Vene e muscoli nella parete romanica

La metamorfosi della chiesa medievale, che nasce basilica antica e muore cattedrale gotica, è scritta anche sui suoi muri interni. Anche guardando semplicemente la parete della navata – in termine tecnico “l’alzato” – e vedendo come questa parete si trasforma, si può tratteggiare di nuovo la storia dell’evoluzione della chiesa romanica. La parete, l’alzato interno, insomma, è come un terzo testimone attendibile: racconta e conferma, a modo suo, quella stessa storia che già hanno raccontato le “coperture”, e quella stessa storia che raccontano i “sostegni”. La parete, infatti, muta a causa delle stesse sollecitazioni, e cambia seguendo gli stessi sviluppi, durante il viaggio, che coperture, sostegni e pareti compiono insieme, dalla forma delle basiliche paleocristiane a quella, ben differente, delle cattedrali gotiche.

All’inizio, nei primi secoli del cristianesimo la parete della chiesa è un muro liscio, come quello della navata di Santa Sabina a Roma, o come quello di San Francesco a Ravenna. L’alzato interno della basilica paleocristiana è semplicissimo: in basso le colonne, e sopra le colonne un muro diritto e liscio e ininterrotto, in cui si aprono, in alto, ampie finestre; in cima, dove finisce il muro, si appoggiano le capriate del tetto. Insomma: al di sopra delle brevi linee verticali allineate – le colonne – e degli archi tra di esse, si estende uno spazio piano, lindo, fermo, interrotto solo dall’apertura delle finestre.

Mi ha sempre sorpreso constatare che in alcune chiese paleocristiane non c’è nemmeno corrispondenza tra le aperture in basso e quelle in alto, cioè tra il ritmo del colonnato e quello delle finestre. E possiamo quindi dire che la prima metamorfosi dell’alzato della chiesa, quando si fa romanica, è questa: ordinando le finestre in modo regolare sopra le aperture tra le colonne, la chiesa romanica comincia a dare una scansione, un ordine, una regolarità alla propria parete; comincia quindi a tirare righe verticali, anche se ancora ideali, disegnate dall’allineamento degli elementi della navata stessa.

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La navata di Payerne

Poi, quando finalmente sopra basilica si colloca una volta in pietra, proprio il peso della volta traccia nuove linee verticali nella parete. Alle colonne, infatti, si sostituiscono i pilastri, e poi i pilastri “compositi”, cioè pilastri a cui su addossano paraste o semicolonne. Ebbene le paraste e le semicolonne addossate ai pilastri spesso proseguono in alto ben oltre il capitello, e salgono lungo la parete, fin su, dove comincia la volta, per poi proseguire trasformandosi in “costoloni” che vanno a reggere la volta stessa. Succede a Payerne, in Svizzera, per fare un solo esempio. Così la parete liscia e continua che caratterizzava la navata della basilica paleocristiana ora è interrotta da una serie di linee verticali – linee di forza ma anche linee grafiche -. Vista nel suo “alzato”, a Payerne la parete della chiesa romanica è già diventata una successione di rettangoli verticali affiancati; un esempio italiano è costituito dalle pareti interne del grande Duomo di Trento, anche se si tratta, in questo caso, di una realizzazione tarda.

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La navata a Conques

Contemporaneamente, sulla parete si disegnano anche una serie di linee orizzontali che prima non c’erano, e la parete via via si struttura anche in fasce sovrapposte. Decisiva, in questo senso è l’introduzione dei matronei sopra le navate laterali: senza addentrarci nella verifica della loro funzione, qui interessa notare che i matronei cambiano l’aspetto della parete della navata su cui si affacciano, sulla quale disegnano appunto una fascia nuova, orizzontale, che la percorre tutta. All’inizio questa fascia costituita dalle aperture dei matronei verso la facciata, questa striscia orizzontale continua, può essere alternativa alla fascia delle “antiche” finestre alte, le quali spesso spariscono nelle chiese con volta a botte che adottano il matroneo: a Conques, ad esempio, ma anche a Tolosa e a Santiago de Compostela. Ma là dove la copertura della navata è in legno – come a sant’Antimo, ad esempio – si riesce a far coesistere il matroneo con le finestre alte; e lo stesso risultato si otterrà ancor più regolarmente quando l’introduzione della copertura “a crociera” libererà nuovo spazio in alto per le finestre, come accade nel Duomo di Parma. E allora la parete romanica, la parete del romanico compiuto, finisce per essere decisamente costituita da tre fasce sovrapposte: quella bassa dei pilastri che reggono gli archi, quella mediana delle aperture dei matronei, quella alta delle finestre aperte sull’esterno. Come accade a Nevers e a Parma, per fare due esempi di grandi chiese romaniche, la prima coperta con volta a botte e la seconda coperta con volta a crociere.

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L’evoluzione sintetica dell'”alzato” romanico

In queste due chiese romaniche, Saint-Etienne di Nevers e il Duomo di Parma – ma lo stesso discorso vale per la splendida Jumièges, e per le chiese sorelle di Normandia – la parete della navata è già diventata una griglia di fasce verticali e orizzontali che si incrociano tra loro; e le diverse fasce sono spesso marcate da semicolonne che salgono, e da “cornicioni” che corrono in orizzontale ad evidenziare i diversi livelli, detti appunto “marcapiani”. Dietro la parete della chiesa paleocristiana, che era come la pelle candida e vellutata di una ninfa, si gonfiano nel tempo romanico le vene e le arterie e i muscoli di Ercole. Quel foglio bianco e intonso che vedevamo a Ravenna e a Roma è completamente trasformato; e a Nevers, come a Parma e a Jumiéges, è diventato ormai un sistema complesso di rettangoli in dialogo, quasi una tela dell’Alberti.

Il tempo gotico eredita questo sistema organico, già realizzato compiutamente da tante chiese romaniche, tra le quali non stupisce che le bianche basiliche di Normandia abbiano fatto da battistrada. Per “inventare un proprio “alzato”, che quindi è innovativo più nello spirito che nella forma, non dovrà far altro che “far la punta” agli archi, per farli diventare acuti.

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L’alzato della chiesa di Saint-Etienne a Nevers

5 pensieri su “Vene e muscoli nella parete romanica

  1. Giulio Giuliani ha detto:

    Barbara Casciu (da Fb):
    Caro Beforechartres, mi offri l’occasione di esprimermi sulla complessità di modulazione della luce che la parete del romanico maturo (peraltro da te già accennata). Hai fatto notare la semplicità delle aperture nell’invaso della navata paleocristiana. Verissimo:qui la luce piove prevalentemente dall’alto, si DIFFONDE in maniera pressoché omogenea, conferendo all’ambiente una sensazione di calma e allo stesso tempo una atmosfera di spiritualità escatologica. Con l’evolversi della parete romanica, non solo si obbedisce al rigore strutturale che modula sostegni verticali e linee orizzontali, ma si gioca in profondità. Quindi vedremo le arcate inferiori in penombra, che mettono in risalto gli aggetti delle nervature; la situazione si complica con il piano-matroneo, ove le aperture si moltiplicano, ma l’oscurità viene sempre smorzata da aperture esterne; si giunge poi in alto, al piano in cui la luce piove direttamente ad illuminare la navata, ma anche, nel caso di costruzioni coperte a volta, si espande in alto, contribuendo a creare un ritmo, una fruizione dinamica dello spazio. Nel caso di volte a crociera poi, o, forse ancora meglio, nel caso di volte a cupole, il gioco di luce e ombra è morbido e pulsante, la percezione cambia a ogni passo del singolo individuo, ogni punto di vista diventa unico e singolare

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  2. Giulio Giuliani ha detto:

    Francesco Perilli (da Fb):
    Il Romanico non è uno “stile”, un periodo storico, artistico… il Romanico è una luce nel buio, una dimensione interiore, una idea che meraviglia, una musica che ti avvolge l’anima, ti entra nelle gambe e nei piedi, come un saltarello!

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