Tra le numerose rappresentazioni della “lavanda dei piedi”, episodio evangelico che il tempo romanico racconta più e più volte, una mi è più cara, anche perché inattesa. Si trova nel chiostro della cattedrale di Aix-en-Provence: qui, purtroppo, molti dei capitelli appaiono tristemente degradati; al contrario, quello che narra di Gesù che, nel mezzo dell’Ultima Cena, si china davanti agli apostoli col suo gesto di estrema umiltà, è bello ed è anche completamente leggibile.
Il chiostro della cattedrale di Aix-en-Provence, dedicata a Saint-Sauveur, cioè al Salvatore, è stato interamente realizzato nell’ultimo decennio del XII secolo; è più piccolo e più modesto di quello della vicina Arles, ma i capitelli istoriati, qui, sono ancora decisamente romanici nel tratto e nel vigore della rappresentazione. Tra quelli dedicati all’Antico Testamento incontriamo un Davide che finisce a fil di spada Golia dopo averlo stordito con la sua fionda, un Sansone impegnato a smascellare il leone, un profeta Balaam che, con la sua asina, trova sul proprio cammino l’angelo del Signore. Altri capitelli raccontano episodi del Nuovo Testamento, e tra questi spicca una bella e semplice crocifissione.



E però, la scena della lavanda dei piedi è probabilmente quella meglio conservata. Visitando il chiostro di Saint-Sauveur, allora, vale la pena di rileggere – e non solo per comprendere quell’indice all’insù dell’apostolo davanti al quale il Cristo è chinato – il racconto di Giovanni, l’unico tra gli evangelisti a narrare questo particolare momento dell’ultima serata di Cristo con i suoi:
Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!» (GV 13, 2-9)
“Anche le mani, e anche il capo”, dice Pietro, e con la mano sinistra indica il proprio testone, cocciuto e capace di grandi slanci, anche se non sempre in grado di capire al volo gli insegnamenti del Maestro. Il quale anche stavolta – “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi…” – deve correggere l’apostolo a cui pure affiderà le chiavi della Chiesa e del Cielo.
Noi siamo abituati a leggere il gesto di Gesù che lava i piedi ai discepoli come un segno di semplice umiltà, scevro di reale pregnanza dogmatica. E’ invece probabile che teologi ed artisti del tempo romanico, certamente più colti di noi riguardo alle Scritture, avessero presente l’altissimo valore teologico dell’episodio. Sapevano bene che il gesto di Gesù è narrato nel solo Vangelo di Giovanni; e sapevano bene, inoltre, i teologi e gli artisti del tempo romanico, come questo stesso Vangelo, che pure dedica alle vicende del Giovedì Santo, e di questa cena così importante, cinque interi capitoli, non faccia invece alcun accenno all’istituzione dell’Eucaristia: Giovanni, quindi, non solo è l’unico evangelista a raccontare della lavanda dei piedi, ma è anche l’unico a non dare conto di quando il Signore Gesù, durante la stessa cena – ricordiamo tutti le frasi della consacrazione: “prese il pane, lo spezzò… questo è il mio corpo… questo è il mio sangue… Fate questo in memoria di me…” – insegnò ai cristiani il più profondo e fondante dei riti, e cioè la messa.

In Giovanni, così, la lavanda dei piedi, questo inchino alla dignità dell’altro, questa inversione delle gerarchie del mondo, questa rivoluzione che mette il più grande a pulire la polvere dei passi dei più piccoli, diventa pietra portante della comunità che si va creando a partire dall’insegnamento del Cristo. Lo stesso Gesù, tornato a tavola con i Dodici, ha voluto spiegare con parole intense il proprio comportamento, sottolineando il valore esemplare del suo inchinarsi ai piedi dei discepoli:
Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi (GV 13, 12-15)
C’era, Giovanni, quella sera, alla cena di Pasqua. C’era, nella sala in cui tutto accadde – il gesto della lavanda dei piedi, l’annuncio del tradimento di Giuda, il pane spezzato e il calice condiviso… -, e anzi era seduto alla destra del Cristo. E’ dunque testimone autorevole di ciò che avvenne, almeno quanto gli altri tre evangelisti – il solo Matteo è, come Giovanni, uno dei Dodici -. E poiché Giovanni era là, nessuno può mettere in dubbio che il Cristo, nel suo giorno più importante, mentre si preparava al sacrificio di sé, ha lavato i piedi dei suoi discepoli, proprio come ci ricorda il soave capitello di Saint-Sauveur. E nessuno può mettere in dubbio che il servizio al fratello sia, per chi vuol essere come il Cristo, un impegno non secondario, e anzi parallelo e complementare a quello della celebrazione del sacrificio eucaristico.
Dietro al Signore, nel capitello di Aix, un apostolo ha già compreso ogni cosa, o comunque si è lasciato contagiare dal nuovo che Gesù incarna: si china e aiuta, e porge al Cristo il panno con cui il Maestro asciugherà, dopo averli lavati, i piedi di Pietro.
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Aldo Valentini (da Fb):
Questo articolo, assolutamente da leggere, evidenzia quanto questo capitello, già pregevole dal punto artistico, sia una lectio di dottrina cristiana come lo erano spesso i rilievi romanici, sottolineando un tema giovanneo che caratterizza e distingue la bellezza della proposta cristiana. Riletto tre volte. Grazie Giulio Giuliani.
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Troppo buono, Aldo. Effettivamente, certi capitelli parlano da soli: basta aver voglia di guardarli e ascoltarli, e basta avere un minimo di conoscenza dei testi che stanno – al di là della nostra adesione o meno alla fede cristiana – alla base della secolare cultura europea.
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Piccolo ma splendidamente conservato il chiostro di Saint-Sauver a Aix-en-Provence coi suoi pregevoli capitelli, tra cui quello che descrivi, forse, il più bello. Non ne ricordo molti di raffiguranti la lavanda dei piedi, anzi, un architrave della chiesa di Saint-Pierre a Clermont-Ferrand.
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Buongiorno, grazie per questo bel blog che ho iniziato a seguire da poco. Riguardo ai capitelli in Arles, molti del chiostro di S.Trophime mi paiono francamente romanici. Li ha visti? Io ho trovato bellissima la discesa dello Spirito Santo…
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Certo che li abbiamo visti, i capitelli di Arles… Bellissimi sì, e il chiostro un complesso di altissimo valore artistico. Però mi permetto di insistere: i capitelli di Arles – e aggiungo quelli di Tudela, e anche quelli di San Cugat del Vallés -… sono meno romanici di questi di Aix-en-Provence. C’è qui, nelle scene ancora leggibili, una vitalità che ad Arles è edulcorata in una ricerca estetica già molto moderna.
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