Il romanico può essere sottile, e può essere elegante: l’ho scoperto molti anni a fa a Silos, ammirando per la prima volta i capitelli del chiostro. Il ricordo che ho della prima visita è racchiuso in questa sorprendente avventura: Silos mi aveva mostrato, scolpite nella pietra, non grevi figure di orsi e leoni, ma sottili zampe di caprioli, e volatili fatati, e intrecci vegetali simili trame di merletto, e capitelli che addirittura sembravano leggère ceste di paglia intrecciata.

Silos: agili animali tra racemi
Mi stupì, questa peculiare sottile incisiva capacità che gli scultori di Silos mostravano, di trasformare la pietra in finissimo decoro. E stupisce ancor di più, nei capitelli del chiostro – senza dubbio tra i più nobili di tutta l’arte romanica – il loro linguaggio quasi pagano. Essi infatti non parlano, come fanno altri, la lingua della Bibbia, e pochissimi, e rovinati dal tempo, sono i capitelli istoriati, in cui si muovano figure umane, rappresentando le vicende dei sacri testi. Demandata agli otto grandi rilievi angolari tutta la parte didascalica e teologica, il lessico dei capitelli di Silos è piuttosto quello della natura: natura “pagana”, perché piena di figurazioni che riportano proprio a quei luoghi – i boschi, la selva, la chioma degli alberi – che più a lungo conservano sentimenti e leggende precristiane; natura “infedele”, perché scolpita con uno stile decorativo che richiama l’arte dell’Islam, proprio per l’assenza di rappresentazioni antropomorfe… E infine foresta “visionaria”, abitata cioè da uccelli fantastici e arpie, da creature demoniache e mitologiche, da ceffi diabolici che, come in un’allucinazione lucidissima, si schierano, capitello dopo capitello, ad accogliere il visitatore.
L’arte romanica, nei suoi capolavori, non finisce mai di stupire. A Silos dimostra tutto il proprio spessore. Evidenzia gli intrecci da cui origina, mostra i richiami e i riflessi di altre culture e di altri mondi, che gli artisti romanici di maggior valore sanno innestare nelle proprie vene, reinterpretandoli e diventandone padroni.

Leoni affrontati e intrecciati

Il chiostro con i suoi due ordini di gallerie
Il grande chiostro di Silos – siamo nel nord della Spagna, in provincia di Burgos – è uno dei pochi che presentano due piani di arcate. E’ quella al piano terra, più antica, a risultare interessantissima per gli appassionati dell’arte romanica. Le sue quettro gallerie, complete, contano in totale 60 arcate a tutto sesto, rette da colonne binate; al centro di ogni galleria sorgono fusti quintupli o quadrupli. Il chiostro inferiore risale al pieno tempo romanico. Due le fasi di esecuzione individuate dagli studiosi, con due differenti “maestri”: agli ultimi decenni del secolo XI risalirebbero le gallerie a settentrione e a oriente; mentre quelle a meridione e ad occidente sarebbero state compiute e decorate nel XII secolo.
Oltre ai 64 capitelli del chiostro si ammirano a Silos i rilievi che ornano i quattro pilastri angolari del chiostro, sei dei quali attribuiti al primo Maestro, che nei rilievi della “Deposizione”, dei “Discepoli di Emmaus” e del “Dubbio di San Tommaso” lascia i suoi indiscutibili capolavori.

Arpie in uno dei capitelli del chiostro
Ho visitato il chiostro di Santo Domingo de Silos molte volte e ne rimango sempre affascinata. Sempre sorprendente e spettacolare.
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Ottavio Olgiati (da Fb):
Scusate, ma sarebbe ora di smetterla con questo giudizio di “paganesimo” dei soggetti della decorazione romanica. Non siete neanche più in grado di decifrare il loro significato e in più avete una conoscenza pesantemente limitata del Cristianesimo in generale e del Cristianesimo medievale in particolare. L’iconografia simbolica del Romanico ha certamente anche componenti di origine Precristiana e Extracristiana, ma non per questo è paganeggiante o anticristiana. Per esempio non è possibile giudicare come estranee al cristianesimo le immagini che i limiti, i pregiudizi e gli stereotipi della mentalità moderna considerano come oscene.
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Pienamente d’accordo sulla difficoltà di comprendere la simbologia medievale, in particolare quando esce dagli schemi per noi consueti. La tua precisazione, Ottavio Olgiati, è doverosa e condivisibile. Il racconto di BeforeChartres non parla mai simbologia “anticristiana” – non avrebbe senso in un monastero, come evidenzi tu – e usa il temine “pagana” tra virgolette o associata ad un “quasi”. Certamente anche fronde, arpie e animali avevano un senso per la comunità monastica, e Before Chartres lo ha sottolineato più volte.
Capisco anche il tuo fastidio. Certa ricerca del “pagano” o del “magico” dentro il romanico, con il gusto di svelare chissà quali eresie, è diffusa anche troppo. Come scrivi tu, va invece evitata, proprio per i motivi che sintetizzi.
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