L’alito del romanico a Mozac, l’impura

Più che altrove, nella strana navata dell’abbazia di Mozac il tempo romanico ti fa sentire il suo respiro, e cogli il suo alito denso. Certo, si possono percorrere le strade che, in ogni regione del Romanico, promettono di accompagnare alle chiese più pure, ai modelli, ai prototipi: si può andare a Fromista, a Vézelay, a Saint-Nectaire, e una volta arrivati, si può godere del grado di perfezione raggiunto da queste chiese, capolavori di un sistema, di una scuola, di una cultura. Ma l’arte romanica non ha avuto come obiettivo il rispetto di un canone. E lo spirito romanico – che vive ancora nell’animo degli appassionati – piuttosto cerca la profondità del sentire, e abita a volte più volentieri certe aule spurie, balbettanti, anche sporcate da sensibilità e spiritualità e interventi successivi: in queste chiese, il disagio del purista diventa, per lo spirito veramente romanico, abbandono e resa.

A Mozac soprattutto questo accade. A Mozac l’abbazia quasi dispiace, figlia deforme nella famiglia delle elegantissime chiese d’Alvernia; ma dentro l’aria è densissima, e il fastidio si fa inquietudine, e questa diventa ricerca e preghiera, cioè l’alito del romanico.

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Il presbiterio, e il capitello “dei Venti”

Mozac è uno spazio sconvolto. L’impianto dell’abbazia è (era) quello tipico della grande basilica alverniate; ma la volta, a crociera, non prova nemmeno a negare di essere ben più tarda, e un vasto coro ligneo e scuro fa a pugni con i pilastri; la luce è filtrata da vetrate, incerte oltre che gotiche, in un’abside forata da oculi tondi e rivestita di tappezzerie che sembrano veneziane; il pulpito a metà navata, e l’organo, e gli arredi scherniscono il nascere romanico della chiesa, dimenticato ormai da secoli. Sulla controfacciata, un orologio scuro e massiccio, che diresti preso da una stazione ferroviaria dell’Inghilterra di Churchill, segna l’inesorabile passaggio del tempo su quest’aula, che proprio dal tempo è stata a dir poco stravolta.

Mozac conserva – si viene fin qui per questo – i capitelli più belli di tutto il tempo romanico. Ma se la meravigliosa rappresentazione della Storia di Giona sta, almeno quella, là dove fu collocata in origine, cioè in cima ai pilastri della navata, tre altri capitelli, anche questi dal valore eccezionale, si trovano invece collocati in posizione innaturale, e contribuiscono per questo all’inquieto respiro dell’abbazia. Uno, quello in cui sono scolpiti gli Angeli che trattengono i Venti, è posto a terra al centro del presbiterio, subito sopra i tra gradini che lo separano dal piano della navata; altri due sono appoggiati all’inizio della navata, all’altezza dello sguardo dei visitatori, su strani tronconi di colonna; così che a tutti piace girare intorno al più prezioso, con le Pie Donne al Sepolcro, e scattare foto in cui i volti ineffabili, i più belli del tempo, si stagliano sullo sfondo della navata di Mozac, aumentando nella chiesa, e in chi osserva, il sentimento di affannato e di incoerenza.

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Il capitello con le guardie dormenti al Sepolcro, e la navata

Ma proprio così Mozac è il romanico. Nei contrasti che la invadono, l’abbazia interpreta magistralmente e rende concrete le contraddizioni del tempo in cui fu fondata. Non millanta un’unità di stile che non fu mai l’obiettivo primo del romanico, e non dà da intendere alcuna ricerca di precisione e coerenza. Al contrario, Mozac spalanca se stessa come una pagina chiara, in cui c’è e ci dev’essere tutto: c’è l’epopea di Giona scolpita nel marmo, ma anche le panche di legno su cui han pregato, in secoli diversi, fedeli del tutto ignari del Profeta e della sua balena; al calcare della prima edificazione risponde la pietra vulcanica dei rifacimenti successivi; e agli sguardi di Maria e delle altre donne, persi nel mattino eterno della Pasqua, si sovrappone il ticchettìo del tempo che – angoscia e speranza dell’uomo romanico – scorre appeso alla parete, monito non da poco, per chi entra in Mozac con il solo intento di portarne via un’istantanea perfettamente a fuoco.

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Le Pie Donne di Mozat

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Una veduta dell’abbazia

Mozac (o Mozat) è oggi un quartiere della cittadina di Riom, a mezz’ora di strada da Clermont-Ferrand, capitale dell’Alvernia. Qui il primo insediamento monastico, da cui deriva l’attuale abbazia, risale al VI o al VII secolo. Costruita nel XII secolo, cioè nell’epoca d’oro che vide sorgere in Alvernia le grandi chiese dalle absidi a fiore, l’attuale abbazia di Mozac, dedicata a san Pietro e a san Caprais, è stata più volte danneggiata da eventi naturali; i terremoti della fine del XV secolo portarono a consistenti interventi sulle strutture danneggiate: la volta della navata centrale venne così ricostruita in forme gotiche, e allo stesso modo subirono importanti rifacimenti il transetto e il coro, e in parte anche la navata laterale destra.

Before Chartres ha già trattato della ricca decorazione scultorea di Mozac: i capitelli (quelli ancora collocati sui pilastri, a cui vanno aggiunti quelli collocati a terra nella chiesa e quelli ospitati dal locale museo lapidario) sono opera di artisti diversi; se ne distinguono alcuni, tra cui quelli citati più sopra, che dal punto di vista artistico sono il fiore all’occhiello dell’abbazia e sono veri capolavori della statuaria romanica.

7 pensieri su “L’alito del romanico a Mozac, l’impura

  1. Paolo Salvi ha detto:

    Mozac è il tipico caso di chiese che hanno dovuto subire dei rimaneggiamenti e conservano solo parti originarie romaniche.
    Qui la navata maggiore ed il coro sono di epoca gotica.
    In effetti si prova quasi una sensazione di disordine che, dopo aver visto i gioielli d’Alvernia (Saint-Nectaire, Saint-Austremoine a Issoire, Saint-Julien a Brioude, Notre-Dame ad Orcival) non può certo appagare.
    Ma non siamo a Mozac per vedere l’insieme che già sappiamo alterato dal tempo; ci siamo per vedere degli splendidi capitelli scolpiti, che collocati in posizione anomala, sottolineano il disordine dell’insieme.
    Eppure possiamo pensare che l’abbazia di Mozac sia un museo lapidario, contenuto in un’abbazia gotica.
    Allora ci rassereniamo e godiamo della bellezza della pietra magistralmente scolpita.

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  2. Patrizia Ravetta ha detto:

    Si, la parola corretta è “disordine”….ma è così bella e insolita per cui, dopo il primo attimo di disorientamento, si finisce col godere appieno di quella bellezza così “sparsa “!
    Grazie per l’accattivante descrizione.

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  3. CBS ha detto:

    Ciao abbiamo pensato di mettere le pie donnne e il tuo testo nel nostro blog di catechesi biblico simbolica, se lo permetti. hai dato un’occhiata al sito in francese, che ne dici?
    grazie d Sandro

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