Se c’è un luogo del romanico in cui puoi vedere, ancora oggi, uno scultore al lavoro, e sentirne i colpi, e indagarne i pensieri, quel luogo è la pieve di Castel Ritaldi. Isolata a poco più di un chilometro dal paese, nella terra di mezzo tra Assisi, Spello, Bevagna e Spoleto, la piccola chiesa di San Gregorio mostra in facciata un archivolto che gli studiosi definiscono particolare: “Appare per certi versi eccezionale – scrive Sandro Chierici – in quanto si distacca dalla sintassi narrativa fatta di equilibrio e di spazialità distese” che sarebbero elementi tipici della scultura umbra del XII secolo; insomma: tutto intorno ci si ispira alla plasticità della lezione classica, tanto forte e presente in questa regione; ma al contrario l’archivolto di Castel Ritaldi rappresenta “un documento d’eccezione relativo al primo diffondersi – sottolinea lo storico dell’arte – di un linguaggio plastico nuovo, costruito su una fluidità aritmica del racconto e su una potente espressione del contenuto drammatico”. Sarà…
Before Chartres trova l’archivolto bellissimo. E ancor di più si stupisce di come questo portale lasci trasparire molto della propria realizzazione, e ci permetta di fantasticare, quasi di indagare come è stato scolpito pezzo per pezzo, com’è stato ideato, realizzato, assemblato, e perfino che cosa pensasse lo scultore, e che scherzi immaginasse per noi, mentre ci lavorava.
“La ghiera esterna – immaginiamo che si sia detto – la facciamo con pietre lisce. Anzi no: ci sta, al centro, sulla pietra più lunga, che ci metto l’anno del Signore, questo in cui mi trovo a lavorare: ci scrivo AN, che sta per anno, e poi un bel MI per mille, un C per cento, e infine XLI per cinquanta meno dieci più uno. Poi c’è da decorare l’archivolto di mezzo: sottile com’è, riesco appena a farci stare una serie di volute vegetali, che si susseguono tutto intorno, ognuno con un bel fiore al centro, al massimo qualche frutto. Il fluire dei girali lo faccio partire dalla bocca di due piccoli animali, agli estremi: a sinistra un leone, a destra un cane. Magari al centro, in alto, sulla sommità dalla ghiera, ci metto un volto mostruoso, la faccia spaventevole degli abitanti segreti dei boschi”. Poi però il nostro scultore si dev’essere detto che anche in questo archivolto minore ci poteva stare un omino, di quelli nudi e avvolti dai rami tanto cari alla tradizione del vicino Abruzzo: ed ecco che appare, il nostro personaggio inatteso, disteso e quasi avvinto dai cerchi vegetali: terzo girale a destra, a partire dal “mascherone” centrale.
L’arco maggiore, dove undici “scene” si susseguono come dentro ad un lungo rettangolo curvo, dal profilo ben marcato, è pieno di fascino. E anche questa fascia principale ci riempie di curiosità, di domande da rivolgere allo scultore che lo ha realizzato. E’ un angelo, la figura centrale, alata e sorridente, perfettamente simmetrica, da cui si dipanano in entrambe le direzioni i girali vegetali? E come mai lo affiancano, e quasi lo servono, due animali “mostruosi”, alla sua destra un grifo – corpo da quadrupede, con ali e testa di uccello – e alla sinistra un biscione alato dal volto umano?

Ci sarà una logica, un senso a questa sfilata di figure? Alle spalle del grifo, alla nostra sinistra, incontriamo scendendo un uccello a testa in giù, e poi forse l’unica scena il cui significato è indubitabile: un bellissimo Sansone che, come impone l’iconografia romanica, sfianca il leone standogli sulla schiena e divaricandone, a mani nude, le mascelle feroci. Ed è ben strano che proprio qui il nostro scultore abbia sentito la necessità di aggiungere una didascalia, quel LEO ET SANSON che proprio non serviva esplicitare. Poi, procedendo verso l’estremo di sinistra dell’archivolto, troviamo ancora un uomo nudo fra i rami, intento a divorare un grappolo; e ancora un volatile, questa volta diritto, che becca il fogliame; e infine un piccolo leone – anche in questo archivolto maggiore ce n’è uno per parte, a “vomitare” e a far partire i girali – contrassegnato dall’unica altra didascalia, che dice appunto CATULUS LEONI, cioè “cucciolo di leone”.
Il leone vero, quello cresciuto a puntino, sta all’estremo opposto della ghiera, all’estrema destra. Sopra di esso incontriamo un grande uccello dal lungo becco. E infine, tra questo e il mostro serpentoso che serve la figura centrale, il nostro scultore ha voluto inserire la scena più complessa e curiosa: “Ci metterò un cinghiale che insegue un capro, anche se non so bene perché. Poi però il cinghiale sarà insidiato da un lupo che vuole sbranarlo; ma a sua volta, ad azzannare il lupo farò arrivare un cane da caccia”. Difficile dare un senso compiuto a questa scena agreste, che sembra l’inizio di quelle filastrocche da menestrello, catene di eventi e personaggi, che nei nostri tempi ha cantato anche Branduardi. Ma è molto interessante osservare come essa sia stata realizzata su due conci diversi, uno più grande con i tre predatori avvinghiati l’uno all’altro, e uno più piccolo con il solo capretto; e però le corna di quest’ultimo sconfinano nell’altro concio, così che ad attraversare la fessura tra un concio e l’altro – meraviglioso segno di unitarietà di concezione -, non sono solo qui i rami dei vegetali.

L’ultima sorpresa – e di nuovo ci si chiede a cosa pensava lo scultore mentre impaginava il suo capolavoro – è costituita da un omino che sbuca, a mezzobusto, tra il personaggio alato, al centro, e il grifo che lo guarda, proprio sotto la zampa piegata di quest’ultimo. Anche questo terzo omino ha pupille di piombo nero fuso; anche lui sembra uscire, da chissà dove, per guardare le scene che lo circondano con gli occhi spalancati. E sembra dirsi, stralunato come noi, che lo scultore di Castel Ritaldi dev’essersi proprio divertito, mentre disegnava con lo scalpello questo suo archivolto visionario, mentre scolpiva un concio dopo l’altro per poi collocarli l’uno di seguito al precedente, per vedere finalmente compiuta la sua girandola di sogno.
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Quello di Castel Ritaldi è un portale bellissimo, ma “minore”. Before Chartres affronta invece il tema dei “grandi” portali del medioevo, e lo riassume, come in un viaggio – finalmente “su carta” – in un volumetto prezioso, dedicato ai suoi lettori più affezionati. Lo si trova qui: DIECI grandi PORTALI ROMANICI
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Giovanni Toschi (da Fb):
Che bella descrizione! Penso anch’io che il portale di Castel Ritaldi sia molto bello: sottolineerei il modo in cui le figure sono scolpite, con un rilievo secco non molto classico e piuttosto modernista, se possiamo dire così.
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Mi sembra di leggere una ricetta in questo tuo excursus del portale di Castel Ritardo, quasi non ci fosse la consapevolezza di quello che l’artista fa, ma si procedesse per tentativi. Cosa che può anche essere vera, ma, forse, un poco ingenerosa con lo scultore romanico.
Certo c’è molta fantasia ed a noi moderni purtroppo spesso sfuggono i pensieri che sottendono ogni opera.
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Non sono sicuro di aver capito perfettamente la tua obiezione – “mi sembrava di leggere una ricetta in questo tuo excursus…” – ma il senso mi pare che sia: “Possiamo anche provarci, a scandagliare le intenzioni di un artista, ma poi non sapremo mai cosa pensava davvero quanto alla sua opera…”. E certamente hai ragione. Però l’artista i Castel Ritaldi sicuramente stupisce, oppure “gioca”: Perché due sole didascalie, e proprio quelle? Perché Sansone, e poi nessun altra scena “canonica”? Che cosa significa quella “caccia animale”? E quei tre uomini nudi tra i tralci, perché proprio lì? Insomma, più che in altri casi, a Castel Ritaldi stanno insieme una perfetta leggibilità grafica e per contro una incomprensibile serie di decisioni dell’artista. Sembra che il portale sia appena stato terminato, tanto è chiaro, e però non capiamo certe scelte dello scultore… E a me sembra di poter dialogare con lui.
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