L’apocalisse a colori a Castel Sant’Elia

Non fu il solo, Gisleberto di Autun, a mettere il proprio nome sotto i piedi del grande Cristo in gloria, dopo averlo scolpito nel timpano di Saint-Lazare: lo fecero anche i tre frescanti che con i loro affreschi resero ancor più bella la basilica di Castel Sant’Elia; e si firmarono così: IOH (annes et) STEFANU(s) FRTS (cioè fratres) PICTO(res) ROMANI ET NICHOLAUS NEPU (cioè nepos) IOH. Con buona pace di chi si ostina a parlare, per i secoli del medioevo alto, di un’arte anonima e umile, i tre pittori “romani” – i fratelli (o frati) Giovanni e Stefano, con Nicolò, nipote di Giovanni – si intestarono per sempre, qui nel Viterbese, uno dei cicli di affreschi più interessanti del tempo nell’Italia centrale.

Il transetto e l’abside affrescati
La “firma” ai piedi del Cristo

E’ l’aula vasta del transetto, con le sue pareti alte e lisce, che fu affidata all’arte dei tre pittori; e non ci si può contentare di gustare l’effetto complessivo e i colori, e un passo almeno va fatto per leggere ciò che su queste pareti è stato raccontato, stavolta senza bisogno di lettere e parole.

Dell’abside possiamo dire in breve. Nel catino campeggia la teofania: il grande Cristo in piedi al centro, benedice e invia i due apostoli che dialogano con Lui, a sinistra Paolo, a destra Pietro; due altri personaggi partecipano alla scena: dietro a Paolo, quel sant’Elia guerriero, da guerriero vestito, a cui era dedicata in origine la chiesa, oggi intitolata a sant’Anastasio; dietro a Pietro un personaggio più difficilmente identificabile. Più in basso, in un piccolo tondo, l’Agnello che, sacrificato, tutti ci salva; e, sotto, la fascia d’oro in cui altri agnelli vengono al Signore dalla città splendente di Gerusalemme. Ancora più in basso un’altra fascia bellissima: un trono, al centro, è occupato da una figura molto rovinata, e poté essere quella della Vergine; verso di Lei camminano, chiamate al trono da due arcangeli, altre vergini sante: blu, verde, marrone ed oro sono i colori su cui si gioca questa “processione”.

I Vegliardi a destra dell’abside

Ai lati dell’abside, così ricca, si snodano nelle pareti piane, due ulteriori processioni: nel registro più alto, in tutto il presbiterio, si mettono in fila, vestiti anch’essi come nobili guerrieri, profeti e santi, solo alcuni dei quali riconoscibili; più in basso, tutti rivolti verso l’abside, da un lato e dall’altro camminano adoranti i Vegliardi dell’Apocalisse, che, secondo il testo di Giovanni, accompagneranno la gloria del Signore negli ultimi istanti. Guglielmo Matthiae, uno dei più profondi conoscitori del ciclo, ce ne offre in un suo breve saggio questa mirabile descrizione:

Sul terreno verdino, scandito da steli rigidi con fiori a campanule schiuse, e sull’azzurro di un chiaro cielo notturno incedono i mitici vegliardi con lento passo ritmato ed uniforme. Vestono lunghe tuniche bianche e manti di colorazioni tenui, rosate, gialline, verdine che non spiccano sul fondo perché dal contrasto si esalti un valore costruttivo o la forma ne resti volumetricamente definita, ma solo come evocazioni di immagini lievi dalle proporzioni slanciate e dalla corporeità sottile, quasi di sogno. Le braccia si alzano con gesto uguale a sostenere oltre il volto i massicci calici d’oro, senza sforzo e senza che venga turbato l’equilibrio dei gesti, mentre il lembo del manto forma con le sue pieghe sostegno ai calici stessi. Le incongruenze si traducono in una realtà sovrumana e favolosa, nella quale a loro agio si muovono le forme di un cromatismo lieve e quasi festoso che non turba la solennità dell’insieme ma ingenuamente l’accosta all’umana comprensione.

Le scene dell’Apocalisse

Con i Vegliardi, dai temi dell’abside, ancora ispirati all’iconografia bizantina, ci si avvia verso il racconto apocalittico, degli eventi cioè che annunceranno e precederanno il Giudizio finale, così come visti in sogno e narrati da Giovanni nell’ultimo Libro canonico; è un tema, questo, ancor più tipico della riflessione e dell’arte romanica, e si svolge sulla parete che a destra chiude il transetto, per proseguire su quella di fronte. Persa, come vedremo, l’ultima parte della narrazione, sette sono i riquadri in cui si articola questo speciale racconto, e li percorriamo facendoci accompagnare dal Matthiae: “Il primo riquadro a sinistra – scrive lo studioso – contiene momenti diversi della narrazione e cioè l’apparizione del Figliuolo dell’Uomo a Giovanni fra i sette candelabri (…), poi nuovamente l’evangelista a colloquio con un angelo, evidente allusione agli scritti inviati alle sette chiese, ed infine la visione dell’Anonimo fra i simboli degli evangelisti e con i ventiquattro seniori”. Nel secondo riquadro è rappresentata “l’apertura dei primi quattro sigilli (…); ma a causa dello stato frammentario vi si scorge solo l’evangelista a colloquio con l’aquila e i primi due cavalieri”.

Le scene apocalittiche: il terzo riquadro

Il terzo pannello è forse il più caratteristico, e il Matthiae lo descrive così:

Nel registro successivo la narrazione continua con l’apertura del sesto sigillo (…): Giovanni è sempre ripetuto in basso a sinistra, eretto ed impassibile; al centro, ai quattro angoli della terra, rappresentata come un solido informe, quattro angeli trattengono i venti, figurette ignude di gusto classicheggiante, pronte a soffiare nelle lunghe trombe; l’angelo in alto a mezzo busto ordina di attendere che vengano segnati gli eletti del popolo d’Israele.

Nel quarto riquadro, “anch’esso frammentario, sempre alla presenza di Giovanni, che questa volta però prende parte attiva alla cerimonia alzando la destra nel gesto dell’acclamazione, l’angelo con il turibolo sta presso l’altare d’oro, mentre un altro suona la tromba”. E siamo alla cavalcata dei cavalieri dell’Apocalisse: nel quinto dei pannelli affrescati, infatti, “Giovanni assiste al galoppo dei tre cavalieri che travolgono gli uomini, uccidendoli in uno squallido paesaggio chiuso al fondo da fantastici picchi”.

Nell’ultimo riquadro di questa parete “è narrata invece la settima calamità, l’apparire della bestia e della Donna (…)”. La narrazione, spiega lo studioso, “proseguiva sulla parete opposta, dove un primo riquadro è perduto, ma in un secondo dopo la battaglia il mostro perseguita la donna, cui però sono state date le ali; il fiume si rovescia dalla bocca della fiera”. Il Matthiae conclude evidenziando come alla narrazione apocalittica, “che a questo punto si interrompe definitivamente, erano destinati presumibilmente ancora quattro scomparti”.

Proprio come l’abside nobile, che è perfettamente leggibile, così anche la narrazione dell’Apocalisse, qui a Castel Sant’Elia, ha una forza e una potenza narrativa che è raro trovare altrove. Anche per questo, gli studiosi hanno cercato, per gli affreschi della basilica, un legame con i coevi testi miniati – siamo alla fine dell’XI secolo secondo alcuni, nel XII inoltrato secondo altri – e cioè con altri luoghi ed altre penne che possano aver fornito un racconto ordinato e completo, una trasposizione in immagini della visione giovannea sulla carta, che fosse possibile riproporre in forma monumentale.

La scena con le vicende intorno alla morte dell’abate Anastasio

Una vasta scena, ulteriore, a se stante, viene proposta da questo mirabile transetto, a destra dell’abside, sotto i dodici Vegliardi in duplice fila. Narra delle strane vicende occorse quando morì l’abate Anastasio di Suppentonia, titolare della chiesa: a sinistra ne si mostra il corpo senza vita del santo, in occasione del funerale; a destra un angelo parla con otto personaggi davanti alla stessa chiesa, e otto personaggi vediamo poi stesi come in una buca. E’ così che i frescanti di Castel Sant’Elia hanno voluto confermare che davvero accadde ciò che il Signore promise all’abate Anastasio: che cioè morto il santo, otto suoi monaci sarebbero stati colti a loro volta, e portati in cielo al seguito del loro maestro.

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5 pensieri su “L’apocalisse a colori a Castel Sant’Elia

  1. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Castel Sant’Elia è una chiesa affascinante, come già ci hai mostrato in altro post, dall’esterno all’interno è un susseguirsi di meraviglie, per concludersi nel transetto e nell’abside con questi pregevolissimi affreschi.
    Bisogna che trovi il modo di andarci quanto prima.

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  2. Aldo Valentini (da FB):
    Gran bell’articolo su un luogo stupendo purtroppo non ancora da me visto. Rileggendo l’Apocalisse, Giulio Giuliani, mi sono segnato le diverse “sequenze” cinematograficamente parlando, perché mai come nel tempo romanico l’Apocalisse è stata cosi letta e rappresentata; oggi mi sono goduto la cripta di Epifanio a San Vincenzo al Volturno (ieri sera mi son riletto il tuo articolo!) Ne ho poi parlato nel pomeriggio con Franco Valente.

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