Fleury, dal libro del profeta Unbertus

C’è, nel lavoro dei migliori artisti del tempo romanico, un’ansia di fedeltà che non dovremmo mai sottovalutare. Sentiamo, nei pezzi migliori, la fatica e la tensione di chi, scolpendola, brama di far dire alla pietra le parole divine. E così, mentre è pieno di sirene e leoni e omini e racemi, il tempo romanico propone anche capitelli che osano parlare con voce di Dio; e in essi davvero ogni colpo di scalpello, ogni testa, ogni personaggio sboccia sulla pietra con il sacro timore di essere fedele alla Parola, di essere esso stesso racconto di Salvezza.

Saint-Benoît-sur-Loire, la torre-portico

Tra questi capolavori di consapevolezza e di fede ci sono alcuni dei capitelli del portico di Saint-Benoît-sur-Loire, che pure datano all’XI secolo, cioè ad un romanico ancora giovane e quasi barbarico. Uno in particolare, quello dedicato ai cavalieri dell’Apocalisse, già bello a prima vista, parla con la stessa voce possente con cui profetizza il testo biblico, e su quest’ultimo è devotamente modellato. Ed è proprio leggendo il testo di Giovanni, al capitolo 6, e confrontandolo con il capitello, che il rilievo scolpito diventa chiaro e leggibile fin nei dettagli. E ci si rende conto dello sforzo, dell’adesione, della volontà dell’artista di fare di quel blocco di marmo una nuova rivelazione.

I cavalieri, a cominciare da quello con l’arco

“Quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli – recita il testo – vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: «Vieni». Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora”. E’ Giovanni, che parla. E così come la visione dell’Apocalisse mostra per primo un cavaliere armato d’arco, così il capitello di Saint-Benoît dedica la sua prima “faccia” a questa figura, mettendo il campo il primo dei “flagelli” destinati a percorrere la terra, e poi prosegue fedelmente, via via, con gli altri tre emissari di morte. Percorrendo il capitello verso destra, vediamo infatti un secondo cavaliere, che brandisce una spada, lo stesso che incontriamo proseguendo nella lettura dell’Apocalisse, che dice: “Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: «Vieni». Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada”. Anche la guerra è scesa nel mondo, per seminare di sé i campi e le città.

Poi viene il terzo cavaliere, che nel capitello segue il secondo, nel pieno rispetto del racconto biblico, e porta con sé, come arma ben strana, una bilancia, e con questa si presenta: è il cavaliere della carestia e della povertà, e la bilancia dice come, nei tempi di magra, i frutti della terra necessari al sostentamento dell’uomo possono finire per essere venduti a peso d’oro:

Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d’orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati».

Il quarto cavaliere è la morte in persona: “Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra”. Dietro al quarto cavaliere, lo scultore di Saint-Benoît fa apparire un ghigno tondo: è l’Inferno, che segue il quarto cavaliere, così come lo scalpello di Unbertus segue il dettato dell’Apocalisse.

Giovanni, l’agnello, le anime

E lo fa anche nell’ultima faccia del capitello, dove un uomo in piedi guarda stupito un agnello ritto sopra un tavola, sotto la quale si intravvede come un cumulo di teste umane: “Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo – racconta, proseguendo, Giovanni nell’Apocalisse – vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa”.

Basta per dire che certi capitelli, e questo in particolare, sanno parlare come un libro stampato? Qui a Fleury – davanti a questo e agli altri capitelli che nel poderoso portico dell’abbazia di Saint-Benoît ri-raccontano l’Apocalisse – non ci possono essere dubbi. E questo pezzo splendido, che poteva apparire come una confusa rappresentazione di uomini ad animali, o una caccia strana, culminante in un sacrificio, si dimostra in realtà come il frutto di una narrazione precisa e devota, come una nuova esperienza profetica. E’ quasi la proclamazione, dal leggìo di marmo, del testo giovanneo, e più ancora è un nuovo annuncio di quella promessa antica che, così com’è annunciata dai pulpiti di tutte le chiese, deve giungere ai fedeli anche attraverso il lavoro e l’arte dello scultore.

Il lato conclusivo del capitello, e il capitello successivo di nuovo dedicato all’Apocalisse

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Le storie della Bibbia hanno ispirato e guidato gli artisti romanici. Before Chartres ne ha descritte molte nei suoi articoli, e oggi ha raccolto le più affascinanti in un volumetto pieno di fede, di sapienza e di stupore, che trovi qui: STORIE della Bibbia NELL’ARTE ROMANICA.

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Non c’è, questo pezzo notevolissimo, nel volumetto sui capitelli medievali che Before Chartres propone, finalmente “in carta”, ai suoi lettori più fedeli. E però ce ne sono altri dodici – anzi, per la verità ce ne sono altri quattordici – che hanno la pretesa di essere altrettanto belli. Vedere per credere. Qui: DODICI splendidi CAPITELLI ROMANICI.

6 pensieri su “Fleury, dal libro del profeta Unbertus

  1. Paolo Salvi ha detto:

    Due capitelli magnificamente cesellati, altro che arcaici!, come un’opera di cesello è la tua narrazione.
    Diviene evidente così come la lettura e la piena comprensione del capitello possa essere fatta solo conoscendo il testo sacro, che restituisce figurine apparentemente curiose al senso che avevano in origine nella mente dello scultore e soprattutto del committente.
    Mentre negli affreschi questo è più agevole, spesso narrano episodi ben noti, nel caso dei capitelli, ciò è decisamente più ostico, anche per la posizione degli stessi, ma soprattutto per la compattezza della narrazione, ridotta ad uno spazio minimo.
    Ci vuole molta voglia di indagare e profonda conoscenza dei testi per poter interpretare i capitelli.

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    • Giulio Giuliani ha detto:

      …e ogni volta che ne studi a fondo uno, ti accorgi che fino a prima non ne avevi colto che il messaggio superficiale. E poi, anche dopo una lettura più approfondita, si aprono scenari e approfondimenti ulteriori: sul tema dei cavalieri dell’Apocalisse, per stare a questo capitello, c’è tutta una tradizione esegetica; e un altro mondo si apre se si considerano, insieme a questo, gli altri capitelli “dell’Apocalisse” scolpiti a Fleury. Insomma: non si finisce mai di… fare scoperte 🙂

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  2. Gianpiera Capetta ha detto:

    Vi leggo o ascolto congrande piacere e attenzione,perchè è attraversole vostre precise spiegazioni che capisco di più l’arte romanica che mi ha sempre intrigata e conosco i testi sacri a cui si ispirano e che anoi nonsono mai stati spiegati e neppure fatti conoscere!grazie.

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