Il nome in pietra nel portico di Goslar

La città di Goslar, nella Bassa Sassonia, fu centro urbano importantissimo nel tempo romanico. A partire dall’XI secolo, infatti, fu sede imperiale tra le più influenti, e ospitò spesso e a lungo i sovrani germanici quali, per esercitare il loro potere con agio, vi costruirono un grande palazzo, che ancora possiamo ammirare, e una grande collegiata, che invece non c’è più. Dedicata ai Santi Simone e Giuda, quella di Goslar era forse la più vasta chiesa romanica del settentrione dell’Impero; nei secoli successivi però è stata sempre più trascurata, e venne infine smantellata pietra per pietra – sul suo sedime oggi si trova un vasto parcheggio per auto – fatta salva una piccola parte: è il “portico di Goslar”, sorprendentemente giunto fino a noi a far memoria di un grande edificio, di un tempo lontano e… di uno scalpellino pieno di sé.

Il palazzo imperiale

Diciamo della basilica, prima. Fu l’imperatore Enrico III ad erigerla, giusto intorno alla metà dell’XI secolo. Aveva tre navate, ed era di dimensioni imponenti; dialogava con il palazzo imperiale e insieme a questo costituiva un complesso monumentale ancor più vasto, che diceva, appunto, della grande importanza della città nello scacchiere del tempo. L’imperatore, insieme a Vittore II, papa tedesco, presiedette la consacrazione della nuova “cattedrale” nell’anno 1056: poi, in verità, non ebbe molte altre occasioni di far sfoggio del proprio potere, poiché morì poco più tardi, in quello stesso anno.

La chiesa e, nel tondo, il nartece sopravvissuto

Goslar fu centro rigoglioso per tutto il medioevo, e la sua grande chiesa fu oggetto, nell’era di mezzo e nelle successive, di aggiunte e trasformazioni. In età rinascimentale e moderna, nel frattempo, l’importanza della città andò scemando sempre più; all’inizio del XIX secolo Goslar era una città assai indebolita e la collegiata versava in uno stato di tale abbandono che le autorità cittadine si trovarono di fronte all’impossibilità di sostenere l’onere delle necessarie ristrutturazioni, e decisero così – siamo nel 1819 – di alienarla ad un imprenditore edile che la trasformo un una cava a cielo aperto, da cui ricavare materiali – pronti e nobili – per altre imprese architettoniche.

Uno scorcio del “portico” (foto: myheimat.de)
Il nartece visto di fronte (foto raymond-faure.com)

La collegiata di San Simeone e San Giuda ha fatto, in conclusione, la stessa fine della gigantesca terza chiesa dell’abbazia di Cluny – e a chi è appassionato di grandi chiese “sparite”, ricordiamo anche le vicende simili dell’abbaziale di Murbach, in Alsazia, della basilica della Charité-sur-Loire e della grande chiesa normanna di Jumieges -. Però a Goslar dalla demolizione, per un motivo ignoto, è stato preservato il “portico”, una sorta di nartece che era stato aggiunto sul lato nord della collegiata di San Simone e San Giuda, nei pressi della facciata. Questo vestibolo non è una costruzione coeva alla collegiata, ma è comunque ascrivibile al tempo romanico, poiché è stato eretto intorno all’anno 1150, a costituire di fatto il nuovo ingresso principale. Nelle illustrazioni che mostrano la grande chiesa ancora in piedi, il “portico”, con la sua strana terminazione a tetto, che peraltro richiama certe parti del Palazzo Imperiale, è ben evidente: osservando questi disegni antichi, e paragonando in essi portico e chiesa, si ha un’idea delle dimensioni che aveva avuto l’intero edificio.

La colonna (foto: raymond-faure.com)

Resta il fatto che la grande chiesa non c’è più, e che fino a noi è giunta solo una “appendice”, ora isolata e quasi priva di un senso, e trasformata in sala espositiva: contiene, oltre ad alcune colonne della cripta distrutta, una copia – l’originale è nel museo del Palazzo imperiale – del trono che il sovrano utilizzava nella navata perduta per partecipare alle celebrazioni. Bello più di ogni altro oggetto esposto in questo museo del passato, più bello certamente delle duecentesche figure a bassorilievo in alto sulla facciata, è il capitello sulla colonna che divide in due l’ingresso al “portico”. Presenta in ogni faccia una testa dalla chioma ondulata, circondata da draghi alati che sembrano sbucare dalle labbra e, più su, intrecciano i colli; e quel che è più notevole è che ci tramanda, nell’iscrizione che corre in alto prima dell’abaco, il nome dell’artista che lo realizzò, insieme a tutta la colonna finemente decorata e insieme alla base che ha forma – oggi quasi illeggibile – di animale stiloforo: nell’iscrizione sta scritto infatti HARTMANNUS STA | TVAM FECIT BASE | Q(VE) FIG(V)RAM, e cioè “Hartmannus ha realizzato il rilievo e la figura alla base”.

Quasi nulla è arrivato fino a noi della collegiata di Goslar. Sul capitello firmato da Hartmannus, però, si conserva, aggrappata strenuamente alla pietra, la memoria di uno scultore fiero: il suo nome si è proposto per secoli – pensate che orgoglio! – a tutti coloro che entravano nella vasta chiesa imperiale; ed ora continua a presidiare – e all’orgoglio di certo si è aggiunta la sofferenza – quel poco che resta di un grande monumento e di un tempo lontanissimo, nei quali si cantavano insieme le lodi del Re dei cieli e quelle dell’imperatore terreno.

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Non c’è il capitello notevole di Goslar nel volumetto sui capitelli romanici che Before Chartres propone ai suoi lettori più fedeli. E però ce ne sono altri dodici – anzi, per la verità ce ne sono altri quattordici – che hanno la pretesa di essere altrettanto belli. Vedere per credere. Qui: DODICI splendidi CAPITELLI ROMANICI

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Un’altra rassegna di capolavori: altri venti capitelli, tra i più belli scolpiti nel tempo romanico, sono raccolti in questo volumetto. Before Chartres li guarda e li racconta con la consueta curiosa attenzione, e con quell’entusiasmo che, di fronte a pezzi così eccezionali, è inevitabile: CAPITELLI ROMANICI, altri VENTI CAPOLAVORI.

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All’Alvernia, regione antica della Francia centrale, è dedicato uno splendido volumetto. Raccoglie tutti insieme i numerosi articoli che il blog Before Chartres ha scritto su una terra magica, ricca di grandi architetture absidali e di bellissimi capitelli, e si intitola LE NOVE PERLE (e le altre meraviglie) DELL’ALVERNIA ROMANICA.

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3 pensieri su “Il nome in pietra nel portico di Goslar

  1. Sandra Comolli (da Fb):

    In Germania però si corre spesso il rischio di trovare chiese e opere medievali molto restaurate… e così si sente meno la patina del tempo che rende i luoghi affascinanti. Molto belle le grandi chiese, però sono anche molto fredde per il mio gusto.

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