Merli in cima, come sulle fortezze, accessi come ponti levatoi, più che come portali, e mura a separare più che mai il monastero interno dal territorio circostante, una landa peraltro disabitata e quasi spettrale dell’alta Catalogna: Sant Quirze de Colera, con la mole massiccia e con le pietre forti, incarna, anche se notevolmente diruta, l’anima protettiva, e quasi guerriera, di tante chiese del tempo romanico. Chiese che in questi secoli sono più forti del castello, e più del castello sono in grado di garantire salvezza.
Piantate infatti profondamente al centro del medioevo romanico ci sono le “chiese”. Anzi: ci sono tre “chiese”. In un mondo in cui i soggetti collettivi tradizionali – famiglia, villaggio, città, Stato… – faticano ad assumere una qualsiasi funzione di protezione e di prospettiva, acquisiscono per contro un’eccezionale rilevanza tre altri soggetti che hanno lo stesso nome e si chiamano “chiesa”, e salvano.
Il primo di questi “totem” del tempo medievale è la “Chiesa”, intesa come ideale comunità dei credenti, come “Ecclesia”, alleanza umana e divina per la salvezza dell’uomo; l’Ecclesia salva l’uomo, e anzi solo l’Ecclesia salva l’uomo: non esiste speranza per chi è fuori dall’Ecclesia, e per chi, per questo motivo, è escluso o si esclude dal patto che lega gli uomini al Dio rivelato. Chi è fuori dall’Ecclesia, e fuori dal patto, è anzi un pericoloso nemico della fede – per questo furono tanto temute nel medioevo le eresie! – e della Ecclesia che si prepara a riunirsi al Salvatore che torna.

San Vincenzo a Galliano
Il secondo soggetto di salvezza è la “Chiesa” del luogo, cioè quel gruppo di religiosi, stanziali, del posto, a cui il fedele del tempo romanico fa riferimento per tutta la sua vita, siano essi uno o più sacerdoti della parrocchia più vicina, o il capitolo della cattedrale della città, o il gruppo dei canonici di una pieve, o più spesso ancora la comunità di consacrati che abita il monastero sorto fuori o dentro le mura: questa “Chiesa”, questa comunità di religiosi che detta i tempi e i riti e le regole, che confessa e amministra l’Eucaristia, è la concreta realizzazione della promessa di salvezza fatta da Dio all’Ecclesia, ai cristiani tutti. La chiesa di San Vincenzo a Galliano – una tra le tante pievi a cui si affianca il battistero – è la plastica rappresentazione del luogo fisico in cui questa seconda “Chiesa”, questa ecclesia locale, propone e garantisce la salvezza ai fedeli che ad essa fanno riferimento.
Infine il terzo soggetto, il terzo strumento della Redenzione promessa: è la “chiesa” di pietra, castello costruito tra le case dei fedeli o in mezzo al nulla; è l’edificio, il luogo santo che garantisce la possibilità di salvezza all’uomo romanico e lo protegge anche fisicamente. Offre salvezza, la chiesa costruita, perché entrarvi, e varcarne il portale, significa accedere al mondo altro che ogni chiesa ricostruisce sulla terra, ai riti necessari, alla doverosa preghiera, all’incontro taumaturgico tra il peccatore e il sacro. Ma offre salvezza anche fisica, quotidiana, perché offre protezione: i muri spessi e i campanili come torri, fanno della chiesa, anche nella sua fisicità, un altro castello. Abbiamo visto quanto somigliano ad una rocca la chiesa e il monastero di Sant Quirze de Colera, posti sui colli che dalle rive del Mediterraneo accompagnano verso i Pirenei catalani: un luogo lontano, una collocazione in quota, una cerniera di monti alle spalle. E poi mura di pietra spesse e quasi prive di finestre. Un castello, insomma… E a questo castello – a questi castelli che, simili a Sant Quirze la fede costruì a centinaia nell’Europa romanica – a questa fortificazione, più ancora di quella del signore laico, si affidano gli uomini del tempo romanico. Questa è la terza “chiesa”; e anch’essa, a suo modo, è un porto sicuro per ogni uomo che vi cerca rifugio.
Tre “chiese”, dunque – una ideale e universale, l’altra incarnata nel clero vicino, e l’ultima fatta di pietre possenti e protettive – come tre luoghi di salvezza. A queste tre chiese, e alla loro protezione, si vota, nel suo tempo di assoluta incertezza, l’uomo romanico.

Il monastero di Sant Quirze (“san Quirico”) de Colera, in Catalogna
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La parte orientale della chiesa
A Sant Quirze, la prima chiesa fu costruita ancora nel X secolo; l’attuale, a tre navate rette da pilastri cruciformi e terminate da tre absidi, risale invece al secolo successivo, l’XI. Il monastero fiorì proprio nei secoli del tempo romanico, possente realtà di fede e di pietra, uno dei simboli più chiari della ricerca, tipica dei cristiani del tempo, di protezione oltre che di conforto spirituale.
Sant Quirze de Colera è solo uno dei tantissimi luoghi romanici che offre la splendida Catalogna. Anche se non possiede al proprio interno opere d’arte di primo livello – la parte absidale, quella sì, possiede una notevole equilibrio e profondi richiami lombardi – grande è il suo fascino dovuto in primo luogo proprio alla conformazione rustica della sua struttura, e alla parziale rovina del complesso monastico che fa tutt’uno con la chiesa.
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Ce ne sono almeno altre dodici. Belle come Sant Quirze, e anche più di questa inerpicate in cima ai monti, o comunque lontane, difficilmente raggiungibili, altre dodici splendide chiese stanno nel volumetto che Before Chartres ha dedicato – finalmente “in carta” – ai più spettacolari nidi d’aquila del romanico. Lo trovi qui: DODICI CHIESE isolate DEL TEMPO ROMANICO.
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Marisa Foi (da Fb):
Grazie. Interessante.
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Li leggo e li rileggo, ogni volta come fosse la prima volta. E come la prima volta li trovo splendidi, perfetti, in ogni parte, dal carattere all’impaginazione, dalle scelte iconografiche ai riferimenti storico-artistici. Ma ciò che è, mi si passi, “più” perfetto, è l’idea di fondo, quella che ispira l’articolo, che io non potrei mai.
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