
Un centauro a Le-Puy-en-Velay
Intorno al grande portale, intorno al Signore che viene nell’Ultimo Giorno, l’uomo romanico scolpisce l’universo in cui vive. E se i capitelli e gli archivolti del tempo sono abitati da animali veri e fantastici, da esponenti di popoli lontani e diversi – tra cui genti dalle grandi orecchie, o dall’unico gigantesco piede – è perché questo, proprio questo, è il mondo in cui ritengono di vivere gli uomini del periodo romanico.
Sbaglieremmo se cercassimo di distinguere e separare in questi inventari l’animale reale – il cane o il cavallo, ad esempio – dall’animale esotico – come il cammello e l’elefante – e dall’animale “fantastico” – che sia l’unicorno o l’arpia; tutte queste creature, che noi ora distinguiamo in reali, esotiche, fantastiche, sono infatti ugualmente vere ed ugualmente esistenti per l’uomo romanico. E allo stesso modo sono contemporaneamente vere ed esistenti le popolazioni esotiche e anche quelle che noi oggi sappiamo essere leggendarie. Leone e chimera, pigmei e giganti, centauri e cinocefali – non hanno forse una testa di cane gli sciamani di cui di bocca in bocca giungeva notizia? –: l’uomo romanico non distingue, e rappresenta indistintamente queste figure poiché le deriva dal proprio modo di elaborare e costruire le proprie conoscenze.

Un centauro a Lucca
E’ fragilissimo, ignorante, e fantasioso, il sapere dell’uomo medievale. Che tende ad affastellare le nozioni una sull’altra, come fa un’enciclopedia redatta a caso, senza sforzo di organizzazione. E’ governato, poi, questo sapere, dalla prevalenza del significato sul fatto: l’uomo medievale, infatti, dà poca importanza ai “perché” reali di un evento o di un oggetto, se solo gli si presenta l’occasione di scovare altri “perché”, filosofici, o didascalici, o morali, o allegorici, che considera comunque più importanti. Sempre ansioso e sempre proiettato in avanti, l’uomo romanico è sempre pronto ad investigare un oggetto a partire dall’etimologia del suo nome più che dalla sua forma, e a spiegare un fatto a partire da un parallelo altro evento storico o mitologico, prima ancora che dalla concreta realtà di quanto accaduto. Lo spiega bene Julius von Schlosser:
“Nel Medioevo, il mondo sembra diventare più grande, sovrastato da un cielo profondo. Ogni pensiero conduce ad esso, è rivolto in alto, non alla piccola terra (…). Dato che tutto ciò che è terreno e individuale è stimato apparenza fugace, e l’essenza e la pienezza del mondo son poste in qualcosa che trascende ciò che è terreno, il vicino e il lontano, il reale e l’irreale perdono i loro contorni definiti e si confondono insieme. Il ‘fatto’, che solo apparentemente è reale, diventa fatalmente indifferente: donde la storia ‘inventata’, i falsi documenti ad maiorem Dei gloriam, la fede nel miracolo, la straordinaria mancanza di critica e l’illimitata credulità del Medioevo” (L’arte del Medioevo, pp. 14-16).

Mostro e centauro ad Autun
Quello romanico, peraltro, è un sapere che fatica a mettere in campo una qualsiasi analisi scientifica o la verifica, comunque organizzata, di una notizia o di un’informazione. Il controllo delle fonti è spesso impossibile; e quando esse gli forniscono nozioni che riguardano luoghi e popoli lontani, l’uomo romanico deve prenderle per buone così come gli arrivano, rarissimamente di prima mano. Ha infatti a che fare con molte popolazioni e molte tradizioni che gli sono “straniere” – il Medioevo è epoca di grandi migrazioni e di contatti tra culture diversissime –, e nel contempo ha pochissimi strumenti di comprensione. In quei secoli, scrive Marc Bloch, “per sapere quel che accadeva lontano era necessario che ognuno, qualunque fosse la sua posizione sociale, si affidasse al caso degli incontri. L’immagine del mondo contemporaneo che avevano gli uomini meglio informati presentava non poche lacune”.

Centauri e sirene a Zamora
Infine, se nella mente dell’uomo romanico le sirene e le amazzoni stanno insieme agli animali delle foreste e ai cavalieri, ugualmente reali, ciò è dovuto anche al modo con cui nel tempo medievale sono connessi tra di loro la sfera del reale, quella della magia e quella del soprannaturale. In questi secoli, infatti, l’universo del magico e del divino non interseca la vita quotidiana dell’uomo come un’altra dimensione, perpendicolare a quella terrena: al contrario, questo universo del miracolo e del soprannaturale circonda il quotidiano, ponendosi sullo stesso piano terreno. Lo spazio della superstizione, e poi quello della magia, e poi quello del soprannaturale, e poi quello del divino stanno tutto intorno all’uomo, sulla terra, come centri concentrici via via più ampi. E la città degli uomini non deve guardare per forza verso l’alto per incontrare qualcosa di diverso da se stessa: il “selvaggio” e il “mostro” stanno già appena fuori dalle sue mura; e poco più in là dei confini della città comincia già la foresta, che è magica di paura e di meraviglia, di lupi e di draghi; e ancora più intorno ci saranno – l’uomo romanico lo immagina, e questo gli basta – altre terre, in cui abitano altre genti, gli altri animali mai visti eppure indubitati, altri poteri, altre forze occulte.
Ecco allora che, non verificati e non messi in dubbio, nelle pietre scolpite delle chiese romaniche stanno i popoli e gli animali, quelli visti e quelli di cui si tramandano i racconti. Insieme, così come non distinti circondano l’uomo, non distinti circondano il Cristo in Gloria.

Un uomo e una donna “dalle grandi orecchie” sul portale di Vézelay (foto: http://www.vezelay-visiteur.com)
Ammiriamo le architetture romaniche, le pitture e le sculture che contengono, insicindibili dalle prime, ma non di rado ci sfugge il significato simbolico di tutto ciò che osserviamo; per cui, inevitabilmente, ci sfugge la “comprensione vera” del tutto.
Addentrarci nei meandri del simbolico, anche se arduo, aumenta inevitabilmente la nostra meraviglia.
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Marco Squarcini (da Fb):
Saggio molto interessante e da rimeditare ogno volta che ci si domanda che cosa ci fosse ‘dentro’ quei cervelli europei del Medioevo. Basta, poi, prendere sul serio enciclopedie come Isidoro di Siviglia o compendi di cose mirabolanti come Solino, e non farci deviare da interpretazioni allegoriche o anagogiche…
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Quello di Le-Puy in alto è una centauressa, non un centauro.
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Il medioevo continua a prenderci per mano per condurci da ogni dove al nostro cuore
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Angela Piccinotti (da Fb):
Veramente bello e ben scritto questo articolo!
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