilitaristici… E quale creatività: i due draghi non sono simmetrici ma hanno ciascuno una loro rappresentazione.]
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Donatella Lucchetti (da Fb):
Incantevole. Le volute della porta così leggere! Penso al lavoro dell’artista che le ha forgiate.
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