Il capitello, il capitello singolo, è sicuramente il luogo privilegiato in cui si esprime la scultura romanica; e però in molti casi gli artisti del tempo hanno saputo creare capolavori utilizzando due o più capitelli vicini, e decorando poi anche gli spazi “minori” tra l’uno e l’altro. Accade che il lavoro dello scalpellino si distende con continuità nei capitelli che concludono, in alto, sui diversi lati, un pilastro composito. Oppure le figure si succedono sui capitelli vicini e successivi delle colonne che affiancano un portale, come accade a Moarves: e allora, se la mano che scolpisce, come accade a Moarves, è felice, a meraviglia si aggiunge meraviglia, in un succedersi di scene e volti e gesti, che quasi si muove come fanno le onde del mare.
Non c’è dubbio che lo sguardo, a Moarves de Ojeda, debba andare verso l’alto: al di sopra del portale di ingresso della modesta chiesa domina il fregio con il Cristo in Gloria, una delle opere romaniche più singolari e sincere della Castiglia; ma un’altra specialissima sorpresa attende chi si concentra sulla decorazione istoriata del portale, in particolare quella a sinistra, il cui unico difetto è la non perfetta conservazione. Scorre, infatti, sopra le colonne, la serie dei capitelli, che sono sei (cinque più uno appena separato dagli altri) e presentano alcune scene in successione, intimamente connesse le une alle altre, oltre che piene di fascino se osservate singolarmente.
La prima e l’ultima non sono di facile lettura: sul capitello di sinistra due persone sedute, forse un uomo e una donna, si abbracciano, in una posizione simmetrica; sull’ultimo verso la porta d’ingresso sta un solo personaggio, che per via dell’erosione della pietra non si riesce ad identificare. Ma i quattro capitelli centrali formano una seria dalla struggente bellezza. Apre una scena di lotta tra un leone e due uomini: il primo dei quali mette l’intero braccio nella bocca spalancata della fiera, mentre la colpisce con una lancia; il secondo cavalca il leone e ne apre le fauci, come abbiamo visto fare molte volte dai tanti Sansone (e dai tanti Davide) dell’iconografia romanica; e tra queste numerosissime rappresentazioni è certamente una delle più riuscite e affascinanti.
I tre capitelli successivi formano insieme un’unica scena di musica e di danza: il primo è tutto occupato da uno splendido musicista che suona una viella, cioè un violino ante litteram; sontuosamente vestito, è seduto con le gambe accavallate, e porta una particolare capigliatura, e una barba che sembra coronare tutto il largo viso sfigurato; nel secondo capitello danzano due ballerine, e a loro si affianca un altro suonatore che – no, non sta bevendo da una botte! – soffia in uno strano strumento che dicono si chiami “dolio”; nel terzo capitello trova posto di nuovo un musicante, che tiene la piccola arpa poggiata tra le ginocchia e la suona a due mani.



Gli abiti sono modellati con sapienza, le pose sono varie e vivacissime, tipiche della scultura romanica più avanzata che alla fine del XII secolo dà il meglio di sé. Le teste, inclinate, conferiscono vivacità, e sono rese particolari, e allo stesso tempo somiglianti tra loro, dal disegno delle chiome e delle barbe, tratteggiate da linee diritte che a raggiera sembrano dipartirsi dal centro dei visi. Le figure occupano la superficie dei capitelli con tale intensità e padronanza da farli quasi sparire; e la serie non finisce di sorprendere sia che la si osservi nel suo complesso, sia che ci si soffermi sul singolo personaggio o sui dettagli; ed è infine un piacere sottile ammirarla dalle diverse angolature, scoprendo la bellezza dei due personaggi del suonatore di “dolio” e dell’uomo che infilza il leone, i quali, posti sul lato del rilievo, rischiano di non essere scorti alla vista frontale.


Anche le colonne a destra del portale hanno sei capitelli. Da quella parte però, come accade non di rado in Castiglia, tre pezzi con una semplice decorazione floreale, scolpiti secondo la fredda moda cistercense, si insinuano tra quelli figurati, e la serie non possiede la vitalità e l’unitarietà del fregio di sinistra. Il quale però, già da sé, costituisce un’oasi di arguta e fervida fantasia, uno spaccato vivacissimo di un medioevo in fermento che lotta, suona e balla, un divertissment in pietra rossa, che, nonostante le lacune, non ci si stanca di scrutare e di fotografare.
Non c’è dubbio che lo sguardo, a Moarves de Ojeda, debba andare verso l’alto. Ma appena lo si abbassa, e lo si volge verso sinistra, si scopre un altro capolavoro indimenticabile dell’arte romanica castigliana, con la sua caccia e la sua danza, scolpito in pieno sole; e già, poco distante, il cielo si fa grigio, per le nuvole incombenti dell’arte ben più povera dei cistercensi e dei loro compagni di viaggio.
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Stefano Sarri (da Fb):
La rappresentazione di Sansone è molto interessante qui. Non ricordo un altro caso in cui un secondo uomo lo aiuta nella lotta contro il leone.
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Tom Zeven (da Fb):
Splendido e genuino, peccato per l’erosione.
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Lucia Monti (da Fb):
Meriterebbero di apparire nei libri di storia anche questi capitelli, non solo il fregio in alto. Ma ci sono così tanti capolavori nel romanico che un libro intero non basterebbe neanche per le cose più notevoli.
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Isabel Sanchez Andres (da Fb):
Maravilloso!!! Me enamore de este pueblo pasando por la carretera y volvimos para atrás para verlo.
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