È vero: c’è anche un cavaliere “sbagliato”, con il corpo avvitato in una posa innaturale, tra le figure scolpite sulla fontana romanica di San Frediano; e però non è questa, tra le tante del pregevole rilievo, la più sorprendente delle presenze.
Siamo a Lucca, nella più antica tra le grandi chiese della città; e qui, all’inizio della navata laterale destra, è stata collocata una delle opere più singolari della scultura medievale. La “fontana lustrale” di San Frediano è infatti costituita da una vasca circolare di circa quattro metri di diametro, composta da sei lastre completamente scolpite; al centro della vasca si erge una colonna, che a sua volta regge un’altra vasca e poi una specie di tempietto, anche questo pieno di figure scolpite. Non siamo certi neppure di quale fosse la sua funzione: sia che si trattasse di un fonte battesimale, sia che fosse una vera e propria fontana, l’intera struttura era collocata probabilmente all’esterno della basilica, ed è stata smembrata in varie parti durante i secoli, per essere infine riassemblata in epoca contemporanea qui, dentro la chiesa, non lontano dall’ingresso.
Siamo di fronte ad un’opera della seconda metà del XII secolo, “firmata” da un artista di nome Roberto – ROBERTUS ME FECIT – almeno nella parte bassa dell’opera. Il tempietto alto è circondato dalle rappresentazioni degli apostoli e dei dodici mesi: lo spiegano gli studiosi ed è necessario fidarsi, poiché le figure sono molto danneggiate, e pressoché tutte prive della testa. La vasca di base, invece, presenta una serie di sette eleganti figure in piedi, poste ciascuna sotto un archetto; e poi tutto intorno mette in scena, con maestria rara e con grande vigore, sette episodi della vita di Mosè. In questa parte narrante, si susseguono nell’ordine: la consegna delle tavole della Legge a Mosè, e poi la trasmissione della Legge da Mosè ad Aronne; il dolore della famiglia di Mosè per la crudeltà del Faraone, e a seguire la madre di Mosè che lo presenta, fanciullo, alla figlia del Faraone; seguono il prodigio del serpente trasformato in vincastro e il miracolo della lebbra; la settima scena, infine, mostra l’esercito del Faraone che soccombe nel Mar Morto, dopo che il popolo ebraico ha potuto, al contrario, attraversare indenne:
Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri». Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del Faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra» (Esodo 14, 26-29)
E qui, nella scena concitata in cui, sulle onde che salgono, a stento il Faraone e la sua scorta si danno alla fuga, incontriamo il cavaliere “sbagliato”. È l’ultimo sulla destra, seduto sul cavallo di un compagno d’arme, a cui si tiene abbracciato per non cadere all’indietro; ma ha capo e il torso volti in avanti, questo soldato, mentre il bacino e le gambe e i piedi sono girati all’indietro. Si tratta, secondo alcuni, di un errore grossolano dello scultore; altri vedono dietro questo “avvitamento” non so più quali simbologie, e nel frattempo sottolineano quanto gli Egiziani, guidati da un Faraone con tanto di corona, somiglino più a soldati crociati che ad una milizia dell’antico Egitto. Before Chartres – per quel che vale il suo parere – pensa che forse, con questa posa sconvolta, l’autore del rilievo abbia voluto mostrare il disperato tentativo di fuga del malcapitato cavaliere, montato in corsa alla rovescia sul cavallo altrui, in mezzo ad un mare che si sta ingrossando.
Ma c’è una figura ancora più inusuale – lo dicevamo all’inizio – tra quelle scolpite sulla vasca lustrale di San Frediano: sotto le sette archeggiature in quell’unica zona in cui non si tratta dell’epopea di Mosè, tra quelli che sembrano essere sei profeti della Bibbia, fa bella mostra di sé la rappresentazione di Gesù nella foggia del “buon Pastore”, con l’agnello sulle spalle. Questa è davvero un incontro inatteso: frequentissima nell’arte cristiana, la rappresentazione del Cristo come colui che torna all’ovile portando la pecorella smarrita è invece quasi scoparsa – come Before Chartres spiega in questo altro articolo – nel tempo romanico. Si direbbe anzi che questa simbologia di Gesù “buon Pastore” si stata a lungo dimenticata, tanto è rara nei secoli delle abbazie e delle pievi. E però qui a San Frediano un artista di gran valore e di profonda conoscenza dell’arte classica – MAGISTER IN ARTE P(ER)ITUS, come si definisce nell’iscrizione lo stesso Roberto – la ripropone con tutta la sua arte: getta un ponte, colma una lacuna, e ci stupisce con questa sua scelta iconografica oltre che per l’abilità del suo scalpello.
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Le storie della Bibbia hanno ispirato e guidato gli artisti romanici. Before Chartres ne ha descritte molte nei suoi articoli, e oggi ha raccolto le più affascinanti in un volumetto pieno di fede, di sapienza e di stupore, che trovi qui: STORIE della Bibbia NELL’ARTE ROMANICA.
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Nella vasta piana padana – la “Lombardia” medievale – dodici delle grandi chiese costruite nel tempo romanico competono in magnificenza, autorità e splendore. Before Chartres le osserva e ne descrive il cuore, in un nuovo delizioso volumetto: LE GRANDI “chiese di città” DELLA PADANIA ROMANICA.
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Stefano D’Antino (da Fb):
Forse c’è niente di sbagliato: Dio dice a Mosè: ho reso il loro cuore ostinato per guidarli fini alle acque… il magister ha inteso così (sempre forse) rappresentare l’ostinazione degli egizi…
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Graziella Mingoia(da Fb):
La maestria dello scalpello nella narrazione di pagine dell’antico testamento.
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Sonia Rodríguez (da Fb):
Admiro ésa capacidad de observación. Gracias.
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Luca Paleologo Palumbo (da Fb):
Cavoli, ho visto questa fontana molte volte e non l’avevo notato.
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Gabriele Calabrese (da Fb):
Il significato di questa innaturale torsione è chiaro. Lo scultore enfatizza in maniera grottesca il panico dei due cavalieri (templari?) pressati dall’acqua e dai compagni senza trovare una via di scampo. Lo spazio è così compresso che uno zoccolo del un cavallo del faraone (Federico Barbarossa?) comprime sotto di sé un pesce! Un favoloso e ineguagliabile esempio di patos scultoreo del XII secolo.
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Paolo Rizzi (da Fb):
Concordo con te Giulio Giuliani sul pregevole realismo dell’autore del cavaliere che salta sul cavallo all’incontrario, essendo ormai sul fondo per evitare di scivolare a terra pone i piedi a blocco sulle cosce del cavallo, bello anche il realismo dei volti dei cavalieri antistanti che guardano verso l’alto terrorizzati il muro di mare che sta chiudendosi.
Quanto al recupero dell’Homo crioforo classico hermes Orfeo) ripreso come Buon Pastore del III secolo D.C. nell’iconografia cristiana fa pensare a quegli studi specializzati affrontati nelle prime università medievali e che diedero inizio secondo Barbero al mondo moderno. Ricordo il bel post di Roberto Gherzi sui sarcofagi del Camposanto di Pisa…
Per approfondimento sul crioforo/Buon Pastore riporto da Treccani:
“Tratta dalle stesse parole di Cristo (Luca, X, 1-7), questa idea del B. P. verso la fine del II sec. ritorna correntemente in tutta la letteratura cristiana; Tertulliano ne attesta già le raffigurazioni sui vasi sacri (De pudicitia, X, 12). Già nel II sec. assistiamo però a due figurazioni del B. P. che esprimono concetti differenti: abbiamo il B. P. nell’atto di riportare nell’ovile la pecora smarrita, che è una diretta derivazione dal concetto evangelico; ed il B. P. nell’atto di sorvegliare il gregge, derivazione del concetto di Cristo come pastore della Chiesa. Il primo tipo si riallaccia alle figurazioni pagane, delle quali è esempio antico lo Hermes crioforo di Tanagra, e alla leggenda narrata da Pausania (ix, 22, 1).
Il tipo artistico della figura, criofora o moschofora (a seconda che rechi un ovino o un vitello), fu assai diffuso (si ricordi il celebre Moschophòros di Rhombos). Questo tipo, consistente in figure virili, ignude o vestite, con un agnello sulle spalle, si perpetua nell’arte greca e greco-romana con significati diversi, per ricomparire profondamente modificato sotto i tratti del B. P. nell’arte cristiana. Generalmente nell’arte pagana lo si incontra in figurazioni campestri o in scene di sacrificio: in un affresco della Casa di Livia, la raffigurazione di un giovane che assiste ad una scena di magia con un capretto sulle spalle è molto simile alle figurazioni del B. P.; ma si tratta sempre di una scena generica, pastorale, molto in uso nella pittura pompeiana. Un bronzo da Rimat in Siria, trovato in un santuario dedicato al Sole, raffigura un giovane ignudo con un animale sulle spalle: non si tratta di una scena generica, ma abbiamo proprio l’immagine di un dio-pastore alla quale può ricollegarsi la figurazione del B. P. Ma, anche scartando questa ipotesi, il B. P. benché trasformato nel concetto e nel significato, iconograficamente si riallaccia a figurazioni pagane; è stato anche notato che il tipo del B. P. può discendere direttamente dalle figurazioni di Orfeo che incanta le belve”.
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Don-Giuseppe Zurzolo (da Fb):
Era tipico nel 1100 al 1300, che i templari, come regola, andassero a cavallo in guerra in due, l’uno verso la guida del cavallo, l’altro di traverso per difendersi e difendere il compagno che non aveva modo di guardarsi le spalle!
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Che sia diffusa l’iconografia dei templari che cavalcano in due sullo stesso destriero, nessun dubbio: rappresentazione della povertà dell’Ordine, per altri del reciproco aiuto, per altri ancora dell’omosessualità diffusa… Ma da dove ricavi l’idea che il secondo cavalcasse “di traverso”?
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