C’è un luogo e c’è un tempo in cui il romanico, nascendo, ha amato le geometrie pure, le linee rette, i volumi regolarissimi, gli incroci perpendicolari. Il luogo è la Germania imperiale: è qui che dopo il Mille, per la dinastia degli Ottoni e in seguito per i sovrani della stirpe salica, gli architetti costruirono grandi chiese; qui lo fecero con la squadra e con il compasso, più che con l’estro e il genio tipici del romanico e utilizzati, nello stesso periodo, in Spagna, in Francia, in Italia e ovunque altrove.

Quedlimburg (foto di Jong-Soung Kimm per la pagina di Via Lucis)
Stupiscono in particolare, per la radicale linearità, gli interni. Caratteristica comune ed evidente delle chiese di Germania di questi esordi è il tetto coperto in legno, ma con soffitto piano al posto delle capriate tanto usate al di qua delle Alpi; e questa linea orizzontale, questo “pavimento all’incontrario”, che copre anche le navate laterali, è il primo ingrediente in grado di dare ordine assoluto alla costruzione tutta, e quindi di offrire una sensazione di classicità e – perché non dirlo? – di modernità. I due piani speculari del pavimento e della copertura, poi, sono uniti, in tutte queste chiese, da pareti verticali delle navate particolarmente levigate, e anch’esse di una linearità stupefacente, che non è certo tipica del tempo romanico; mancando l’articolazione in campate, le pareti sono come fogli di cartoncino alzati in perpendicolare, solo forati nella parte bassa dalle grandi arcate, poi sopra lisci, e di nuovo forati appena dalle grandi finestre alte; anche là dove tra le arcate di base e il soffitto si inserisce un matroneo – accade solo a Gernrode, tra le più grandi e famose -, le pareti sono comunque due muri piani, due superfici senza alcun rilievo che con il soffitto e il pavimento realizzano un perfetto parallelepipedo. Quanto ai sostegni, si noti la presenza e la funzione dei pilastri, che normalmente in queste chiese si alternano, pur se in numero minore, alle colonne: mai separati, mai sporgenti, mai “diversi” dalla parete liscia che sostengono, questi pilastri sembrano addirittura richiamare all’ordine le colonne che li circondano; e la loro superficie, perfettamente allineata con la superficie estesa della parete, sembra portare quest’ultima anche al piano delle colonne, ristabilendo linearità e continuità.
I capitelli, infine, ribadiscono l’attenzione dei costruttori alla regolarità dei volumi: sono grandi cubi, decorati sì, ma a partire da una struttura di partenza che si distacca ben poco da quella della parete che sorreggono, e di cui sono quasi parte integrante, pur se marcati e differenziati dai rilievi.
A rispondere a tutte questi elementi rettilinei, oltre alle curve continue e precise delle arcate tra le navate, sono i regolarissimi grandi archi terminali che coprono le congiunzioni all’incrocio tra la navata e il transetto, e poi tra transetto e parte absidale: così che sono tipiche di queste chiese, e perfettamente in grado di evidenziarne lo spirito, le fotografie scattate dal presbiterio in cui il gioco rettilineo della navata vista in profondità è incorniciato, in alto, dalla grande arcata che le conclude e le separa dallo spazio più sacro della chiesa.

La navata della chiesa di Petersberg
Che dire, ancora, di queste chiese del primo romanico imperiale dalla spazialità modernissima? Che in alcuni casi sono il frutto di importanti interventi di “restituzione”, e che anche per questo possono risultare “troppo nuove” a chi ama il romanico di pietre vive e sgretolate; e che però la loro pura spazialità interna fa corrispondere, all’esterno, ad un altrettanto interessante gioco di volumi, così che la Germania è davvero terra di felicità per chi ama le “strutture” romaniche; che la più antica, in questa famiglia di chiese, è quella di Gernrode, dedicata a San Ciriaco; che la più nobile è San Michele a Hildesheim, morta e poi risorta; che la più “tedesca” è l’abbazia di Alpirsbach, mentre quella di Nivelles sta, a guardare i confini attuali, in terra belga; che la più ariosa è quella di Petersberg; che tra le molte è piena di fascino – nonostante l’impressionante altare barocco che occupa l’intero spazio dell’abside – quella di Hamersleben, come tutte rigorosa, ma con certi accenni che fanno pensare ad un’altra Germania, ad un’altra età imperiale, che sarebbe arrivata molti e molti secoli più tardi.

La navata della chiesa di Hamersleben (foto da Kunst, Architektur und Panorama)
Dimenticavo: va detto, in conclusione, che poi verrà Spira, con il suo duomo imperiale; e va detto che è proprio a Spira che si farà la rivoluzione e che coperture e pareti, com’è giusto che sia, si trasformeranno. Insieme.
Luca Giordani (da Fb):
Mi sento quasi a disagio, ma devo ammettere che se questo fosse il Romanico, non mi avrebbe attratto e sicuramente mi sarei dedicato ad altro. Quell’esasperazione geometrica, calcolata, fredda, mi allontana da quello che io percepisco come spirito romanico. Questi “stanzoni” li sento duri come la loro lingua, mi respingono, contrariamente al nostro Romanico fatto di disordine, di fantasia, che ripudia il calcolo e nel quale ci si aspettano sorprese in ogni angolo, un’arte casereccia la nostra, ma a misura d’uomo, certamente a mia misura.
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Barbara Casciu (da Fb):
Buona osservazione Luca, effettivamente risulta più “fredda”, ma su di me esercita il fascino della chiara intellegibilità. Questo non vuol dire che io non apprezzi le sorprese casereccie del nostro romanico.
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Mi manca la Germania. Nitida, geometrica, lineare.
Maestosa nei Westwerk.
Indubbiamente cogli l’essenzialità dell’architettura romanica tedesca del 1000: quei sorprendenti soffitti orizzontali che la differenziano da ogni altra architettura romanica, quella linearità delle pareti, l’impianto così sviluppato longitudinalmente, che ricorda le antiche basiliche paleocristiane, con il semplice inserto di pilastri alternati, che non emergono dalle pareti, come per non disturbare gli allineamenti; pure i capitelli geometrici, semplici dadi sgusciati, poco aggettanti per lo stesso motivo.
Unico il romanico tedesco. Necessario.
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L’impero salico, che per legittimare e rimarcare una continuità con l’impero romano ne reinterpretava le forme architettoniche
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Barbara Casciu (da Fb):
Anche io, come Paolo, amo molto i volumi semplici, le geometrie essenziali. In queste chiese sembra di respirare ancora un po’ di atmosfera paleocristiana.
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Paolo Salvi (da Fb):
Ricordano infatti l’incedere pausato delle navate della basiliche paleocristiane, illuminate da grandi finestre nella semplice linearità delle pareti sopra le arcate longitudinali.
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Elena Biagini (da Fb):
Scheda di grande godimento. Vero, ho notato anche io a Reichenau restauri che virano al nuovo. Ma le linee originarie restano.
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