Non puoi dimenticare Soto de Bureba

Dipende un po’ anche da questo toponimo inconfondibilmente castigliano, se la chiesa di Soto de Bureba resta nella memoria, e se il ricordo della visita a questa piccola ed eccentrica realizzazione del romanico non rischia di mescolarsi con quello di altre uscite e altri viaggi. Poi di questa chiesa, dedicata a Sant’Andrea, non si dimentica la collocazione: sorge infatti sul pianoro rialzato al centro di un pueblo, di un villaggio, che forse conta oggi dieci case e ancor meno abitanti; a sud del pianoro delimitato da un muretto, si estende, a perdita d’occhio, la piana della Bureba, nella regione di Burgos, caldissima d’estate, con i piccoli corsi d’acqua che l’Ebro attira a sé; a nord invece, come a guardare le spalle della chiesetta, si alzano i monti dell’estremo settentrione iberico, coperti dalla neve, che d’inverno arriva anche qui, a Soto. Ancora, a rendere inconfondibile questa San Andrés, quasi abbandonata come uno strano fortino che non serve più a nessuno, è la forma che assume la sua parte alta, con quel che resta di un torrione o campanile prima costruito, poi crollato, poi rifatto, e infine restaurato, ma in un modo che sorprende, con quel tetto in cima che sembra davvero coprire una torre militare.

La chiesa vista dal pianoro, sul lato meridionale

Cooperano, questi tre elementi – toponomastica, collocazione, aspetto particolare -, a fare di Soto de Bureba una meta speciale. Infine, di San Andrés è impossibile non ricordare quegli archivolti pieni di figure, che affollano il portale in disordine e fantasia, alcune bellissime, altre misteriose, scolpite sicuramente da più di una mano, probabilmente ricomposte chissà quando nella disposizione che vediamo noi ora, che non è più quella d’origine.

Gli archivolti e, sotto, il capitello con il tritone e la sirena

Il portale, nel suo insieme, risulta uno dei più intriganti della Castiglia alta. Tre colonne per parte reggono i tre archivolti maggiori, e tra questi e quelle stanno due serie di capitelli che hanno perduto molto della leggibilità originaria – altri, interessanti, stanno nella finestra meridionale e di quella dell’abside -: il primo della serie di destra, sullo stipite, è senza dubbio tra i più intriganti e particolari – in una regione che, quanto ai temi prescelti per le decorazioni, a volte pecca di originalità -, e mostra una tritone che suona il corno mentre incrocia la grande coda con quella della sua sirena, la quale, seduta di fronte a lui, gli porta in dono due pesci (ed è inevitabile tornare con il pensiero ad un capitello altrettanto misterioso nel portale svizzero di Saint-Ursanne). Ma a dominare la scena sono, come si diceva, gli archi che sovrastano la porta di ingresso, leggermente acuti, e rigogliosamente riempiti di immagini.

Il “gigante” incatenato

I primi due hanno ancora una certa simmetria: nel minore, due grandi figure in piedi – forse la Vergine a destra e san Giovanni a sinistra – simili per dimensioni, guardano all’Agnello che sta in chiave di volta, mentre i conci più esterni sono decorate con figure di animali fantastici; nel secondo, aperto e chiuso da decori geometrici e vegetali, si susseguono figure che sembrano non rispettare un programma preciso, tra le quali un satanasso accucciato come fosse un gatto, una dama in piedi, un guerriero col suo scudo – qui addirittura si interrompe la disposizione radiale di tutto l’archivolto – e infine un’arpia e un bel drago.

Il terzo archivolto, il più esterno, sorprende per le due grandi figure che lo aprono e lo chiudono: a sinistra un uomo in piedi, dai lunghi capelli, la cui dimensione si potrebbe giustificare solo se fosse un gigante, è vincolato dalle catene che gli bloccano il collo e i piedi; all’estremità opposta dell’arco c’è una donna, purtroppo sfigurata; in mezzo, un’arpia, decorazioni floreali, un basilisco, e infine le teste di tre personaggi che, pur essendo di dimensioni differenti, sembrano dialogare tra loro.

Gli archivolti del portale

L’archivolto più interno è fortemente ribassato, e presenta nove cerchi contenenti figure contorte: il senso delle rappresentazioni è così difficile da cogliere, qui più ancora che nel resto del portale, che gli studiosi considerano questa parte come il frutto di un rimontaggio infelice di pezzi che dovevano avere altra collocazione. E però è qui, nell’intradosso di questo arco ribassato, che un’iscrizione, scolpita proprio sopra la porta, ci dice quando fu costruita questa medievalissima sarabanda, e anche a chi dobbiamo lo stupore che proviamo guardandola. Recita infatti: “IN NOMINO DOMINI NOSTRI IHES(U) X(RIST)I (IS)TA ECCLESIA CLAMANT S(AN)C(T)I ANDR(AE) ERA MCCXIIII (IS)TE PORTAL FECIT PETRUS DA EGA IHOHANES MICAEL”. E’ da qui che abbiamo la prima notizia della dedicazione della chiesa a sant’Andrea, che fu eretta nell’anno 1214 dell'”era ispanica”, cioè nel 1176; ed è da queste poche righe che sappiamo che a metterci del loro nella realizzazione del portale furono un certo Pietro da Ega e un Giovanni Michele.

La parete meridionale e il portale

L’interno di San Andrés, in origine a navata unica come molte altre chiese dell’area, non presenta la stessa ricchezza che si incontra nel portale; e anzi è spoglio, e fortemente segnato dai crolli, ora in qualche modo tamponati, e dalla costruzione a nord di una specie di navata ulteriore, aggiunta molti secoli dopo l’edificazione della chiesa. E va così, qui a Soto de Bureba: tutto si mescola – grandezza e spopolamento, santi e mostri, giganti e teste grandi e piccole, figure e iscrizioni, cronologia e rifacimenti, religioso e militare… – in un luogo che conosce il sole cocente e le giornate di neve, prova senza successo a spiegarsi con chiarezza a chi viene a visitarlo, ma alla fine, proprio perché difficile da archiviare, lascia traccia indelebili di sé.

Soto de Bureba d’inverno (foto dal sito Burgos sin ir más lejos)

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2 pensieri su “Non puoi dimenticare Soto de Bureba

  1. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Un piccolo gioiello della Castiglia che come sempre ci presenti con accuratezza nelle sue peculiarità scultoree. Una meta minore, di quelle particolarmente affascinanti proprio per questo, da non trascurare in una regione ricchissima di splendidi esempi romanici.

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