Cosa resta di romanico a San Andrés?

Poiché non è durato in eterno, il tempo “romanico” ha sicuramente i suoi confini, al di là dei quali l’arte del medioevo vira, cambia strada, si trasforma, diventa altro, e non è più “romanica”. Il confine è uno, ma i varchi di frontiera possono essere molti: anche il passaggio tra l’arte romanica e ciò che viene dopo, così, è fatto di numerose stazioni di dogana, di luoghi e monumenti in cui il trapasso, lo sconfinamento, si rende evidente. Uno di questi punti è il monastero di San Andrés del Arroyo, in Spagna, nel territorio di Palencia, dove fa bella mostra di sé una colonna famosissima, con il suo mirabolante capitello. Che per molti è un capolavoro del romanico, e forse invece del romanico è un po’ il certificato di morte.

La colonna mirabile di San Andrés

La colonna regge un angolo del chiostro cistercense del monastero, e come il chiostro risale al XIII secolo. Più possente delle altre che sotto i piccoli archi si susseguono due a due, e anzi decisamente tozza, presenta un corpo tutto scolpito a geometrici zig-zag, appena ingentiliti da piccoli fiori, che vi si sovrappongono, anche questi, a cadenza regolare. La completa un capitello decorato a fogliami, in cui lo scultore ha davvero tentato l’impossibile, e ha fatto sbocciare dall’arenaria, in altissimo rilievo, alcune volute vegetali perfettamente rotonde, entro cui si iscrivono grandi fiori a cinque petali che sembrano fluttuare intorno al nucleo del capitello, ad esso congiunti solo da alcuni sottili punti di appoggio. Ciò che vediamo oggi certifica l’audacia del nostro scalpellino: là dove l’azzardo ha resistito, il risultato lascia a bocca aperta; le parti crollate – durante il lavoro dello scultore? in occasione della messa in opera? nei secoli successivi? – ugualmente dimostrano che con il suo scalpello si era spinto fino dentro al territorio dell’impossibile.

Il capitello

Anche se moltissime volte, con il suo capitello, questa colonna appare sui social nei post degli appassionati del tempo romanico, essa testimonia più propriamente il modo in cui la spiritualità cistercense ha decisamente contribuito a chiudere il vecchio libro – quello romanico, appunto, dove stavano i mostri, gli apostoli, i miracoli, i racconti, i diavoli, i cartigli, gli insegnamenti e gli ammonimenti – per aprirne uno nuovo, quello “gotico”, o “moderno”, dove allo sguardo devoto e spasmodico del tempo precedente si sostituisce, tra le altre cose, proprio la prorompente sfida dell’uomo ai propri limiti, nella scultura come nell’architettura.

La parte posteriore del capitello

Che l’artista di San Andrés del Arroyo sia “nuovo” per via del mutato contesto in cui opera – che gli impone di evitare, nei suoi capitelli, le figure e i racconti -, e che sia “nuovo” anche per lo spirito con cui comunque intende imporre la propria arte, è magistralmente spiegato da Garcia Omedes in arquivoltas.com:

Ecco l’arte cistercense. Non ci sono più i capitelli pieni di centauri, sirene, menestrelli o scene religiose o mondane. L’arte cistercense – la riforma della riforma – è sobrietà. Cerca il raccoglimento per ricevere al meglio il messaggio di Dio. Niente deve distrarre la mente del religioso, mentre è raccolto per ascoltare. Si potrebbe credere che questa ideologia fondamentale dell’Ordine arrivi a limitare l’attività artistica dello scultore medievale. Ma niente è più lontano dalla realtà. Non c’è regola che limiti il ​​genio che alcuni artisti hanno dentro. Basta contemplare la filigrana sul capitello dell’angolo nord-ovest di questo chiostro. È un vero esercizio della vanità dello scultore (…). “Solo elementi vegetali: volute, foglie, steli, boccioli di fiori...“: forse erano queste le istruzioni che lo scultore riceveva e che rispettava… a modo suo.

A modo suo. Non accadeva, nel tempo romanico, che un artista rispettasse le regole “a modo suo”, o che “a modo suo” scolpisse e che scolpendo cercasse la sfida e l’esaltazione di se stesso. E così, la colonna di Arroyo con il suo mirabile capitello è certamente cistercense, ma con molta minor sicurezza può essere definita romanica. Anzi: è in quelle volute – e in quell’esercizio di vanità – che si certifica come ormai avvenuto il passaggio tra il tempo romanico e il tempo moderno; passaggio che è ancora sospeso nelle navate di Normandia, nel portale di Fidenza, o nel meraviglioso Portico della Gloria a Compostela – veri e propri luoghi di confine – ma che qui a San Andrés si è già definitivamente consumato, per via delle regole cistercensi, e per l’orgoglio con cui un artista di genio ha inteso comunque sfidare il limite imposto al suo lavoro.

Ovviamente non c’è, questo pezzo notissimo, nel volumetto sui capitelli medievali che Before Chartres propone ai suoi lettori più fedeli. E però ce ne sono altri dodici – anzi, per la verità ce ne sono altri quattordici – che hanno la pretesa di essere, questi sì, tra i più belli del romanico. Vedere per credere. Qui: “DODICI splendidi CAPITELLI ROMANICI”

4 pensieri su “Cosa resta di romanico a San Andrés?

  1. Paolo Salvi ha detto:

    Indubbiamente hai ragione.
    Al primo sguardo mi sono domandato il perché di questo capitello nella rassegna di Before Chartres: troppo il decorativismo dell’artista, ridondante ai limiti dello sfarzo, in questo sia pur pregevolissimo capitello, per collocarlo tra le creazioni romaniche. E’ cistercense, è già questo è indice di una cesura artistica netta col romanico puro; siamo nel XIII secolo ormai il gotico si espande dalla Francia alla Spagna e prende il sopravvento. Devo dire che lo avrei immaginato ben più tardo, prelude al flamboyant, ai miei occhi, questo rigoglioso fitomorfismo.
    Eppure…

    "Mi piace"

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