L’archivolto di Artù e il cugino barese

Intorno alla figura leggendaria di Artù si è costruita, già dal XII secolo, un’intera mitologia. Le vicende del leggendario re dei Britanni sono collocate in un’era lontana molti secoli – è quasi il medioevo del medioevo – dai testi che le raccontano; questi poi sono vari, e diversi, e spesso incompleti, e le loro differenti narrazioni si intrecciano a volte e a volte si allontanano l’una dall’altra… E insomma, quando si cerca di spiegare una scena come quella dell’archivolto della Porta della Pescheria, dove senza dubbio si parla di Artù, si corrono almeno due pericoli: in primo luogo, si rischia di dare per certe interpretazioni che certe non sono; e inoltre può accadere di perdersi dentro questo mondo mitologico, questo fantasy ante litteram, in cui insieme al buon re di Camelot si incontra inevitabilmente un altro protagonista inafferrabile, il Sacro Graal, che sembra divertirsi a complicare ulteriormente, aprendo infinite nuove strade, molte delle quali portano fuori dall’universo bretone e poi però si perdono nelle nebbie.

Porta della Pescheria, architrave e archivolto
La Porta della Pescheria

Per questi motivi, della scena cavalleresca sulla Porta della Pescheria – l’ingresso sul lato settentrionale del Duomo di Modena, realizzato all’inizio del XII secolo – diciamo qui solo quel che sappiamo, fermandoci al di qua di ulteriori congetture non dimostrabili, ed evitando con cura le sirene – gli articoli, le ipotesi, gli “studi” – che pronunciano, anche sottovoce, il nome del Sacro Calice.

Nell’archivolto modenese c’è un castello turrito, al culmine, in cui si mostrano due personaggi; dal maniero, per difenderlo dall’assalto dei nemici, escono a destra un cavaliere con la lancia in resta, e a sinistra un uomo a piedi che brandisce una sorta di piccone. A cavalcare verso il castello sono sei uomini d’arme, vestiti alla moda dei normanni, tre a sinistra e tre a destra.

Il cavaliere identificabile con Artù

Chi siano gli assediati e gli assedianti, lo dice lo scultore, che ha inciso, nella fascia sopra la scena, i nomi di quasi tutti i personaggi. La donna con le mani giunte, prigioniera nel castello, è WINLOGEE, cioè Ginevra, sposa di Artù; a destra, sempre nel castello, sta MARDOC, cioè colui che l’ha rapita e la tiene prigioniera nel proprio maniero. Difendono la dimora presa d’assalto CARRADO, che esce a cavallo, e BURMALTUS, che si fa incontro ai cavalieri con il piccone in mano: sono le braccia armate del padrone di casa, un gigante il primo e un villico forzuto il secondo. E veniamo ai cavalieri: a destra avanzano GALVAGIN, GALVARIUN e CHE, e cioè tre dei prodi cavalieri della Tavola Rotonda, sir Galvano, sir Galleron e sir Kay; a sinistra le iscrizioni identificano solo due dei cavalieri, ISDERNUS, cioè sir Ivano, preceduto da ARTUS DE BRETANIA in persona, che probabilmente è il bellissimo cavaliere senza corazza e senza elmo volto all’indietro; l’ultimo cavaliere, che già se la vede con il nano sotto la torre, resta senza nome (*).

Il castello assediato (foto: Sailko)

Aggiungiamo come dato certo – e poi ci fermiamo – che la vicenda del rapimento di Ginevra, fatta prigioniera da Mardoc e poi liberata dai prodi di Artù, è narrata, proprio con questi personaggi, nel Durmat de Galoise, uno dei tanti racconti del vasto ciclo bretone della cui complessità dicevamo all’inizio. C’è solo un problema, e cioè che il romanzo che noi conosciamo è stato scritto alcuni decenni dopo l’esecuzione dell’archivolto di Modena: ma le storie del ciclo di Artù erano narrate oralmente da secoli – spiegano gli studiosi – e si può supporre che l’autore del portale modenese abbia incontrato, raccontata in chissà quale altro modo, la vicenda leggendaria che solo successivamente fu messa in bella forma nel Durmat de Galoise.

L’archivolto barese nella Porta dei Leoni
La Porta dei Leoni

L’archivolto modenese con l’assedio al castello di Mardoc, scolpito a partire da racconti che si perdono nel passato lontano, sembra aver prodotto, nei decenni successivi, almeno un imitatore: un portale della chiesa di San Nicola a Bari, anche qui sul lato settentrionale, ripropone quasi identica la stessa scena.

Premesso che qui, nella Porta dei Leoni, l’archivolto “dei cavalieri” è inglobato in un contesto ricchissimo di altre sculture decisamente pugliesi, tutte dei primi decenni del XII secolo – notevolissime quelle dell’architrave e dell’archivolto maggiore – anche riguardo a quest’altra scena d’assedio ci limitiamo a dire quello che è certo. E cioè che il castello assaltato, posto al centro come a Modena, è presidiato da quattro guardie armate, due per parte, mentre sulla torre si affacciano due figure, forse un uomo e una donna; che i cavalieri che arrivano armati sono qui quattro a destra e quattro a sinistra; che due sfingi – assenti a Modena – aprono e chiudono il giro delle figure. Ma mancano, nel portale pugliese, le iscrizioni che tanto ci hanno aiutato per leggere correttamente la scena della Porta della Pescheria, e quindi il riferimento al ciclo arturiano è, in questo secondo archivolto, perlomeno dubbio. E c’è chi scrive che qui a Bari si racconta un altro assedio, cioè quello di Antiochia, conquistata durante la prima crociata, nel 1098, da Boemondo d’Altavilla, eroe per metà normanno e per metà pugliese, principe di Taranto sepolto, dopo la morte, a Canosa.

L’architrave decorato e i capitelli del portale barese

I due archivolti che qualcuno dice gemelli, così, possono in realtà aver trovato la loro ispirazione il primo nella leggenda, e nella leggenda più sfumata e lontana, il secondo nella stringente cronaca bellica, in un’impresa compiuta forse da pochi anni e gravida di conseguenze, perché ha aperto la strada alla riconquista di Gerusalemme. L’arte romanica, come sempre, sorprende: capace di guardare ovunque, e di farsi accendere dalle più differenti sollecitazioni – letterarie e religiose, mitiche e cronachistiche, spirituali e sentimentali – le trasforma tutte in bellezza, e in opere il cui fascino è ancora irresistibile a mille anni di distanza.

(*) …a meno che non abbiano ragione coloro che ritengono che il nome BURMALTUS sia da attribuire non al difensore con il piccone, ma proprio al cavaliere che lo attacca: in questo caso l’iscrizione BURMALTUS individuerebbe proprio quel cavaliere “Durmart le Galoise” che, in nel testo del XIII secolo, citato, avrebbe liberato Ginevra dal castello di Morois. E ringraziamo Paolo Galloni che, con un suo commento, ci ha invitato ad indagare in questo senso.

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7 pensieri su “L’archivolto di Artù e il cugino barese

  1. Avatar di Sconosciuto Anonimo

    Come affascinano chi ti legge questi accurati paralleli che mettono in evidenza analogie che altrimenti sfuggono allo sguardo. Come sempre viene voglia di tornare in loco a rivedere ciò che abbiamo visto anche recentemente (per me Bari a Pasqua di quest’anno, Modena varie volte negli anni scorsi).

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  2. Paolo Galloni (da Fb):

    Lo so che molti dicono il contrario, ma Burmaltus è certamente il cavaliere, non il pedone con il piccone. Nel XII secolo non era pensabile lasciare un cavaliere anonimo e dare il nome a uno “zotico”. Burmaltus corrisponde probabilmente a Durmart, protagonista di un poema meno noto di altri.

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    1. Grazie, Paolo: sempre cercando di restare lontano da ricostruzioni troppo complesse o troppo erudite, seguendo il tuo consiglio ho indagato un po’ e ho trovato riferimenti all’ipotesi che suggerisci, e l’ho inserita nel testo, con qualche riferimento bibliografico.

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  3. Stefano Bonfreschi (da Fb):

    Lo scultore conosceva molto bene il mondo normanno; il castello è una tipica costruzione normanna. Non credo ci siano esempi di tali costruzioni in pianura Padana. Artù di Britannia (forse non ancora re Artù) è il cavaliere che impugna la lancia col vessillo. Il cavaliere senza armatura è probabilmente lo scudiero.

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    1. Paolo Galloni (da Fb):

      La sua lettura è potenzialmente accettabile, ma preferisco quella che identifica Burmaltus nel primo cavaliere, e a sua volta lo associa a Durmart; anche perché nel poco noto (oggi) roman in volgare francese, “Durmart le Gallois”, si racconta una storia simile: Ider (ovvero Isdernus), che doveva proteggere la regina, si lascia invece sorprendere dal minaccioso Brun de Morois, che rapisce la sovrana, che sarà poi liberata da Durmart con l’aiuto dello stesso Ider. In questa prospettiva il Mardoc della Porta della Pescheria potrebbe essere interpretabile come una sorta di omologo del Brun de Morois di “Durmart le Gallois”, oltre che del Melvas della “Vita sancti Gildae” di Caradoc e del Meleagant del “Chevalier à la charrette” di Chretien de Troyes (ovvero gli altri testi in cui si narra una vicenda in qualche misura sovrapponibile con quella scolpita a Modena). Insomma, mi pare più probabile (la certezza è impossibile) che il personaggio senza nome sia quello appiedato col piccone.

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      1. Stefano Bonfreschi (da Fb):

        Non ho trovato ancora il testo avvalorava, con argomentazioni credibili, quello che ho scritto. Ho invece scoperto che Joseph Gildea, che ha curato l’edizione di “Durmart le Galois, roman arthurien du trezieme siecle”, citando il fregio della porta della Pescheria, ne esclude qualsiasi riferimento.

        E sono passato adesso davanti alla Porta. Certo che quel nome scolpito proprio sopra il cavaliere senza armatura… Anche il bel volto barbuto assomiglia molto all’immagine che ci diamo fatti, noi moderni, di re Artù. Non so più che pensare…

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        1. Un grazie grande per questi suggerimenti di lettura, di Stefano e Paolo, che cercano di andare un po’ più a fondo. Sento confermata quella che era la prima mia intenzione: e cioè dire del fregio quello che si sa per certo (o quasi), ben sapendo che se ci si addentra nelle letture dei veri specialisti il quadro resta comunque complesso. Viva Artù, sempre 😉

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