Siamo abituati a camminare lungo viali ordinati di capitelli, nelle navate e nei chiostri romanici. Ma c’è un luogo in cui i filari allineati diventano invece una foresta, di colonne, di capitelli, di figure. Accade a Saint-Benoît-sur-Loire, dove un abate di nome Gauzlin volle costruire, davanti alla facciata della sua basilica, già grande, una torre ancora più maestosa; e volle che il piano a terra di questa torre non fosse chiuso, ma aperto sui lati, come un porticato complesso. La torre dell’abate Gauzlin, che in origine era ancora più alta e pesante, poggia così su sedici sostegni, su sedici pilastri compositi: è come una selva di tronchi d’albero granitici; e tutti sono fioriti, all’altezza dei capitelli, di figure e storie, di vegetazione e racconti di pietra.

Una veduta della torre-portico
Ci si orienta a fatica, dentro il portico-torre di Saint-Benoît (o “di Fleury”, come tradizionalmente è chiamata l’abbazia): il visitatore si muove camminando con lo sguardo all’insù, per cercare e osservare le figure scolpite. E nel frattempo guardano verso di lui i capitelli scolpiti da Unbertus – che ne firmò uno con il proprio nome e tutti gli altri con il proprio stile inconfondibile -.

Un capitello “corinzio”: si noti comunque la decorazione tipicamente medievale sulla cornice alta e, subito sotto, la “firma” di Unbertus
Colpiscono la ricchezza della decorazione e l’esplosione di foglie e fiori e volute; e davvero Unbertus, che opera nella seconda metà dell’XI secolo, può dirsi il primo tra gli artisti romanici a riscoprire e a riutilizzare in modo compiuto il capitello “corinzio”. Attento osservatore dell’arte antica, Unbertus non solo riporta in auge questo elemento architettonico fondamentale, realizzando pregevolissimi esemplari; ma intuisce anche la possibilità di usare lo schema del capitello corinzio come sfondo, come cornice, come ambientazione: ed ecco allora che nella selva di Saint-Benoît anche i capitelli figurati – i temi sono quelli dell’Infanzia di Cristo e dell’Apocalisse – conservano tutti le volute angolari tipiche dello stile classico, e un abaco profondamente scavato, anch’esso elemento peculiare del capitello antico; e così, a fare da sfondo sono sempre le forme vegetali e le foglie d’acanto, che inquadrano le composizioni e contribuiscono a rendere i capitelli, anche quelli “istoriati”, tutti coerenti tra loro.

La Fuga in Egitto
Tipiche dei gioielli di Saint-Benoît, fanno innamorare le figure dalle grandi teste, quasi a palloncino; e per questa peculiare conformazione dei volti, anche i corpi sembrano spesso aprirsi verso l’alto, proprio come si allarga verso l’alto il capitello corinzio.
Sono bellissimi il pezzo con i Cavalieri dell’Apocalisse e quello in cui figure umane e leoni si intrecciano: ne presenta moltissimi il sito di arte romanica Monasterios, ricchissimo catalogo di immagini dalle grandi abbazie di Catalogna, ma anche di Spagna e Francia (da cui sono prese le foto qui sotto). Spicca tra tutti il capitello in cui Unbertus racconta a modo suo la Fuga della Sacra Famiglia verso la terra d’Egitto. Pur con le sue ingenuità – come il volto di Giuseppe ben lontano dalla tipologia tradizionale e molto più simile a quello di un monaco benedettino – la Fuga in Egitto di Fleury regge il confronto con altre mirabili rappresentazioni dello stesso soggetto, ed in particolare con quelle di Autun e Saulieu, vicine nello spazio ma ben più tarde quanto a datazione, e certamente più mature.
- I Cavalieri dell’Apocalisse
- San Martino
- Figure umane e leoni
- Prigionieri
Andrea Burroni (da Fb):
Sempre straordinariamente interessante, grazie.
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Interessante questo edificio dal punto di vista architettonico, con questa possente torre-portico in facciata, che non ho mai visto finora in altri luoghi. Così come è interessante questa arguta rivisitazione scultorea di un modello classico, il capitello corinzio, per farne uno sfondo della rappresentazione.
Vai sempre a pescare delle chicche che a noi sfuggono.
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Ettore Coven (da Fb):
Interessantissimo e grande merito fare conoscere questi capolavori.
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