Cripta di Montemaria: angeli in posa per una fotografia che non si può fare

L’abbazia di Montemaria, sopra Burgusio, guarda dall’alto le terre piane sottostanti: è qui che la Val Venosta, dopo essersi distesa verso ovest in tutta la sua lunghezza, si infila tra i monti, e attraversa la frontiera, e sconfina in Svizzera. Il bianco, compatto, imponente, complesso abbaziale è una macchia candida in mezzo ai boschi a mezza costa, quasi vedetta sull’abitato di Malles, che è fitto di campanili romanici: anche Montemaria narra di un tempo remoto che chiamiamo medioevo, e però di romanico non ha nulla più, se non (forse) la cripta in cui volano gli angeli.

Il monastero sulle pendici dei monti sopra Burgusio e Malles Venosta

Facile è visitare il fascinoso complesso abbaziale, con la chiesa, antica di fondazione ma trasformata all’interno in forme barocche, e con il bel museo che narra la storia del monastero e del territorio che l’ebbe come riferimento. Vedere la cripta è assai più difficile: l’elegante e puntuale sito web ricorda che si entra solo se accompagnati, solo in orari ristretti e solo previa prenotazione. Fotografarne gli affreschi, infine, è proibito: chi gestisce il complesso spiega che le pitture, in questa strana sala seminterrata, sono particolarmente delicate…

I visitatori che hanno conquistato il pass sono accompagnati da una guida cortese, che spiega come la cripta sia stata scoperta e restituita solo alcuni decenni fa, nel 1980, e infine, dopo aver fatto presente il divieto di scattare immagini, permette al gruppo di varcare la soglia.

La cripta, con l’abside

Ci si ritrova in una specie di corridoio, a metà del quale, a sinistra, si allarga un’abside bassa, preceduta da due altre absidi più piccole, non affrescate. I dipinti preziosi occupano le volte e le pareti della sola area centrale, che sfocia nell’abside: qui, nel catino, un Cristo in maestà, mal restaurato, siede nella sua mandorla, che è sorretta da cherubini, affiancato da Pietro e Paolo e dai simboli degli Evangelisti; di fronte, nella parete ovest, è raffigurata la Gerusalemme celeste. Dovunque intorno, poi, stanno in posa per noi gli angeli famosi.

Gli angeli nella campata antistante all’abside

Disegnati con tratti chiari e netti, ben conservati, distendono le loro forme sinuose, occupando ciascuno un proprio spazio sul cielo azzurro, spartito in vele da costoloni anch’essi dipinti. Realizzate nella seconda metà del XII secolo – la cripta sarebbe stata consacrata nel 1156 – queste figure, questi messaggeri divini, che molti dicono influenzati dall’arte bizantina, sembrano a me ancor più vicini a certe iconografie gotiche, o addirittura rinascimentali: le vesti sono leggiadre e colorate in modo vario, e le ali sembrano un accessorio dell’abito, aggiunto in pendant, quasi un velo o un mantello leggero; le capigliature sono curatissime e diverse, e i visi – almeno quelli realizzati dalla mano migliore – sono di una dolcezza femminea, colti di trequarti, con gli occhi a volte vuoti a volte espressivi; tra le mani ogni angelo tiene una verghetta sottile, portata all’altezza del volto, non diversamente da come fanno le dame con lo specchio, o con il ventaglio, mentre si preparano per il galà. Lontanissima dai loro pensieri sembra essere la presenza del Salvatore che, nell’abside a pochi passi, viene per salvare e condannare; l’urgenza dell’Ultimo Giorno e il Giudizio che incombe sul mondo e sugli uomini non spostano una sola piuma delle loro ali.

Gli angeli (foto dal sito marienberg.it)

In nessun altro sito medievale il divieto di usare la fotocamera sembra essere eccessivo, e anzi insensato: per come si atteggiano, e per come ti guardano, per come sono eleganti, quasi ammiccanti, ma allo stesso tempo isolati ciascuno nella propria fetta di cielo stellato, questi primattori, qui nella cripta di Montemaria, sembrano pensare a poc’altro che a farsi ammirare, e sembrano chiedersi perché nessuno degli ospiti alza verso di loro la fotocamera. Come la volpe sotto i tralci d’uva, saremmo quasi portati a tirar su le spalle: son così poco romanici, ci diciamo masticando amaro, che di fotografie, noi di Before Chartres, non ne avremmo scattate comunque. Usciti dalla cripta, poi, per capire meglio chi abbiamo incontrato, cerchiamo il parere degli studiosi. Quello di Otto Demus, che attribuisce gli angeli di Marienberg ad un frescante d’Oltralpe: “nel linguaggio formale di questo maestro – scrive – prevale l’elemento nord-occidentale” e “in ogni caso – aggiunge – la sua arte dev’essere venuta in Alto Adige come un corpo estraneo”; e quello di Gianna Suitner, secondo cui “l’impianto compositivo, la tipologia delle figure, la tavolozza costruita con colori brillanti, smaltati e puri, sono assolutamente originali e non trovano facile appoggio cronologico e stilistico”; le figure “allungate a fuso, fasciate da impalpabili e svolazzanti tessuti – dice ancora Suitner – hanno i riscontri più prossimi negli affreschi del catino absidale di San Pietro e Paolo a Niederzell (Reichenau) e in quelli della cappella del cimitero di Perschen presso Nubburg”.

Gli angeli della parete di fronte all’abside (foto dal sito marienberg.it)

Vengono dal nord, comunque, gli angeli di Montemaria, non da oriente. E insomma hanno poco di bizantino, così come non conservano – e qui torna a parlare la volpe che è in noi – granché di romanico: peraltro, se accettiamo la cronologia proposta da Gianna Suitner, secondo cui il ciclo è datato al 1185, ci troviamo a collocare giustamente questi affreschi, e i volti di questi angeli belli, in quella terra di mezzo – in quel cielo di mezzo – in cui non solo si affievolisce la tensione escatologica, ma anche il vigore dell’arte rappresentativa, così evidente nell’arte romanica, si stempera in modi e tinte e pose più dolci e cortesi. La cripta di Montemaria resta una meta irrinunciabile, ma il cercatore di tesori romanici può sopravvivere – provare per credere! – alla sfida di visitarla e di uscirne senza aver potuto portar via una sola foto per il suo archivio.

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17 pensieri su “Cripta di Montemaria: angeli in posa per una fotografia che non si può fare

  1. Jorge Pescio (da Fb):

    Nell’ era in cui non è più necessario utilizzare il flash per fare le fotografie, considero questi divieti solo una manifestazione d’arroganza, d’egoismo di anonimi personaggi senza alcuna sensibilità. Anche a Torcello c’è il divieto che impedisce di fotografare il grandioso mosaico con il Giudizio Universale.

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    1. No, certo. Chi pone divieti all’uso dello smartphone lo fa solo per limitare la diffusione libera delle immagini. In alcuni casi, limitatissimi, il divieto di scattare fotografie può essere collegato alla necessità di rendere rapida e ordinata la visita in luoghi particolarmente stretti e delicati: penso ad esempio alla Cripta di Epifanio… Ma questa motivazione non regge a Montemaria, nella vicina chiesa di San Benedetto a Malles, nel Pantheon de los Reyes a Leon, nella basilica dell’Assunta a Torcello…

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  2. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    L’ho finalmente visitata a fine agosto, come tutta la Val Venosta, e sono rimasto sconcertato dal divieto di fotografare, che anch’io leggo come una forma di stolida arroganza. Dato che fotografare senza il flash non nuoce a nessun opera, che ormai i telefonini li hanno tutti e sono diventati una protesi umana e che le fotografie delle opere sono comunque reperibili sul web, questo divieto appare quanto mai assurdo. Assurdo che uno che ne fa motivo di studio debba richiedere faticosamente permessi specifici per fotografare.
    Detto questo sono comunque un’opera interessante e originale nel repertorio iconografico italiano. Pregevoli.

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  3. Avatar di Paolo Salvi Paolo Salvi

    Aggiungo che la visita a Marienberg è costosa più che al Louvre: per vedere cripta, nuova biblioteca e chiesetta di Sankt Nikolaus abbiamo speso 27€ a testa io mia moglie. La cultura a portata di chiunque…

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  4. Fabio Casalini (da Fb):

    Il luogo è straordinario. Come la testardaggine dei “gendarmi” che ti accompagnano. Un altro luogo dove è vietato scattare fotografie, facilmente risolvibile però, è la Rotonda di San Tomè ad Almenno San Bartolomeo.

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  5. Pietro Marchetti (da Fb):

    Bellissimi questi angeli, non mi paiono per nulla romanici. Triste che non li si possa fotografare neppure senza flash. Di solito si tratta di espedienti per invogliare i visitatori ad acquistare pubblicazioni a stampa presenti in loco. A me è successo alla Novalesa… e nonostante avessi pre-acquistato l’opuscoletto, il divieto è stato fatto valere lo stesso.

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    1. Anche qui, Pietro, è tutto strano: nella cappella di Sant’Eldrado qualche anno fa mi hanno fatto entrare per pioetà, con severo divieto di fare foto. Un anno dopo, siamo entrati in gruppo e abbiamo scattato centinaia di fotografie…

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