Inconfondibili per i colori cangianti che li ricoprono tutti, i capitelli di Issoire parlano e parlano e parlano. Sono un po’ come certe maestre dalla voce squillante che ripetono da molti anni la loro lezione, consacrate, si direbbe, all’insegnamento elementare; come queste, anche i capitelli di Saint-Austremoine ripetono da secoli, a chi si avvicina al coro, l’ABC della fede.
Non li paragoneremo, quindi, ai capitelli di Mozac, di Saint-Nectaire e di Clermont-Ferrand – che a confronto sono un corso accademico, un’università teologica -. E pure conviene mettere da parte ogni snobismo, e ascoltare con attenzione anche questi insegnamenti, questi rudimenti essenziali sulla religione, che in realtà non possediamo affatto. E pure conviene re-imparare dai capitelli di Issoire, didascalici e ancora più semplici da leggere per via della colorazione aggiunta a fine Ottocento: sono, per noi scolari cocciuti e ripententi, il punto di ripartenza ideale. Per ripassare l’Ultima Cena, ad esempio.
Perché ad Issoire il dramma e l’insegnamento dell’Ultima Cena stanno là, trasformati in una scena scolpita ma tutt’altro che statica; e anche solo il centro della rappresentazione, con il Cristo e le prime tre figure intorno a lui, dice tutto il racconto.

Un dettaglio del capitello in una bellissima foto di Frédéric Cuvier
C’è un Uomo che dopo un lungo cammino sente avvicinarsi la croce e la morte; i suoi occhi mostrano l’angoscia per ciò che avverrà, ma allo stesso tempo ricordano a chi guarda l’amarezza infinita del Maestro, il quale sa e annuncia che sta per essere tradito da uno dei Suoi: «Dette queste cose – racconta il Vangelo di Giovanni – Gesù si commosse profondamente e dichiarò: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”».
Tutto il gruppo dei Dodici è preso da un fremito. E due discepoli, uno a destra ed uno a sinistra di Gesù, interecciano allora un dialogo tenero e umanissimo, che è bello rileggere e meditare. Sono i due “preferiti”: Simon Pietro, in cui già il Signore aveva individuato il suo futuro vicario, e Giovanni, l’apostolo giovane, “quello che Gesù amava”, e che racconterà l’episodio nel tredicesimo capitolo del suo Vangelo:
I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: “Di’, chi è colui a cui si riferisce?”. Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?”.
Scena davvero piena di sentimenti intrecciati. Simon Pietro, la “pietra” su cui si costruirà la Chiesa, neanche ha il coraggio di domandare. Nella sua debolezza, che ben altre volte si paleserà, non si espone in prima persona, ma cerca una via per sapere comunque; il capitello di Issoire – come molte altre rappresentazioni romaniche dell’Ultima Cena – mostra a tutti come, silenziosamente, pur se seduto al fianco del Cristo e pur poggiando la sua mano sul Suo braccio, abbia preferito dare il là alla domanda di qualcun altro. Giovanni invece, come fa in ogni rappresentazione romanica dell’Ultima Cena – si espone subito, e anzi si gioca tutto, anche fisicamente, nell’abbandono al Maestro: posa il capo sul Suo petto e chiede, perso in Lui; e resta chino così, aspettando di ascoltare il segreto amaro dal cuore a cui, a sua volta, vuol bene.
L’altro gesto che il capitello ci mostra è il tradizionale avvicinarsi della mano di Gesù verso Giuda, che il Maestro smaschera in questo modo: «Rispose allora Gesù: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò”. E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota». Anche questo ultimo passaggio è scolpito ad Issoire con una semplicità disarmante: altrove Giuda è rappresentato di fronte al Cristo, solo al di là della tavola; e a sua volta avvicina la propria mano al cibo, o a alla mano del Cristo, come qui ad Issoire; altre volte ancora il Maestro, come dice il Vangelo, consegna il boccone all’apostolo che lo tradirà, o addirittura lo imbocca. Qui la mano aperta di Gesù oltrepassa la figura di Pietro, e contemporaneamente indica e accoglie: indica il discepolo che lo venderà alla croce, e ne accoglie questo inatteso ma inevitabile tradimento, accennato dalla mano di Giuda che si protende subdola.
E anche il turbamento dell’apostolo infedele, insieme smascherato e perdonato, si accentua: sul suo viso la fronte corrucciata è resa più evidente grazie ai colori che, ad Issoire, tutto ravvivano, e ancor più dalla vocazione profonda di questi capitelli: essi non hanno altro obiettivo, infatti, che ricordarci l’alfabeto della fede, detto e ridetto perché infine tutti lo comprendano e lo imparino a memoria.

Il coro della basilica di Issoire
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“Quattro capitelli solamente, sulle colonne del coro, sono istoriati. Gli altri sono a decorazione vegetale”: comincia così Bernerd Craplet, nel volume di Zodiaque dedicato all’Alvernia romanica, la sua descrizione dei capitelli di Saint-Austremoine. E sottolinea subito il carattere decisamente didascalico di questo ciclo che, dice, s’ispira molto semplicemente al ciclo liturgico della Pasqua: all’Ultima Cena si aggiungono un successivo capitello con scene della Passione, poi quello con le Pie Donne al Sepolcro, e infine il quarto, con le apparizioni di Cristo risorto. “Violentemente” trattati con colori forti verso la metà dell’Ottocento, secondo lo studioso i capitelli di Issoire, inoltre, non ci sono giunti “intatti”: prima della dipintura subirono diversi interventi di “riparazione” e integrazione, con colle, mastice e altri materiali.
Craplet non è tenero nemmeno quanto alla complessiva ridipintura dell’interno della chiesa, che definisce un “endéfendable bariolage qui fait sursauter tout visiteur non prévenu”. E aggiunge, all’incirca, che sì, gli studiosi e gli appassionati, alla fine si sono abituati all’idea che tutte le chiese romaniche, anche in origine, erano dipinte… “Oui – conclude sconsolato -. Mais pas comme ça!”.
All’esterno, invece, la chiesa di Issoire è notevole: se è debolissima la facciata, è invece interessantissima la parte absidale, in cui alla tipica strutturazione alverniate, che raggiunge qui una della massime interpretazioni, si aggiunge la decorazione vivacissima, impreziosita da bellissime formelle con i segni dello zodiaco.
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Non c’è, il pezzo notevolissimo della Cana di Issoire, nel volumetto sui capitelli medievali che Before Chartres propone, finalmente “in carta”, ai suoi lettori più fedeli. E però ce ne sono altri dodici – anzi, per la verità ce ne sono altri quattordici – che hanno la pretesa di essere altrettanto belli. Vedere per credere. Qui: “DODICI splendidi CAPITELLI ROMANICI”
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Le storie della Bibbia – da Adamo ed Eva ai profeti, dalle gesta di Sansone al sacrificio di Isacco – hanno ispirato e guidato gli artisti romanici. Before Chartres ne ha descritte molte nei suoi articoli, e oggi ha raccolto le più affascinanti in un volumetto pieno di fede, di sapienza e di stupore, che trovi qui: STORIE della Bibbia NELL’ARTE ROMANICA.
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L’ho visitata. L’impatto è un pugno nell’occhio. Per fortuna ho potuto fotografare e poi desaturare i colori a un livello umano…
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Eppure a me non è dispiaciuta… Nessuna delle chiese d’Alvernia – Orcival grigia, Saint-Nectaire color panna, Clermont più scura… – nessuna mi ha deluso quanto a resa complessiva. Temevo fossero tutte troppo restaurate e invece… Ho trovato equilibrio.
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Issoire, Sant-Austremoine. Di primo acchito turbano quest’ capitelli dipinti (e ridipinti). Poi ti ci abitui, che sono frequenti in Alvernia, e arrivi ad apprezzarli per il modellato, anche se ricordano molto dei fumetti. Quando arrivi ad accettare questo “sfregio” per la tua visione del romanico, riesci ad apprezzare la narrazione, la voglia di colpire la gente che ti “legge”, come una Bibbia o un Vangelo per analfabeti, come appunto doveva essere nelle intenzioni degli autori del Medioevo. Ed alla fine ti lasci ammaliare, consapevole che, pur essendo ridipinti di recente, rimandano ai colori originali dell’epoca di mezzo.
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