Il cielo in una stanza, a Saint-Chef

Ed entriamo, finalmente, in quello che forse è il più esclusivo tra i meravigliosi luoghi dell’arte romanica: la cappellina affrescata di Saint-Chef, infatti, non solo è bellissima, ma è anche quasi sempre chiusa al pubblico, e per visitarla è necessario adattarsi a tempi ristretti e regole ferree. Siamo nel Delfinato, poco lontano da Lione; e poiché qui in Francia può capitare di trovare aperte, e non custodite, chiese di grandissimo valore, un poco sorprende che alla sala di Saint-Chef e ai suoi affreschi si acceda solo su prenotazione, e solo accompagnati da una guida, e solo la domenica pomeriggio, e solo nei mesi tra luglio e ottobre…

La cappella di Saint-Chef e, sotto, la facciata dell’abbaziale

La cappella “della corte celeste” si trova ai piani alti di una grande chiesa. Saint-Chef, che oggi è un villaggio sereno e ordinato, era nel medioevo un vasto e potente insediamento monastico: fondato addirittura nel VI secolo, il monastero crebbe e acquistò autorevolezza e fama nei secoli tra il IX e il XII; ne resta ben poco, oltre alla possente abbaziale, che è particolare e non priva di un suo fascino, con la facciata a capanna, e con l’interno segnato da alti pilastri poligonali e coperto da un soffitto in legno a carena di nave. Ma chi ha la fortuna di salire attraverso la stretta scala a chiocciola, e di vedersi aprire la piccola porta – di domenica pomeriggio, mi raccomando, e tra luglio e ottobre, e previa prenotazione! – entra in uno spazio particolarissimo e quasi furi dal tempo.

Il visitatore si trova davanti una sala rettangolare dalle proporzioni ridotte, terminata da un’absidiola coerente per dimensioni, con un piccolo altare. Tutte affrescate, con dipinti di grande qualità e per certi aspetti sorprendenti, sono le pareti, così come il giro e il catino dell’abside, e la volta che copre la sala.

L’abside che conclude la sala

Notevoli sono già gli affreschi della minuscola abside: nella fascia mediana, sopra a quella occupata da una finta tappezzeria, stanno in parata i tre arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, in piedi insieme al copatrono san Giorgio; più in alto, nel catino absidale, un Cristo in gloria dal volto ormai perduto siede in una mandorla quasi circolare, attorno a cui ruotano i simboli dei Viventi; due angeli, ancora, volano nell’arco trionfale.

La volta rettangolare, veduta complessiva

Ma occorre alzare lo sguardo alla volta: è qui che si dispiega l’originalissima visione paradisiaca di cui Saint-Chef va fiera. Chi guarda in alto dal centro della cappellina, infatti, vede come se questa fosse stata costruita a cielo aperto; e sopra di sé, nel vago azzurro, ammira un nuovo Cristo in gloria; su ogni lato del rettangolo di cielo in cui Egli galleggia – e la rappresentazione risulta davvero inusuale – è schierata la corte celeste degli angeli che, con le ali ritte e spiegate quasi fossero bandiere, pregano in piedi come soldati riuniti ad accogliere il Salvatore che viene. Al centro dei due lati corti, in mezzo agli angeli adoranti, da una parte è la Vergine Maria, anch’essa in preghiera; dall’altra invece il frescante ha inteso proporre a suo modo, in forma di torre o castello, la Gerusalemme celeste: la città santa è abitata dagli angeli, e verso le sue mura si dirigono alcune anime beate, mentre gli angeli mostrano ciò che accade ad un personaggio aureolato, che molto probabilmente, secondo il racconto che egli stesso fa nell’Apocalisse, è l’evangelista Giovanni.

La Gerusalemme celeste, gli angeli e Giovanni

Questa rappresentazione della celeste visione, un trompe-l’oeil che precorre i tempi, non ha paragoni nel tempo romanico. Se non sembrasse troppo ardito, piuttosto, si potrebbero avvicinare a questa volta aperta verso il cielo i vasti soffitti dipinti di certe chiese rinascimentali e barocche, là dove si raffigura l’assunzione della Vergine o altre scene che prevedono comunque di trasformare il soffitto in un cielo accogliente. Anche a Saint-Chef, come in questi capolavori del Rinascimento, il dipinto si sforza di smaterializzare la copertura, e di mascherarne l’effettiva curvatura, ed anzi di metterla al servizio dell’illusione di un cielo aperto sopra chi guarda.

Poco sappiamo, peraltro, del frescante che concepì e realizzò questa scena, e con essa gli altri affreschi della cappella alta: alcuni tra gli studiosi hanno pensato di poter rilevare nei suoi dipinti a Saint-Chef degli influssi bizantini, altri sottolineano ascendenze ottoniane, altri ancora, infine, evidenziano parallelismi con l’arte ispirata da Montecassino e dall’abate Desiderio, e quindi con gli affreschi di Sant’Angelo in Formis. Incerta è allora anche la datazione delle pitture: risalgono, secondo alcuni studiosi, a differenti periodi dell’XI secolo, e per questa datazione “alta” propende, se ha importanza, anche Before Chartres, che trova il tratto del disegno, pur se pieno di fascino, ancora ingenuo e quasi elementare; altri critici spostano la realizzazione delle pitture più avanti, anche fino all’ultimo quarto del XII.

Visitatori e una guida nella cappellina

Saint-Chef custodisce gelosamente il suo piccolo visionario tesoro: le autorità locali limitano fortemente la possibilità di visita alla cappellina – tanto che Before Chartres si è sentito autorizzato a scherzarci un po’ su – ma lo fanno a ragion veduta, perché il contingentamento degli accessi è necessario per la conservazione degli affreschi, particolarmente delicati. Allo stesso tempo pubblicizzano la propria piccola grande ricchezza – le foto che corredano questo articolo sono prese dal sito www.balconsdudauphine-tourisme.com – e anche quest’opera di promozione è cosa buona e meritevole, perché davvero non c’è, nel tempo romanico, uno scrigno di colori e di immaginazione paragonabile alla sala affrescata su, nell’abbaziale. E chissà che in futuro non si trovino altri equilibri, e non si possa offrire a chi viene a Saint-Chef da lontano, fatto salvo il dovere della più corretta conservazione, qualche possibilità in più per accedere alla sala e per gustarne il racconto.

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2 pensieri su “Il cielo in una stanza, a Saint-Chef

  1. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Una cappellina affrescata certamente pregevole, ma non certo l’unica che possa vantare tanta bellezza. In Francia c’è, ad esempio, la cappella di Saint-Michel sul nartece della basilica di Saint-Julien a Brioude, che mostra affreschi dai colori vividi e meglio conservati.
    Rammarica piuttosto che sia aperta al pubblico in tempi così ridotti, nel periodo estivo e solo nei weekend.

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    1. Però, Paolo, per quel che vale il mio parere, la cappellina affrescata di Brioude non può vantare l’originalità iconografica e la forza evocativa che si trova invece a Saint-Chef. Gli affreschi di Brioude – ci sarà un motivo se Before Chartres, che ama tantissimo quella chiesa d’Alvernia, non ha ancora scritto di quelle pitture! – sono sicuramente più vividi, ma anche più tardi, forse duecenteschi, ed io li trovo – parere mio! – più banali e scontati.

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