Chi visita la Puglia percorrendola tutta, in cerca delle più belle realizzazioni dell’arte romanica, porta poi con sé almeno due particolari suggestioni di questa terra. All’estremo sud – lo raccontiamo in un altro articolo – scopre che dalla costa, giù verso Otranto, si vedono chiaramente, al di là dell’Adriatico che si è fatto più stretto, le terre d’Oltremare; e comprende molto del rapporto tra la Puglia e l’Oriente. A nord, invece, nell’area del Gargano, a colpire il visitatore è il modo in cui l’altopiano, su cui si distingue appena la città antica di Monte Sant’Angelo, domina e accompagna la pianura, sempre visibile, quasi come il muro perimetrale bruno e lungo di una terra conclusa.
Si comprende allora perché questo altopiano – che pur non essendo particolarmente elevato, comunque segna la fine della vasta pianura del Tavoliere – sia stato visto nei secoli antichi come un luogo “altro”, per certi aspetti sacro e magico. E si comprende come la cittadina di Monte Sant’Angelo, con la grotta in cui apparve l’Arcangelo, abbia potuto diventare nel Medioevo alto uno snodo cruciale della religiosità dell’intera Puglia; conquiste, crociate e intrecci di signorie e di civiltà hanno fatto poi di Monte Sant’Angelo, nel tempo romanico, uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio.
La diffusione e la persistenza nei secoli del mito della grotta sul Gargano restano comunque sorprendenti: le apparizioni dell’arcangelo Michele datano, secondo la tradizione, agli ultimi anni del V secolo; furono poi i Longobardi a trasformare la grotta nel loro santuario più nobile; alla cura e alla continua riedificazione di questo luogo di culto si dedicarono tutti i successivi signori del territorio, fino agli Angioini. Ciò che si vede oggi, fuori dalla grotta – portico, campanile, ingresso – risale al tempo gotico; nello stesso periodo è stata costruita la prima parte della grotta stessa, cioè la navata trasversa aggiunta alla grotta originaria, da cui si accede al ventre pietroso del santuario.
Che cos’è resta di “romanico”, allora, nel sito particolarissimo di Monte Sant’Angelo? Resta, anche se è passato un millennio, il profumo acre di una spiritualità che tutto crede e tutto spera; restano folle che arrivano da ogni angolo del mondo – molti oggi dall’America del Sud – e che, dopo aver fotografato, si inginocchiano e pregano. Resta una devozione pervasiva e multicolore, fatta anche dei pullman che riempiono il vasto parcheggio in fianco alla rocca, dei bazar, dei souvenir, delle mille statuette dell’Arcangelo, variopinto esercito di soldatini immortalati tutti nella stessa posa plastica. D’altra parte qui – più che alla Sacra di San Michele in Val di Susa, più che a Mont-Saint-Michel, più che a Le-Puy, con la stupefacente Saint-Michel-d’Aiguilhe – si viene per fede ingenua e curiosa: si arriva fin qui per vedere una spelonca miracolosa, non certo attratti, come accade negli altri siti in cui l’Arcangelo è il padrone, da una splendida chiesa in cima ad un picco.
Cos’altro resta di “romanico”, qui sul Gargano, al di là dell’afflato devozionale? Non molto, in realtà. Restano le porte bronzee che introducono alla vasta grotta, realizzate a Bisanzio nel 1076 per volere di Pantaleone amalfitano, le cui formelle sono scolpite – per la verità quasi solo incise – con tratti di una semplicità primitiva. Resta, nel museo del santuario, il pulpito, ricomposto solo in parte e attribuito all’arcidiacono Acceptus, che richiama quello di Canosa, dello stesso autore, e che propone una versione antica del lettorino “a trimorfo”.
Resta infine, quasi nascosta sul lato dell’area presbiteriale, la splendida cattedra, una delle più belle della Puglia e di tutto il romanico. È un trono massiccio, poggiante su due leoni accucciati, pregevole per l’intarsio dello schienale: fu realizzato, come altri in questa regione, come simbolo di potestà vescovile, nei decenni in cui Monte Sant’Angelo la contendeva ad altre sedi vicine. Bella, sul lato che si mostra ai fedeli, la rappresentazione a bassorilievo dell’Arcangelo che doma il drago. E sui salienti alti dello schienale, una iscrizione ribadisce la parità d’importanza tra la sede episcopale di “MONTE” e quella di “SIP”, la vicina incombente Siponto.
Vuole una tradizione che il trono sia stato costruito per il vescovo Leone, verso la metà dell’XI secolo. Precederebbe allora, quella altrettanto nobile del vescovo Ursone, a Canosa, più precisamente datata alla fine dell’XI secolo. Per Pina Belli D’Elia, invece, la cattedra di Monte Sant’Angelo potrebbe essere più tarda, di un secolo e più: come per l’altra meravigliosa cattedra episcopale pugliese, quella di Elia a Bari, la definizione di una cronologia puntuale è un problema decisamente non risolto.
A dispetto della sua età, comunque veneranda, questo possente seggio scolpito sta addossato alla parete della grotta, marmo incastrato nella roccia, simbolo di autorità e di potere diventato quasi una cosa sola con la materia grezza che circonda l’antro dell’Arcangelo. Sta qui, la cattedra del vescovo Leone, e qui sembra voler rimanere per sempre: nel teatro millenario che a Monte Sant’Angelo rimette in scena, ogni giorno e ad ogni ora, la stessa liturgia, i pellegrini e i visitatori sono comparse pagate a serata; ma il trono antico da molti secoli è il primo attore, ancora in grado, anche se vecchio e stanco, di presiedere e governare l’intero palcoscenico.
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Non lontano dal santuario, un altro complesso, a Monte Sant’Angelo, risulta di grande interesse per gli appassionati arte medievale. E’ lo slargo dominato da quel particolarissimo edificio religioso romanico noto come “Tomba di Rotari”, più correttamente rinominato dalla bibliografia recente San Giovanni “in tumba”. A pianta centrale, coperto da un’altissima cupola, considerato da alcuni un mausoleo, da altri un battistero, decorato da bei capitelli all’interno e da una particolare scultura sopra al portale, San Giovanni “in tumba” è sorto vicino all’antica basilica di San Pietro, di cui resta solo l’abside; dello stesso complesso fa parte la chiesa di Santa Maria Maggiore, con il bel portale tardoromanico.
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Gianni Piffari (da Fb):
Visitata più volte. Un luogo dello spirito.
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Sono quasi trascorsi vent’anni da quando andai sul Gargano e visitai Monte Sant’Angelo, scendendo nella grotta. E’ un luogo molto frequentato e la visita, d’estate, non fu molto agevole e difficile fare fotografie, forse anche vietate allora.
La cattedra, magnifica, in parte sembra come sparire tra le rocce, mentre nella consueta collocazione absidale viene messa in risalto.
Mi rammarico di non aver vistato il museo (sempre che allora fosse aperto) e non aver visto i resti del pregevole ambone che ci mostri.
Sarà da tornarci.
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Annamaria Cimino (da Fb):
Ricordo la prima volta che ci andai… fuori vento e tempo brutto… lì un’atmosfera mistica, un posto affascinante, un palinsesto devozionale come pochi…
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Andrea De Meo Arbore (da Fb):
Ho letto da qualche parte che il trono era nella sede vescovile di Siponto, e che fu portato dai Montanari nel sacro speco dopo una razzia a Siponto dovuta appunto alle contese sulla sede vescovile. Se così fosse è chiaro che sia l’iscrizione sia alcune parti quali forse i sostegni a terra e la formella con l’arcangelo potrebbero essere delle aggiunte in fase di rimontaggio.
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Magda Viero (da Fb):
È un luogo tuttora misterioso. La scalinata è di epoca angioina. Dicono che la caverna dedicata al dio Calcante, magico indovino, esisteva già in epoca greca-romana, lo cita Strabone.
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Clotilde Giurleo (da Fb):
Sono stata anni fa. La devozione bigotta e superstiziosa mi ha rovinato il piacere della visita.
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sia la Grotta che santa Maria Maggiore sono opera dei templari…, anche il trono in pietra è templare, come lo è il trono dell’abate Elia nela basilica di san Nicola a Bari…, ma si deve dire che la leggenda parla dei vescovi…, che squallore la storia pugliese raccontata da presunti storici vicini al mondo ecclesiastico…
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